Nr. 319
Pubblicato il 04/04/2025

Annessione della Groenlandia da parte degli USA

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

L’idea di annettere la Groenlandia agli Stati Uniti, rilanciata da Donald Trump nel 2025, ha suscitato reazioni contrastanti tra analisti geopolitici, governi e opinione pubblica. L’operazione genererebbe senz’altro vantaggi strategici, economici e climatici per gli Stati Uniti nel lungo periodo, ma potrebbe avere gravi implicazioni diplomatiche e costituire una violazione della sovranità e dell’autodeterminazione della popolazione. La Groenlandia non è solo la più grande isola del pianeta, ma anche una riserva immensa di risorse naturali e un punto chiave per il controllo delle rotte artiche emergenti.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Annessione della Groenlandia è un vantaggio strategico per gli USA

La Groenlandia è un "ponte di ghiaccio" tra l’Europa e il continente americano. Chi controlla la Groenlandia, controlla uno snodo aerospaziale e navale di primaria importanza.

02 - L’annessione della Groenlandia sarebbe una violazione della sovranità e dell’autodeterminazione

All'annessione si oppongono le autorità locali e la popolazione groenlandese, motivate da una forte volontà di autodeterminazione e dal desiderio di preservare l'identità culturale e politica.

03 - Il controllo della Groenlandia porta risorse naturali e vantaggi economici

La Groenlandia è un giacimento di risorse naturali strategiche che potrebbe rivelarsi decisiva per l’indipendenza tecnologica e industriale degli Stati Uniti.

04 - L’eventuale annessione sarebbe un pericoloso precedente nel diritto internazionale

L'annessione si configurerebbe anche come un potenziale caso di violazione del Diritto internazionale, con conseguenze gravi sul piano giuridico e normativo per l’intero ordine globale.

05 - Chi controlla la Groenlandia ha una posizione favorevole nel futuro commercio marittimo mondiale

Le trasformazioni climatiche stanno aprendo nuove rotte commerciali e la posizione geografica della Groenlandia si rivela geo-economicamente strategica.

06 - L’annessione avrebbe gravi implicazioni diplomatiche

L'idea che una potenza occidentale possa espandere i confini con logica annessionista ha creato timori di un ritorno a modelli geopolitici pre-1945, in contraddizione con la Carta delle Nazioni Unite

07 - Precedenti storici mostrano che l’annessione potrebbe essere resa legittimità

La storia americana è segnata da acquisizioni territoriali pacifiche e legali, che costituiscono un precedente importante per valutare la legittimità di un’annessione della Groenlandia.

08 - L’annessione avrebbe conseguenze economiche, reputazionali e militari per gli Stati Uniti

Oltre alla violazione del diritto internazionale e a rischi diplomatici, l'annessione potrebbe essere un boomerang geopolitico con impatti sulla stabilità interna e sulle relazioni globali degli USA.

