Le macchine non potranno mai avere la capacità creativa.

Secondo il filosofo e scienziato cognitivo Douglas R. Hofstadter, la creatività è:

- qualcosa che si fonda su meccanismi che possono essere almeno in parte riprodotti dalle macchine;

- strettamente connessa all’intelligenza, anzi, creatività, pensiero, intelligenza sono capacità che si co-implicano indipendentemente se a possederle sia una macchina o un uomo. Quindi parlare di una macchina intelligente ma non creativa è una contraddizione in termini.

La creatività deve allora essere pensata come una conseguenza dei “concetti” presenti in una mente. L’idea di concetto rimanda a sua volta alla memoria, che è il luogo dove i concetti sono immagazzinati. È la stessa organizzazione della memoria che definisce ciò che sono i concetti: essere concetto è dunque una proprietà di connessione. Tutto questo serve per comprendere l’idea che il processo creativo è in realtà un processo altamente selettivo di un piccolo numero di situazioni che sono immagazzinate nella memoria. Ma se così stanno le cose, solo attraverso la comprensione dell’organizzazione della memoria – che è equivalente alla comprensione di che cos’è un concetto – si potrà spiegare in termini meccanici il processo creativo.

Tuttavia, è possibile farsi un’idea della “meccanica della creatività” prendendo un esempio tratto da un articolo di Hofstadter pubblicato per “Le Scienze” (Douglas R. Hofstadter, Temi metamagici, in “Le Scienze”, n. 171, nov. 1972).

L’esempio muove dal comportamento apparentemente creativo della vespa Sphex della famiglia delle Sphecidae. Tale vespa, quando è tempo di deporre le uova, costruisce a questo scopo un nido. Successivamente, paralizza un grillo col suo veleno pungendolo in modo tale da non ucciderlo. Il grillo viene trascinato nella tana e la vespa depone le uova per non tornare più. Quando queste si schiuderanno le larve potranno nutrirsi del grillo.

Fa notare Hofstadter che una simile operazione alla mente umana sembra elaborata, intrisa di logica, pensata, programmata e, sostanzialmente, sembra avere una certa carica di inventiva. Tuttavia, esaminando con più attenzione alcuni dettagli dell’operazione eseguita dalla vespa Sphex ci si rende conto che essa agisce in modo puramente meccanico: “per esempio, il procedimento della vespa consiste nel portare il grillo paralizzato sulla soglia del nido, lasciarlo a terra, entrare a vedere se tutto va bene, emergere e poi trascinare dentro il grillo. Se si sposta il grillo di pochi centimetri mentre la vespa è dentro a compiere la sua ispezione preliminare, la vespa, quando emerge dal nido, riporterà il grillo sulla soglia, ma non dentro, e ripeterà la procedura preparatoria dell’entrare nel nido per controllare che tutto sia apposto” (ibidem, p. 25). La vespa Sphex ripete questa operazione tutte le volte che si sposta il grillo dalla soglia.

Paragonando l’agire della vespa con quello degli esseri umani ci si rende conto che ad essa sembra manchi quella qualità che generalmente gli uomini attribuiscono alla coscienza. Per dirla in maniera più chiara, la vespa sembra avere una “caratteristica” opposta a quella degli uomini. Allora, si potrebbe proporre di chiamare questa “caratteristica” “sphexinità” – in onore della vespa – e l’opposto di essa, “antisphexinità”. Possiamo porre che il massimo grado di coscienza sia coincidente con il massimo grado di antisphexinità. Ora, ciò che si deve comprendere, è che l’opposizione sphexinità-antisphexinità rappresenta i due estremi di un continuum.

Si possono fare una serie di esempi distribuiti lungo questo continuum (Cfr. Ibidem.):

1-  Un DVD rovinato;

2-  La vespa Sphex o una zanzara che fugge quando un essere umano tenta di schiacciarla ma che tuttavia non riesce a formulare un pensiero del tipo: “Caspita, c’è un agente animato che vuole farmi fuori!”;

3-  Un cane che diverse volte viene ingannato dal movimento di qualcuno che fa finta di lanciare una pallina;

4-  Un tizio imbambolato che gioca con un video poker o una slot machine;

5-  Una persona che fischietta sempre lo stesso motivo; sempre e solo quello!;

6-  Un “writer” che lascia la sua tag su ogni muro della città, variandone a malapena il colore;

7-  Persone che raccontano sempre le medesime storie solo con qualche piccola variante;

8-  Un matematico che usando la medesima tecnica per ogni suo articolo fa compiere progressi in diversi ambiti scientifici: lui direbbe che usa sempre “il suo vecchio trucco”;

9-  Quelle persone che proprio non riescono a imparare dai propri errori e li commettono sempre allo stesso modo... e sono consapevoli che non impareranno!;

10- Tendenze sociali che diventano completamente stilizzate e prevedibili: lo sappiamo tutti che in un film di supereroi il protagonista non muore mai;

11- Stili artistici che col tempo diventano canonici, ripetitivi al punto da non essere nemmeno più creativi.

