Decreto sicurezza del governo Meloni
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il 29 maggio 2025, con 163 voti favorevoli, 91 contrari e un astenuto, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il cosiddetto Decreto Sicurezza proposto dal governo guidato da Giorgia Meloni. Il provvedimento, formato da 39 articoli, è stato salutato con soddisfazione dalla maggioranza, ma anche con dure proteste da parte dell’opposizione parlamentare, associazioni civiche, organizzazioni per i diritti umani e 250 costituzionalisti, che ne hanno denunciato i “gravissimi profili di incostituzionalità”.

IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il Decreto Sicurezza introduce 14 nuovi reati e 9 aggravanti, mirando a rafforzare la presenza dello Stato laddove sembra più debole.
Dietro la retorica della sicurezza e delle regole si cela la criminalizzazione del dissenso, con strumenti che colpiscono anche le proteste pacifiche.
Questo provvedimento è una riformulazione della capacità statale di difendersi dal disordine sociale crescente e dalla delegittimazione delle istituzioni.
Il Decreto Sicurezza esacerba una crisi già acuta del sistema penale e carcerario italiano, senza fornire strumenti strutturali di riforma o prevenzione.
Il decreto è una risposta necessaria al degrado urbano e all’illegalità diffusa
Alla base dell’impianto normativo promosso dal governo Meloni si colloca un’idea precisa di “ordine”: uno spazio urbano sgombro da occupazioni arbitrarie, pratiche criminali reiterate e situazioni sociali non regolate. Il Decreto Sicurezza, approvato con voto di fiducia alla Camera il 29 maggio 2025 con 163 sì e 91 no, introduce 14 nuovi reati e 9 aggravanti, mirando con decisione a rafforzare la presenza dello Stato laddove le maglie dell’ordinamento si erano mostrate più deboli. Una delle misure di maggiore impatto è l’articolo che prevede la punibilità dell’occupazione abusiva di immobili destinati a domicilio altrui, con pene da 2 a 7 anni di reclusione.
Secondo le dichiarazioni della premier Meloni, questa norma è già entrata operativamente in vigore con i primi sgomberi eseguiti immediatamente: “Dicevano che era inutile, sbagliato, persino disumano. E invece, grazie al decreto sicurezza, in Italia sono già stati eseguiti i primi sgomberi immediati”. A sostegno della sua efficacia, il decreto prevede anche una procedura semplificata per la restituzione dell’immobile, nonché un meccanismo premiale per chi collabora con l’autorità giudiziaria.
Altro punto centrale è la modifica della norma sul differimento obbligatorio della pena per detenute incinte o con figli piccoli. Il decreto rende questa misura facoltativa e soggetta alla valutazione del rischio recidiva. Secondo “Valigia Blu”, questa norma mira soprattutto a interrompere il circolo vizioso di microcriminalità legato al borseggio seriale, spesso associato a contesti di disagio sociale e familiare, in cui la maternità viene sfruttata come scudo penale.
Un ulteriore obiettivo del decreto è la tutela degli spazi urbani ad alta densità di frequentazione, come stazioni ferroviarie e mezzi pubblici. È stata infatti introdotta una nuova aggravante per i reati commessi in prossimità delle stazioni, in risposta alle numerose segnalazioni su aggressioni e furti, fenomeni documentati anche da campagne mediatiche e da esponenti politici come Roberto Vannacci.
Non meno rilevante è la stretta sull’accattonaggio con minori: chi impiega bambini nell’accattonaggio rischia ora fino a cinque anni di carcere. Questa norma – sebbene controversa – è stata presentata come strumento di contrasto alla strumentalizzazione dell’infanzia da parte di reti criminali organizzate.
Nel complesso, la ratio delle misure è chiara: rafforzare lo Stato nella sua funzione di garante del diritto alla sicurezza urbana, contro fenomeni che, per la maggioranza, minano la qualità della vita e la fiducia nella legalità. La risposta normativa è stata dunque elaborata come scudo civile per i cittadini e leva per la riqualificazione del tessuto urbano, con effetti attesi sia in termini di prevenzione che di ripristino della legalità.
Nina Celli, 4 giugno 2025
Il decreto sicurezza criminalizza il dissenso e limita le libertà fondamentali
Il Decreto Sicurezza, approvato dal governo Meloni, non è semplicemente un testo legislativo con finalità di tutela dell’ordine pubblico. Per molti costituzionalisti, giuristi, associazioni e organizzazioni internazionali rappresenta una trasformazione profonda – e preoccupante – della concezione stessa dello Stato di diritto in Italia. Dietro la retorica della sicurezza e del rispetto delle regole si cela infatti una sistematica criminalizzazione del dissenso, con strumenti normativi che colpiscono proteste pacifiche, minoranze vulnerabili e diritti civili fondamentali.