 
01

Annessione della Groenlandia è un vantaggio strategico per gli USA

FAVOREVOLE

Dal punto di vista strategico, la Groenlandia si configura come una delle pedine più cruciali nello scacchiere della sicurezza transatlantica. L’isola, situata tra il Nord Atlantico e l’Artico centrale, occupa una posizione unica nel mondo: una sorta di "ponte di ghiaccio" tra l’Europa e il continente americano. Chi controlla la Groenlandia, controlla uno snodo aerospaziale e navale di primaria importanza, capace di influenzare profondamente la dinamica delle alleanze globali.
Al centro di questa rilevanza geostrategica si trova la base aerea di Pituffik, precedentemente nota come Thule Air Base, una delle infrastrutture militari americane più settentrionali del pianeta. Gestita dalla US Space Force, questa base è parte integrante del sistema globale di difesa missilistica degli Stati Uniti, fornendo supporto per il rilevamento anticipato di lanci nucleari, il tracciamento satellitare e la sorveglianza del territorio polare. Secondo il Council on Foreign Relations, Pituffik rappresenta una delle “chiavi invisibili” della deterrenza nucleare americana nell’emisfero settentrionale.
La minaccia crescente rappresentata dall’espansione militare russa e cinese nell’Artico – documentata da esercitazioni navali congiunte e da investimenti infrastrutturali come porti, sottomarini e satelliti polari – rende il consolidamento della presenza americana nell’isola una priorità per il Pentagono. Le autorità statunitensi temono che il mancato controllo dell’isola possa trasformarla in una “porta aperta” per incursioni ostili nel cuore dell’Atlantico settentrionale.
Il GIUK Gap (Greenland-Iceland-United Kingdom) è, da sempre, considerato un corridoio strategico per il passaggio di sottomarini e flotte. Secondo un report pubblicato dalla NATO nel marzo 2025, questa fascia marittima è fondamentale per garantire la sicurezza dei convogli transatlantici in caso di conflitto, soprattutto per il dispiegamento rapido di truppe statunitensi in Europa. L’aumento delle pattuglie navali NATO nella regione, in cooperazione con Islanda e Danimarca, è stato interpretato come un chiaro segnale che l’Artico è ormai al centro del teatro geopolitico globale.
Inoltre, la natura logistica della Groenlandia offre un potenziale dirompente. In un futuro segnato dal cambiamento climatico, l’Artico diventerà via via più navigabile e, quindi, più militarmente accessibile. Secondo “Foreign Affairs”, la Groenlandia potrebbe diventare una piattaforma ideale per il dispiegamento di droni artici, sensori per la guerra elettronica e basi sottomarine. L’integrazione dell’isola nella sfera di influenza diretta degli USA ridurrebbe drasticamente i tempi di risposta militare in caso di minaccia nucleare o cyber-attacco da parte di potenze rivali.
Ma non si tratta solo di difesa passiva. Figure chiave dell’amministrazione Trump hanno chiaramente espresso la necessità di una proiezione offensiva di potenza. JD Vance, durante la visita alla base di Pituffik, ha dichiarato che “la Groenlandia sarebbe più sicura sotto il controllo degli Stati Uniti”, criticando apertamente la Danimarca per la gestione militare dell’isola. Trump stesso ha definito l’acquisizione come “un atto necessario per proteggere il mondo libero”, ribadendo che “accadrà, al 100%”.
Alla luce di queste considerazioni, l’annessione della Groenlandia potrebbe fornire agli Stati Uniti un baluardo geostrategico permanente, con ricadute anche sulla capacità di proiezione verso l’Europa, la regione artica e persino l’Asia orientale. L’isola diverrebbe non solo una stazione radar, ma un perno centrale dell’architettura difensiva americana nel XXI secolo.

Nina Celli, 4 aprile 2025

 
02

L’annessione della Groenlandia sarebbe una violazione della sovranità e dell’autodeterminazione

CONTRARIO

L'idea di un'annessione della Groenlandia agli Stati Uniti ha incontrato una ferma opposizione sia da parte delle autorità locali che della popolazione groenlandese. Questo rifiuto è radicato in una forte volontà di autodeterminazione e nel desiderio di preservare l'identità culturale e politica dell'isola. Il Primo Ministro della Groenlandia, Jens-Frederik Nielsen, ha dichiarato inequivocabilmente: "Il Presidente Trump dice che gli Stati Uniti 'otterranno la Groenlandia'. Sia chiaro: gli Stati Uniti non la otterranno. Non apparteniamo a nessun altro. Decidiamo il nostro futuro". Questa affermazione sottolinea la determinazione del governo groenlandese a mantenere il controllo sul proprio destino politico. Inoltre, tutti e cinque i partiti rappresentati nel parlamento groenlandese hanno emesso una dichiarazione congiunta, affermando: "Noi — tutti i presidenti dei partiti — non possiamo accettare le ripetute dichiarazioni sull'annessione e il controllo della Groenlandia. Troviamo questo comportamento inaccettabile da parte di amici e alleati in un'alleanza di difesa". Questa unità tra le diverse forze politiche evidenzia un consenso trasversale contro l'idea di un'annessione.
Dal punto di vista della popolazione, un sondaggio condotto nel gennaio 2025 ha rivelato che l'85% dei groenlandesi si oppone all'idea di diventare parte degli Stati Uniti, mentre solo il 6% è favorevole e il 9% è indeciso. Questi dati riflettono una chiara volontà popolare di mantenere l'autonomia e di perseguire eventualmente l'indipendenza completa. La questione dell'autodeterminazione è centrale nel dibattito. La Groenlandia, pur essendo una regione autonoma all'interno del Regno di Danimarca, ha il diritto, secondo il diritto internazionale, di determinare il proprio status politico. L'articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite afferma il diritto dei popoli all'autodeterminazione, principio ribadito in numerose risoluzioni dell'Assemblea Generale. Pertanto, qualsiasi tentativo di annessione senza il consenso esplicito del popolo groenlandese sarebbe in violazione di tali principi.
La recente visita del vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, ha suscitato ulteriori tensioni. Vance ha criticato la Danimarca per la gestione della sicurezza in Groenlandia e ha suggerito che l'isola trarrebbe maggiori benefici sotto la "protezione" degli Stati Uniti. Queste dichiarazioni sono state percepite come un'ingerenza negli affari interni della Groenlandia e hanno rafforzato la determinazione locale a resistere a pressioni esterne.
L'opposizione politica interna all'annessione, quindi, è solida e radicata in una forte volontà di autodeterminazione. La popolazione e i leader politici groenlandesi sono uniti nel rifiutare qualsiasi tentativo di annessione, sottolineando il diritto dell'isola a determinare autonomamente il proprio futuro.