12- Un writer che non lascia la sua tag in giro ovunque, ma che preso atto dei problemi relativi all’abbandono degli spazi urbani decide di utilizzare uno di quelli spazi per la realizzazione di un’opera d’arte. Ed ogni volta che compie questo atto lo fa in modi sempre diversi e con tecniche diverse, rischiando in alcuni casi di fare un’opera artisticamente poco valida, ma sicuramente ingegnosa.

13- Uno scrittore che trova il modo di sintetizzare le esperienze e le correnti letterarie precedenti e contemporanee creando, allo stesso tempo, una poetica che sembra rompere qualsiasi canone sinora visto. In sostanza, un’artista che crea qualcosa che non si era mai visto.

Quanto divergono gli ultimi esempi fatti con quelli del DVD rovinato o della zanzara? In cosa consiste la differenza che caratterizza ogni voce di questo elenco rispetto alla precedente e alla successiva?

Secondo Hofstadter, la differenza consta “in una generale capacità di cogliere gli schemi imprevisti in momenti imprevisti in contesti imprevisti. Ad esempio voi, avete appena notato uno schema” (Ibidem), ossia tre ripetizioni molto vicine di una parola nella stessa frase.

Ora, se la creatività è qualcosa che riconosciamo come una “rottura dello schema” e se questa è una caratteristica che può essere espressa secondo una gradazione, allora non c’è ragione di pensare che una macchina sia ontologicamente impossibilitata ad essere creativa: ad esempio, l’abilità di un musicista Jazz nell’improvvisare e creare sonorità nuove – magari attraverso dei cromatismi – consiste nella sua capacità di nascondere le regole che sta applicando; allo stesso modo una macchina che gioca a scacchi, sarà tanto più creativa, quanto più essa saprà nascondere le regole che condizionano le sue mosse.

Nella letteratura sul test di Turing si può parlare dell’“obiezione di Lady Lovelace” in riferimento a tutti gli argomenti che cercano di mostrare l’impossibilità per delle macchine di compiere processi “creativi”.

Ada Lovelace fu una matematica inglese, unica figlia legittima di Lord Byron, nota soprattutto per i suoi studi e il suo lavoro sulla macchina analitica di Babbage. Ella sosteneva che la macchina analitica non ha la pretesa di creare alcunché. Può fare qualsiasi cosa, sappiamo come ordinarle di fare (Cfr. Douglas R. Hartree, Calculating Instruments and Machines, The University of Illinois Press, 1949).

La visione di Lady Lovelace sulla base delle analogie tra la macchina analitica e i moderni computer potrebbe essere riformulata nel seguente modo:

una macchina non può fare mai qualcosa di veramente nuovo (o di creativo, che dir si voglia) e riuscire a sorprenderci.

La creatività sembra essere qualcosa di assolutamente non meccanizzabile, e sembra esserlo non solo perché tendiamo ad attribuirle un valore quasi “mistico” e a ritenerla una “scintilla” che caratterizza l’essere umano, ma piuttosto per il fatto che essa è “non meccanizzabile” per definizione, essendo un processo che “esce fuori dagli” schemi, che certo magari può anche crearne di nuovi, ma che tuttavia rappresenta sempre l’emergere di qualcosa di sorprendente, inaspettato, e, in una parola, di non meccanico, così come lo sono le azioni che compiono le macchine, le quali sono appunto risposte programmate (output) a degli stimoli (input).

Si potrebbe obiettare che però sono molte le occasioni nelle quali i computer possono sorprenderci: ad esempio per la capacità di calcolo, per il modo con il quale possono riprodurre molte delle capacità umane: si pensi alle le macchine di Rodney Brooks, professore di robotica al MIT, in grado di conoscere uno spazio e di riuscire a muoversi all’interno di questo autonomamente.

Il punto però è capire il modo in cui si intende il termine “sorprendente”. È certo infatti alcune delle capacità delle macchine possono sorprenderci e anche che dei computer potrebbero “inaspettatamente” eseguire compiti per i quali non erano stati pianificati; tuttavia si deve ammettere che in quei casi la macchina non ha di fatto “dato origine” a qualcosa così come fanno gli esseri umani.

Matteo D'Angelo, 18 luglio 2016