La riforma avrebbe portato un accentramento di potere in capo al governo e il referendum che non avrebbe dovuto subire condizionamenti politici

Riequilibrio dei poteri del governo

I poteri normativi del governo sarebbero stati riequilibrati, attraverso limiti più stringenti alla decretazione d’urgenza, introdotti direttamente nell’articolo 77 della Costituzione. Si voleva evitare così l’impiego elevato che si è registrato nel corso degli ultimi anni e si vuole garantire contestualmente una risposta parlamentare in tempi certi alle principali iniziative governative tramite il riconoscimento di una corsia preferenziale e la fissazione di un periodo massimo di settanta giorni entro cui il procedimento deve concludersi.
Rispetto alla versione iniziale, inoltre, tale strumento era stato depotenziato: non c’è più la garanzia che il voto sarebbe avvenuto sul testo del governo o accettato dal governo. Quindi, il Parlamento avrebbe potuto sempre intervenire. Inoltre, il ricorso o meno al voto a data certa sarebbe stato affidato sempre a una deliberazione parlamentare.
Il governo ha puntato molto sulla vittoria del Sì, come confermato da alcuni protagonisti della riforma. Così Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme Costituzionali (Boschi all’Anpi, “repubblica.it” 22 maggio 2016): “I veri partigiani voteranno Sì. Se perdiamo, io e Matteo Renzi andremo via”.
Il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, (Referendum, ministra Giannini: “Bocciare la riforma sarebbe come Brexit”, “repubblica.it”, 1 giugno 2016) in proposito afferma: "E' un sì pacato nel rispetto delle ragioni del no. Ma dato con determinazione, superando il tabù dell'essere neutrali. Dire sì, metterci la faccia, significa riconoscere che questo referendum permette di costruire in nome non di un governo ma di un progetto politico e culturale che guarda al futuro. Mi colpisce abbiano aderito scienziati che lavorano fuori dall'Italia, da Harvard al Cern".
Il fatto che la riforma abbia avuto impulso da una volontà del governo non può poi stupire perché è già capitato in passato diverse volte: il disegno di legge D’Alema-Amato presentato nel 1999 e approvato nel 2001 che ha portato all’attuale assetto di competenze Stato-Regioni, il disegno di legge Berlusconi di riforma della parte II della Costituzione sottoposta a referendum nel 2006, il disegno di legge Monti di riforma dell’assetto delle competenze Stato-Regioni presentato nel 2012. E sono solo alcuni esempi.
Il governo Renzi, così come il governo Letta, sono nati con lo scopo specifico di spendersi e realizzare le riforme: “L’idea che il governo possa farsi promotore di una proposta di legge di revisione costituzionale si è affermata peraltro sin dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente: durante la seduta del 15 gennaio 1947 della II Sottocommissione, il Presidente Terracini mise ai voti il principio che la revisione della Costituzione potesse aver luogo su iniziativa del Governo e il principio venne approvato” (Basta un Sì, Botta e Risposta alle critiche, “bastaunsi”, consultato il 14 luglio 2016).
Massimo Cacciari ha commentato così la situazione: “Un potere rafforzato e ben suddiviso. Il potere non si indebolisce se è articolato razionalmente e democraticamente tra i soggetti giusti. E' quando si concentra in poche mani e si irrigidisce che diventa debole". (Ezio Mauro, Referendum, Cacciari: "Riforma maldestra ma è una svolta. L'attacca chi ha fallito per 40 anni", “repubblica.it”, 27 maggio 2016).

 

Più poteri all'esecutivo

Il fronte del No, formato da costituzionalisti e opposizioni, si è così espresso sulla riforma: “l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo” (Il documento di 50 costituzionalisti sulla riforma costituzionale, “La Stampa-Politica”, 22 aprile 2016).
Essi, nel documento per il No, hanno inoltre lanciato una stoccata al governo e a Renzi, soprattutto sul referendum, diventato una “decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo”.
I rischi riguardavano dunque principalmente il consolidamento del potere esecutivo a scapito degli altri poteri fondanti la democrazia, un pericoloso spostamento del principio dell’equilibrio dei poteri, la possibilità che i disegni di legge venissero approvati attraverso una corsia preferenziale e lo stretto legame con una maggioranza parlamentare teoricamente certa e compatta secondo la nuova legge elettorale.
Così si è espresso Gaetano Azzariti, Modifiche costituzionali in sintesi, “comitatoperilno”, consultato il 14 luglio 2016): “Alla compressione dell'autonomia della Camera (obbligata a esprimersi entro un tempo prefissato) si somma l'aumento del potere del Governo in Parlamento”.
Il governo Renzi godeva dell’appoggio di una maggioranza parlamentare ottenuta con una legge dichiarata incostituzionale. Così come per l’Italicum, dove l’esecutivo si è imposto, all’interno della riforma costituzionale, si assiste ad un tentativo di forzare le cose, soverchiando il sistema democratico italiano: “Le modifiche costituzionali: comportano lo stravolgimento della democrazia rappresentativa; concentrano il potere nelle mani del governo e di chi lo guida attribuendo ad un unico partito – che potrebbe anche essere espressione di una ristretta minoranza di elettori – potere esecutivo e potere legislativo; condizionano l'elezione del Presidente della Repubblica, dei giudici della Corte Costituzionale e dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, organi di garanzia e di controllo fondamentali per la vita della democrazia costituzionale”. (Associazione Nazionale Giuristi Democratici -Legge elettorale e riforma costituzionale). Matteo Renzi ha annunciato le sue dimissioni nel caso in cui a prevalere fosse il fronte del No e si è da subito speso per convincere gli elettori a votare Sì. Tale presa di posizione è risultata inaccettabile in una repubblica democratica che dovrebbe essere per sua natura scevra da qualsiasi tentativo di condizionamento.
Infine, sarebbe stata rafforzata l’intromissione del governo all’interno del potere legislativo. Il voto a data certa, infatti, sulle sue proposte di legge, concede ad esso un potere giudicato eccessivo. Anche l’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, ha accolto con diffidenza la strategia del premier: “Ha cominciato Renzi, personalizzando il referendum e legandolo alla sua sorte. Un errore capitale. Penso che lo abbia capito ma ormai non possiamo far finta di non vedere che la partita si è spostata, e si gioca tutta su di lui, da una parte e dall'altra, se mandarlo a casa oppure no”. (Ezio Mauro, Referendum, Cacciari: "Riforma maldestra ma è una svolta. L'attacca chi ha fallito per 40 anni", “repubblica.it”, 27 maggio 2016).

Non usa mezzi termini l’ex presidente della Consulta, Gustavo Zagrebelsky: “Avremo una campagna referendaria in cui il governo avrà una presenza battente, come se si trattasse d’una qualunque campagna elettorale a favore di una parte politica, e farà valere il plusvalore che assiste sempre coloro che dispongono del potere, complice anche un’informazione ormai quasi completamente allineata.
Ciò che si sta realizzando, per l’effetto congiunto della legge elettorale e della riforma costituzionale, è l’umiliazione del Parlamento elettivo davanti all’esecutivo” (Referendum costituzionale, i 15 motivi per dire no, “ilfattoquotidiano”, 6 marzo 2016).

 

Claudio Alessandro Colombrita,11 ottobre 2016