Nina Celli, 4 aprile 2025

 
03

Il controllo della Groenlandia porta risorse naturali e vantaggi economici

FAVOREVOLE

Dal punto di vista economico, la Groenlandia rappresenta un autentico giacimento di risorse naturali strategiche che, in un contesto globale di transizione energetica e tensioni sulle catene di approvvigionamento, potrebbero rivelarsi decisive per l’indipendenza tecnologica e industriale degli Stati Uniti.
L’isola custodisce alcune delle più ricche riserve di terre rare al di fuori della Cina, oltre a significative concentrazioni di uranio, rame, zinco, ferro, oro e petrolio. Il rapporto del Council on Foreign Relations del marzo 2025 stima in circa 31 miliardi di barili equivalenti le riserve energetiche offshore della Groenlandia, mentre fonti geologiche locali parlano di potenziali estrazioni di litio e niobio – due minerali fondamentali per batterie, microchip e sistemi di guida militare.
Con il riscaldamento climatico globale, che colpisce l’Artico con intensità doppia rispetto ad altre latitudini, le calotte glaciali della Groenlandia si stanno sciogliendo a ritmi record. Questo fenomeno, sebbene tragico sul piano ambientale, ha aperto nuovi fronti di esplorazione mineraria e ha reso accessibili porzioni di territorio finora irraggiungibili. La “Foreign Affairs” ha definito questa trasformazione come l’"inizio dell’era espansionistica climatica", sottolineando come la Groenlandia sarà probabilmente uno dei territori più contesi del XXI secolo per il suo potenziale di estrazione e per la sua futura abitabilità.
Gli Stati Uniti, sempre più preoccupati dalla dipendenza dalle importazioni cinesi di terre rare (oltre il 78% nel 2024), vedrebbero nell’annessione della Groenlandia una soluzione strutturale e a lungo termine. In tal senso, l’economia della sicurezza nazionale – che unisce approvvigionamento critico e potere strategico – troverebbe in Groenlandia una fonte sicura e direttamente controllabile.
Donald Trump, rilanciando l’interesse per l’isola nel marzo 2025, ha dichiarato che “la Groenlandia è la più grande opportunità mineraria della storia americana”, aggiungendo che “nessun altro paese al mondo ha accesso diretto a un giacimento simile senza dover contrattare con rivali geopolitici”. Le sue affermazioni trovano eco nei progetti industriali previsti nel piano “America First Mining”, che prevede investimenti statali in esplorazione ed estrazione nei territori federali e nei territori associati.
Ma il valore economico della Groenlandia non si limita al sottosuolo. L’isola, con la sua posizione strategica nell’Artico, si appresta a diventare anche un hub logistico e commerciale d’importanza globale. Con l’apertura progressiva delle rotte artiche, in particolare il Passaggio a Nord-Ovest e il Passaggio a Nord-Est, la Groenlandia potrebbe servire da punto di transito tra Asia, Europa e Nord America, riducendo drasticamente le distanze commerciali. Questo favorirebbe anche l’installazione di infrastrutture portuali, aeroportuali e digitali (come cavi sottomarini di comunicazione) che porterebbero occupazione, innovazione e attrattività fiscale.
Inoltre, un dato sociale da non sottovalutare: la Groenlandia ha una popolazione inferiore a 60.000 abitanti. In caso di annessione o di accordo associativo, gli Stati Uniti avrebbero la possibilità di sviluppare e valorizzare un territorio di oltre 2 milioni di chilometri quadrati con un rapporto superficie/abitante estremamente vantaggioso. Investimenti in sanità, trasporti e tecnologie green – sulla scia del modello delle Isole Marianne o di Guam – potrebbero garantire benefici tangibili anche ai residenti locali, rafforzando il consenso interno e internazionale.
La Groenlandia, quindi, offre una tripla leva economica: risorse critiche strategiche, rotte artiche emergenti e spazio per espansione industriale. La sua acquisizione, se strutturata attraverso meccanismi legali e condivisi, trasformerebbe l’economia americana con benefici diffusi su più livelli.