Uno degli aspetti più gravi, evidenziati da numerosi osservatori – tra cui Amnesty International, ONU e il Consiglio d’Europa – è l’introduzione di reati costruiti per reprimere forme di espressione non violenta, come la resistenza passiva, l’imbrattamento simbolico di edifici pubblici o il blocco stradale tramite il proprio corpo. Quest’ultimo, fino a oggi considerato una forma di disobbedienza civile e di protesta simbolica, viene ora trattato come un vero e proprio crimine, con pene fino a sei anni di reclusione, se effettuato da più persone.
Secondo l’analisi di “Valigia Blu”, il decreto fa proprio il paradigma del “populismo penale”, una logica emergenziale che non cerca di affrontare le cause sociali dei fenomeni contestati, ma si limita a reprimerli con strumenti detentivi. La legge “punisce, non riforma”, scrive Leonardo Bianchi. La stessa associazione Antigone ha definito il decreto “il più pericoloso attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana”.
La deriva autoritaria è evidente anche nella modifica della punibilità della resistenza passiva all’interno dei CPR e delle carceri, ora sanzionata con pene pesantissime, fino a 20 anni in caso di rivolta con esiti mortali. Questa misura – criticata anche dalle Nazioni Unite – trasforma azioni simboliche e non violente in reati penali. Cinque relatori speciali dell’ONU hanno denunciato pubblicamente il decreto come “incompatibile con gli obblighi internazionali dell’Italia in materia di diritti umani”.
Ulteriore elemento di preoccupazione è l’effetto dissuasivo che il decreto può avere sulla partecipazione civile, studentesca e sindacale. Come documentato da “Fanpage” e “RomaToday”, la risposta alla legge è stata una mobilitazione di massa: decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Roma il 31 maggio, denunciando una “svolta ungherese” e promettendo ricorso in tutte le sedi istituzionali. Nelle stesse ore, esponenti del mondo giuridico parlavano apertamente di “disegno autoritario strutturale”.
La legge non solo punisce nuovi comportamenti, ma altera la relazione tra Stato e cittadino, riducendo la libertà di critica e svuotando di significato il principio costituzionale della partecipazione. L’approvazione del decreto con voto di fiducia – la 89ª della legislatura – ha poi contribuito ad alimentare l’impressione di un potere che si sottrae al dibattito parlamentare e agisce per decreto, comprimendo spazi democratici.
Non sorprende, quindi, che oltre 250 giuristi italiani abbiano sottoscritto un appello per denunciare i “gravissimi profili di incostituzionalità” del decreto. Essi segnalano l’assenza dei requisiti di necessità e urgenza e una torsione securitaria che rischia di diventare permanente. “Governare con la paura, invece che governare la paura”: così sintetizzano il cuore del problema.
Nel loro insieme, queste misure costruiscono una nuova architettura normativa: non tanto per difendere i cittadini, quanto per rendere più difficili la contestazione, la mobilitazione, la disobbedienza civile. Per i critici, il Decreto Sicurezza è un segnale inequivocabile di autocrazia strisciante, in cui le libertà fondamentali diventano sospette e il dissenso un crimine da reprimere.
Nina Celli, 4 giugno 2025
Il decreto sicurezza rafforza l’autorità dello Stato e tutela le istituzioni democratiche
Nel clima polarizzato della politica italiana, il Decreto Sicurezza, approvato alla Camera nel maggio 2025, ha assunto un significato che va oltre il piano penale. Per il governo guidato da Giorgia Meloni, questo provvedimento non è solo un insieme di sanzioni più severe, ma rappresenta una riformulazione della capacità statale di difendersi da quello che viene percepito come un disordine sociale crescente e una delegittimazione diffusa delle istituzioni pubbliche. L’impianto del decreto mira a ripristinare l’autorevolezza dello Stato nel contesto di proteste ambientali, insurrezioni carcerarie, sabotaggi infrastrutturali e campagne mediatiche aggressive contro le forze dell’ordine.
Uno dei punti cardine del testo è la criminalizzazione del blocco stradale mediante il proprio corpo, che ora viene punito con pene detentive che possono arrivare a sei anni se il fatto è commesso da più persone. Secondo il governo, si tratta di una misura necessaria per contenere forme di protesta che paralizzano città e servizi essenziali. La norma è stata contestata come “anti-Gandhi” dalle opposizioni, ma difesa dal ministro Piantedosi come garanzia del principio di coabitazione civile: “Manifestare sì, bloccare tutto no”.
Altre misure chiave sono il nuovo reato di rivolta carceraria, che include anche la resistenza passiva all’interno di carceri e CPR, e la possibilità di sanzionare imbrattamenti simbolici di sedi istituzionali con reclusione fino a 18 mesi. Per il governo, questi strumenti sono necessari a contrastare strategie di protesta organizzate, come quelle di Ultima Generazione o dei movimenti anti-TAV e No Ponte, che fanno leva su azioni dimostrative ad alto impatto sociale e mediatico.
Un altro pilastro del decreto è il rafforzamento dell’apparato di sicurezza, che si traduce in più tutele economiche per gli agenti indagati (fino a 10.000 euro per spese legali), autorizzazione al porto d’armi fuori servizio e utilizzo sistematico delle bodycam, soprattutto in contesti di ordine pubblico. Il decreto risponde così a una preoccupazione latente nel personale di polizia: quella di essere esposto a strumentalizzazioni giudiziarie e mediatiche senza adeguata tutela dello Stato.
Dal punto di vista della difesa interna, il decreto amplia anche le prerogative dei servizi segreti, autorizzandoli a infiltrare e persino dirigere associazioni eversive, con esenzione da responsabilità penale, se operano sotto copertura e con autorizzazione dell’esecutivo. Una norma che, per i critici, rappresenta una “licenza criminale”, ma che per il governo è una garanzia di efficacia operativa in scenari di alta pericolosità.
Il decreto ha ottenuto l’approvazione di molte sigle sindacali di polizia, che lo vedono come un passo verso il riconoscimento concreto dei rischi affrontati quotidianamente dagli agenti. In parallelo, esponenti del governo hanno sottolineato che “nessuna libertà è effettiva se non è garantita dalla sicurezza” – un concetto che mira a riequilibrare la tensione fra diritti civili e ordine pubblico.
Il Decreto Sicurezza si pone, secondo i suoi sostenitori, come baluardo istituzionale contro la disgregazione dell’autorità pubblica. Non un’imposizione autoritaria, ma una difesa strutturale della democrazia rappresentativa, minacciata – secondo questa lettura – più dall’indebolimento dello Stato che dal suo rafforzamento.
Nina Celli, 4 giugno 2025
Il decreto sicurezza è una misura inefficace e dannosa per il sistema penale e carcerario italiano
Oltre alla repressione del dissenso, il Decreto Sicurezza approvato dal governo Meloni viene accusato da numerosi esperti di esacerbare una crisi già acuta del sistema penale e carcerario italiano, senza fornire strumenti strutturali di riforma o prevenzione. Invece di risolvere problemi cronici come il sovraffollamento, la recidiva e la marginalizzazione, il decreto punta su nuove incriminazioni e aggravamenti di pena, con effetti che rischiano di compromettere definitivamente la sostenibilità del sistema.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone, citato da “Valigia Blu”, il tasso di sovraffollamento nelle carceri italiane ha raggiunto il 133% medio, con punte del 220% a San Vittore e del 212% a Foggia. Nel 2024, si sono registrati 91 suicidi tra i detenuti: un tragico record che denuncia una condizione limite. Nonostante ciò, il decreto introduce una serie di norme che aumentano drasticamente il numero di ingressi potenziali in carcere, come la resistenza passiva nei CPR o carceri, ora considerata reato penale; la detenzione per occupazione abusiva (pene fino a 7 anni); l’inasprimento delle pene per blocchi stradali e proteste non violente.
La non punibilità estesa agli agenti dei servizi segreti in operazioni sotto copertura, anche per la direzione di gruppi terroristici o eversivi, ha sollevato allarme tra i familiari delle vittime delle stragi di Stato, che l’hanno definita una “licenza criminale” e una distruzione del principio di uguaglianza davanti alla legge.
La situazione è resa più grave da norme come quella che elimina l’obbligatorietà della sospensione della pena per madri con figli minori di un anno: una misura che potrebbe portare neonati in carcere, come denunciato dalla segretaria PD Elly Schlein in Aula, in un intervento che ha paragonato l’Italia al “Codice Rocco” fascista. Giuristi e associazioni parlano di violazione dell’art. 27 della Costituzione, secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione.
La misura contro la cannabis light, che vieta produzione, commercio e trasporto delle infiorescenze di canapa indipendentemente dal contenuto di THC, è stata definita da “Avvenire” e “Domani” una norma ideologica e distruttiva per un intero settore produttivo legale, con centinaia di imprese e posti di lavoro a rischio.
Anche la custodia cautelare viene ridisegnata in senso restrittivo per categorie di reato già coperte da strumenti repressivi. L’accoglimento dell’ordine del giorno di Forza Italia, che punta a limitare l’uso della custodia preventiva anche per colletti bianchi, ha generato ulteriore confusione, secondo “Il Fatto Quotidiano”, creando una giustizia selettiva e sbilanciata, in cui la povertà viene criminalizzata e il potere economico tutelato.
L’Unione delle Camere Penali ha definito il decreto “una sentenza anticipata di collasso del sistema”, denunciando come le nuove norme “non faranno che aumentare la pressione sulle strutture penitenziarie, già al collasso, e aggravare la frattura tra istituzioni e cittadini”.
Inoltre, la procedura di approvazione – voto di fiducia, doppia tagliola in commissione e trasformazione da disegno di legge a decreto – ha ridotto il Parlamento a un organo passivo, negando il confronto necessario su un provvedimento che modifica sostanzialmente l’equilibrio tra libertà e coercizione.
Per i suoi oppositori, dunque, il Decreto Sicurezza è un atto di corto respiro e lungo danno: non solo mina i fondamenti democratici, ma alimenta l’inefficienza e la brutalità del sistema penale, finendo per colpire chi è già più fragile senza intaccare le cause profonde del disagio sociale.
Nina Celli, 4 giugno 2025