Nina Celli, 4 aprile 2025

 
04

L’eventuale annessione sarebbe un pericoloso precedente nel diritto internazionale

CONTRARIO

L’annessione della Groenlandia da parte degli Stati Uniti non solleverebbe solo tensioni diplomatiche o proteste locali: si configurerebbe anche come un potenziale caso di violazione del Diritto internazionale, con conseguenze gravi sul piano giuridico e normativo per l’intero ordine globale. Se perseguita in modo unilaterale o sotto pressione, un’operazione di questo tipo minerebbe principi fondanti dell’attuale sistema di relazioni internazionali, aprendo la strada a pericolosi precedenti che potrebbero essere sfruttati da potenze autoritarie in contesti simili. Il principio cardine in gioco è quello di autodeterminazione dei popoli, sancito dall’Articolo 1(2) della Carta delle Nazioni Unite: “Sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni basate sul rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli.”
Questo diritto è stato ribadito in numerose risoluzioni ONU, tra cui la 1514 (XV) del 1960 sulla decolonizzazione e la 2625 (XXV) del 1970, che stabilisce che "nessun cambiamento territoriale può essere imposto con la forza o sotto coercizione". L’annessione della Groenlandia, se avvenisse senza un referendum libero, trasparente e verificato a livello internazionale, violerebbe quindi questi standard giuridici.
La preoccupazione è che gli Stati Uniti, adottando una logica espansionista in contesto pacifico, potrebbero legittimare comportamenti simili da parte di potenze revisioniste come la Russia o la Cina. È difficile, ad esempio, condannare l’annessione della Crimea del 2014 o le pretese su Taiwan, se allo stesso tempo una democrazia occidentale come gli Stati Uniti perseguono un piano di espansione territoriale unilaterale, per di più su un alleato NATO come la Danimarca. Come ha sottolineato l’ex ambasciatore americano Daniel Fried: “L’annessione della Groenlandia ci allineerebbe con le peggiori pratiche autoritarie del XX secolo, riducendo l’America a un imitatore del putinismo.”
Inoltre, esiste il rischio concreto che una simile operazione venga portata davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). La Danimarca potrebbe intentare una causa per violazione della sovranità territoriale e del diritto all’autodeterminazione del popolo groenlandese, aprendo uno scontro legale di lunga durata con impatti reputazionali devastanti per Washington. Nel diritto consuetudinario internazionale, qualsiasi mutamento di status territoriale deve avvenire secondo tre principi: Consenso democratico interno (referendum); assenso delle autorità sovrane (Danimarca, Groenlandia); riconoscimento multilaterale (ONU o trattati multilaterali).
L’assenza di anche solo uno di questi tre elementi delegittimerebbe l’intera procedura. E come evidenziato da giuristi del Council on Foreign Relations, la Groenlandia è riconosciuta come “territorio autonomo”, ma non è una colonia o un territorio senza status: è parte integrante del Regno di Danimarca con pieni diritti legali e politici.
Un altro aspetto delicato è la tutela delle popolazioni indigene. I groenlandesi sono in gran parte di etnia inuit, e quindi tutelati da una serie di convenzioni internazionali sui diritti dei popoli nativi, tra cui la Convenzione ILO 169 e la Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni. Un'annessione che avvenisse senza un accordo specifico con i rappresentanti delle comunità locali violerebbe questi trattati, esponendo gli Stati Uniti a sanzioni morali e, in alcuni casi, giuridiche.
L’annessione forzata, inoltre, violerebbe anche le logiche costitutive della NATO. Non solo perché sarebbe un attacco alla sovranità di uno Stato membro (la Danimarca), ma perché destabilizzerebbe il principio di solidarietà e fiducia reciproca su cui si fonda l’Alleanza. La NATO, fondata per prevenire aggressioni territoriali in Europa, non può tollerare che uno dei suoi membri persegua obiettivi espansionisti a danno di un altro. Questo metterebbe in crisi l’intero sistema difensivo atlantico e aprirebbe un pericoloso vuoto di legittimità geopolitica.

Nina Celli, 4 aprile 2025

 
05

Chi controlla la Groenlandia ha una posizione favorevole nel futuro commercio marittimo mondiale

FAVOREVOLE

La Groenlandia è un potenziale hub di connettività artica, destinato a diventare nei prossimi decenni uno dei centri gravitazionali del commercio marittimo mondiale. Le trasformazioni climatiche, in particolare lo scioglimento progressivo del ghiaccio polare, stanno aprendo nuove rotte commerciali che un tempo erano bloccate da barriere naturali insormontabili. In questo scenario in rapida evoluzione, la posizione geografica della Groenlandia si rivela geo-economicamente strategica.
Con il ritiro dei ghiacci artici, rotte come il Passaggio a Nord-Ovest (che collega l’Atlantico al Pacifico lungo le coste settentrionali del Canada) e il Passaggio a Nord-Est (che attraversa le acque settentrionali della Russia) stanno diventando navigabili per periodi sempre più lunghi dell’anno. Le stime del Center for Climate and Security indicano che entro il 2040 queste rotte potrebbero essere operative fino a 6-8 mesi l’anno, riducendo fino al 40% la distanza marittima tra l’Asia e l’Europa rispetto al Canale di Suez.
In tale scenario, la Groenlandia rappresenterebbe un punto d’appoggio naturale per flotte commerciali, rompighiaccio, operazioni di salvataggio e logistica. La sua posizione tra il Canada e l’Islanda la colloca esattamente al centro del “nuovo Mediterraneo del XXI secolo”, come lo ha definito “Foreign Affairs”. Avere il controllo diretto su questo snodo significherebbe per gli Stati Uniti dominare il traffico marittimo emergente dell’Artico, un vantaggio logistico, commerciale e strategico che nessun’altra Nazione potrebbe eguagliare.
Trump ha colto questo aspetto in modo esplicito nel suo discorso alla National Arctic Business Association: “Chi possiede la Groenlandia, possiede il futuro del commercio mondiale. È l’investimento infrastrutturale più visionario dalla costruzione del Canale di Panama”.
La Groenlandia ha potenzialità anche come piattaforma per le reti digitali e le infrastrutture energetiche. Negli ultimi anni sono stati proposti numerosi progetti per l’installazione di cavi sottomarini a banda larga che colleghino Nord America, Europa e Asia attraverso le rotte artiche. La posizione groenlandese potrebbe supportare la posa di nuovi backbone digitali meno esposti a sabotaggi, garantendo agli Stati Uniti una posizione di vantaggio nella guerra dell’informazione e nella sicurezza cibernetica globale.
Inoltre, lo sviluppo di porti artici multifunzionali nella costa occidentale dell’isola – ad esempio a Nuuk, Sisimiut e Upernavik – permetterebbe la creazione di hub doganali, aree franche e zone industriali speciali, che attrarrebbero investimenti internazionali e stimolerebbero l’occupazione locale. L’economia groenlandese, fortemente dipendente dalla pesca, avrebbe così l’occasione di diversificarsi ed espandersi verso l’industria leggera, la logistica e i servizi.
Questi sviluppi potrebbero generare una sinergia positiva anche per le regioni statunitensi settentrionali, come l’Alaska, che beneficerebbero di nuovi corridoi commerciali e accordi doganali interni. L’annessione della Groenlandia, se attuata in modo legittimo e collaborativo, amplierebbe quindi non solo lo spazio sovrano degli Stati Uniti, ma anche il loro campo d’azione geoeconomico, garantendo una posizione privilegiata nei flussi commerciali del XXI secolo.

Nina Celli, 4 aprile 2025

 
06

L’annessione avrebbe gravi implicazioni diplomatiche

CONTRARIO

L’ipotesi di un’annessione della Groenlandia da parte degli Stati Uniti ha suscitato non solo un’ondata di proteste interne da parte del popolo groenlandese e del governo danese, ma ha anche innescato una serie di reazioni preoccupate da parte di numerosi attori internazionali. La prospettiva che una potenza occidentale possa espandere i propri confini attraverso una logica annessionista ha generato timori di un ritorno a modelli geopolitici pre-1945, in netta contraddizione con l’ordine internazionale fondato sulla Carta delle Nazioni Unite e sulla cooperazione multilaterale.
Uno dei primi paesi a reagire con forza è stata la Danimarca, che detiene la sovranità formale sull’isola, pur rispettando la larga autonomia interna della Groenlandia. Il Ministro degli Esteri danese, Lars Løkke Rasmussen, ha condannato le dichiarazioni di Trump e JD Vance, accusandoli di ignorare gli accordi NATO e l’equilibrio strategico nell’Artico. Rasmussen ha dichiarato pubblicamente: “Siamo preoccupati non solo per la sovranità della Groenlandia, ma anche per la credibilità delle relazioni transatlantiche. Le provocazioni USA sono ingiustificate.”
La Danimarca ha inoltre annunciato un rafforzamento della propria presenza militare nell’Artico, con un piano da 2,1 miliardi di dollari in investimenti per aggiornare radar, basi navali e forze di sorveglianza nelle acque circostanti l’isola. Tali mosse indicano che l’annessione – anche solo come ipotesi – sta già destabilizzando la cooperazione atlantica e inasprendo le relazioni diplomatiche all’interno della NATO.
Anche la stessa Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) si trova in una posizione delicata. L’articolo 5 dell’Alleanza impone difesa reciproca, ma non contempla atti di coercizione interna tra membri. L’idea che gli Stati Uniti, colonna portante della NATO, possano forzare l’annessione di un territorio appartenente a un altro Stato membro rischia di compromettere l’intero impianto di fiducia su cui l’Alleanza è costruita. Alcuni analisti dello Stratfor avvertono che la NATO potrebbe "implodere per contraddizione interna" se una tale annessione venisse anche solo tentata.
Oltre all’ambito transatlantico, le implicazioni globali sono ancora più gravi. L’idea che gli USA possano acquisire territori con la forza o con minacce economiche rischia di delegittimare le accuse mosse contro attori come Russia e Cina, proprio in materia di espansionismo territoriale (si pensi all’Ucraina o al Mar Cinese Meridionale). In pratica, verrebbe intaccata la credibilità morale e diplomatica degli Stati Uniti, alimentando la propaganda delle potenze rivali che già da tempo denunciano l’ipocrisia occidentale in materia di diritti e sovranità.
Inoltre, la mossa statunitense rischia di avere ripercussioni dirette sulle relazioni con il Canada, che condivide con la Groenlandia numerose rotte artiche e rivendicazioni marittime. L’ex ambasciatore Daniel Fried ha dichiarato: “Con queste proposte, gli Stati Uniti rischiano di passare da leader del mondo libero a potenza revisionista. È un cambio di immagine che danneggia alleati e rafforza i nemici”.
Altre potenze, come l’Unione Europea, hanno manifestato allarme. Fonti diplomatiche europee riportate da Reuters indicano che Bruxelles vedrebbe con estrema preoccupazione un tentativo di annessione, in quanto aprirebbe la porta a un ritorno del “diritto del più forte” nelle relazioni internazionali e renderebbe più fragile l’equilibrio artico già minacciato dalla militarizzazione russa.
Le Nazioni Unite, pur non avendo preso una posizione ufficiale, hanno sottolineato in varie occasioni recenti (incluso il Forum Permanente sui Popoli Indigeni) l’importanza di rispettare l’autodeterminazione delle comunità locali, in particolare nelle regioni polari e insulari. La Groenlandia, abitata in maggioranza da popolazioni inuit, è tutelata anche da convenzioni internazionali sui diritti dei popoli nativi.
L’ipotesi annessionista, quindi, non solo appare irrealizzabile senza il consenso democratico groenlandese, ma si configura anche come una minaccia all’architettura diplomatica internazionale faticosamente costruita dopo il 1945. Gli Stati Uniti, se dovessero insistere su questa strada, rischierebbero l’isolamento geopolitico, il deterioramento delle alleanze storiche e una perdita di legittimità senza precedenti nel loro ruolo di garanti dell’ordine globale.

Nina Celli, 4 aprile 2025

 
07

Precedenti storici mostrano che l’annessione potrebbe essere resa legittimità

FAVOREVOLE

L’idea che gli Stati Uniti possano estendere il proprio territorio attraverso accordi internazionali non è una novità. La storia americana è segnata da una serie di acquisizioni territoriali pacifiche e legalmente riconosciute, che costituiscono un precedente importante per valutare la legittimità di un’eventuale annessione della Groenlandia. Se ben gestita, con il consenso delle parti coinvolte, una simile operazione potrebbe rientrare nei canoni della legalità internazionale, evitando la violazione dei diritti di autodeterminazione.
Uno dei casi storici più emblematici è l’acquisto dell’Alaska nel 1867, quando il Segretario di Stato William H. Seward concluse un trattato con l’Impero Russo per la cessione del vasto territorio nordamericano per 7,2 milioni di dollari. All’epoca, l’operazione fu derisa come “la follia di Seward”, ma oggi è considerata uno dei più importanti investimenti geopolitici degli Stati Uniti. Anche la Groenlandia, con le sue risorse naturali, la sua posizione strategica e il suo potenziale economico, potrebbe seguire un percorso simile, se supportata da un accordo multilaterale e da un chiaro mandato democratico.
Un altro precedente utile è rappresentato dai “Compacts of Free Association” (COFA), accordi attraverso cui territori del Pacifico come le Isole Marshall, Palau e Stati Federati di Micronesia hanno ottenuto indipendenza parziale in cambio di cooperazione strategica con gli USA. Questi trattati garantiscono agli Stati Uniti il diritto esclusivo di difesa e basi militari nei territori associati, in cambio di assistenza economica, protezione e accesso preferenziale ai mercati americani. Uno scenario simile potrebbe essere concepito per la Groenlandia, con la creazione di un modello associativo ibrido, che ne preservi l’autonomia ma ne garantisca l’integrazione parziale.
Anche il caso del Porto Rico offre spunti significativi. Pur non essendo uno Stato a pieno titolo, è un territorio non incorporato degli USA con un sistema fiscale, giudiziario e amministrativo ibrido. Sebbene il dibattito sull’indipendenza o statualità sia ancora aperto, l’esempio dimostra che esistono modalità intermedie per integrare nuovi territori senza violare la sovranità dei popoli.
Il presidente Donald Trump ha più volte richiamato esplicitamente questi precedenti nei suoi discorsi: “Abbiamo acquistato territori prima. È parte della nostra storia. L’Alaska, le Hawaii, Porto Rico. Perché non la Groenlandia, se lo vogliono?”.
Tuttavia, la questione centrale resta il consenso democratico. Ogni acquisizione territoriale deve fondarsi su tre pilastri giuridici: accordo formale tra le autorità sovrane (Danimarca e/o Groenlandia); Referendum popolare trasparente e certificato a livello internazionale; riconoscimento dell’ONU, secondo l’articolo 1.2 della Carta delle Nazioni Unite sul diritto all’autodeterminazione dei popoli.
In assenza di coercizione e con partecipazione popolare verificata, il diritto internazionale non vieta l’adesione volontaria di un territorio a uno Stato esistente. In questo senso, l’annessione della Groenlandia potrebbe trasformarsi in un caso esemplare di transizione consensuale, simile a quanto avvenuto in passato con l’integrazione della Baviera nella Germania post-napoleonica o dell’Alberta nel Canada moderno.
Analisti conservatori come Michael Hiltzik e consiglieri militari pro-Trump hanno suggerito che gli Stati Uniti potrebbero negoziare un’acquisizione graduale in più fasi, legando l’integrazione a risultati concreti in termini di sviluppo, infrastrutture e benessere locale. Questo approccio potrebbe mitigare le resistenze interne ed esterne, ponendo le basi per un processo “soft” e condiviso.
Quindi, la legittimità di un’eventuale annessione della Groenlandia da parte degli USA non è impossibile sul piano giuridico, purché sia guidata da principi democratici, da un patto multilaterale e da un rispetto rigoroso delle norme internazionali. Gli Stati Uniti, in quanto potenza globale, hanno più da guadagnare nel presentarsi come artefici di un nuovo modello di integrazione consensuale, piuttosto che come promotori di una neocolonizzazione autoritaria.

Nina Celli, 4 aprile 2025

 
08

L’annessione avrebbe conseguenze economiche, reputazionali e militari per gli Stati Uniti

CONTRARIO

L’eventualità che gli Stati Uniti annettano la Groenlandia, anche in forma parziale o tramite un processo forzato, comporterebbe una serie di conseguenze gravi e multidimensionali sul piano economico, reputazionale e militare. Oltre alla violazione del diritto internazionale e ai rischi diplomatici già discussi, tale operazione potrebbe rappresentare un boomerang geopolitico con impatti duraturi sulla stabilità interna e sulle relazioni globali degli Stati Uniti.
Uno dei principali miti legati all’annessione della Groenlandia è che si tratti di un’operazione economicamente vantaggiosa. Al contrario, la gestione integrata dell’isola comporterebbe costi elevatissimi per il bilancio federale. Secondo stime non ufficiali basate sulle proiezioni di spesa per territori americani d’oltremare, il solo aggiornamento infrastrutturale (porti, aeroporti, ospedali, strade, telecomunicazioni) richiederebbe oltre 100 miliardi di dollari in 10 anni.
La Groenlandia è scarsamente popolata (circa 56.000 abitanti), ma il suo territorio è vastissimo (oltre 2 milioni di km²), isolato, climaticamente estremo e geologicamente instabile. Ogni intervento – dalla difesa all’educazione – avrebbe un rapporto costo/beneficio molto sfavorevole. Inoltre, l’annessione implicherebbe l’estensione dei servizi federali: sanità pubblica, sicurezza sociale, sistema giudiziario, istruzione – tutti da implementare o adattare a standard USA, con costi ricorrenti.
Anche il solo mantenimento militare della base di Pituffik richiederebbe maggiori investimenti. In caso di annessione, gli Stati Uniti dovrebbero potenziare il dispositivo difensivo, allargando il perimetro di sicurezza artica e aumentando la presenza navale e aeronautica, in un contesto sempre più militarizzato a causa delle tensioni con Russia e Cina.
Dal punto di vista reputazionale, l’immagine degli Stati Uniti come difensori della democrazia e della legalità internazionale verrebbe gravemente compromessa. La narrativa dell’eccezionalismo americano – storicamente fondata sulla promozione della libertà e del rispetto del diritto – perderebbe credibilità se Washington assumesse un comportamento considerato imperialista o neocoloniale. Questa percezione negativa potrebbe influenzare negativamente le relazioni con gli alleati europei e asiatici, i processi negoziali in ambiti multilaterali (clima, commercio, disarmo) e la posizione degli USA nelle organizzazioni internazionali (ONU, WTO, G20), dove il soft power è essenziale. Come osservato da esperti dell’“Atlantic Council”, l’annessione della Groenlandia “trasformerebbe gli USA da leader globale a potenza revisionista, in contraddizione con l’ordine che loro stessi hanno creato nel dopoguerra”.
Un altro rischio critico è quello di una escalation militare regionale. La Russia ha già dichiarato che una militarizzazione della Groenlandia da parte degli Stati Uniti verrebbe considerata come una minaccia diretta alla sua sicurezza artica. La Cina, attraverso progetti infrastrutturali e scientifici nell’Artico, ha già espresso preoccupazione per un eventuale “controllo esclusivo” dell’area da parte di Washington.
L’annessione forzata potrebbe quindi provocare un aumento della presenza navale russa nel Mare di Barents e nel Mar di Groenlandia, nuove esercitazioni congiunte Cina-Russia nelle acque polari e un’accelerazione della corsa agli armamenti artici, con pericolose ripercussioni sulle strategie di deterrenza nucleare. All’interno della NATO, infine, un’azione unilaterale di annessione comprometterebbe la catena di comando integrata e potrebbe portare alcuni membri europei a riconsiderare il proprio impegno strategico con gli USA.
Non va sottovalutato l’impatto politico interno. Un sondaggio pubblicato da “ABC News” nel marzo 2025 mostra che il 68% degli americani si oppone all’annessione della Groenlandia, considerandola una “distrazione costosa” rispetto a temi come inflazione, assistenza sanitaria e disuguaglianze economiche. Molti vedono la proposta come una trovata elettorale, ideata per distogliere l’attenzione dai problemi interni. Analisti del “Foreign Affairs” e dell’“Atlantic Council” avvertono che l’insistenza su questo progetto potrebbe polarizzare ulteriormente l’opinione pubblica, dividere il Congresso tra fautori del realismo strategico e sostenitori del nazionalismo espansionista e intaccare la fiducia dei cittadini nelle priorità dell’amministrazione.

Nina Celli, 4 aprile 2025

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