Il baluardo contro il radicalismo islamico è l'Islam moderato

L'aiuto dei moderati è indispensabile

Per il giornalista di origini marocchine Khalid Chaouki, responsabile nazionale seconde generazioni dei Giovani Democratici: “I musulmani devono essere il fronte duro non solo contro il terrorismo ma contro qualsiasi forma di estremismo [attraverso una vera e propria] battaglia culturale” (Charlie Hebdo, Chaouki: Islam è vittima del terrorismo, Salvini smetta di speculare contro un'intera comunità, “partitodemocratico.it”, 9 gennaio 2015).
Durante il programma televisivo “L'aria che tira” del 9 gennaio 2015, Chaouki rinnova il suo appello (in seguito agli attacchi terroristici al giornale satirico “Charlie Hebdo” del 7 gennaio 2015) a una larga partecipazione verso manifestazioni di solidarietà che vadano oltre i comunicati stampa delle varie associazioni. Così il giornalista: “Perché abbiamo bisogno di vedere realmente i musulmani d'Italia [mostrare la volontà di costruire] un clima di reciproca fiducia, [che tolga a chi] sta speculando in maniera inaccettabile e vergognosa contro un'intera religione, l'alibi [del radicalismo]” (Ibidem).
Da un'altra prospettiva, quella della lotta sul campo al terrorismo internazionale, l'opinione di Khaled M. Abou el-Fadl, professore di Diritto Islamico presso la UCLA (University of California, Los Angeles), è che “i servizi segreti devono recarsi presso le comunità islamiche e dire ‘aiutateci, per favore, perché non abbiamo piacere nel mettere musulmani innocenti in galera. Aiutateci a capire chi sono i cattivi’” (TdR) (Patt Morrison, 'Not an Islam I can recognize'; a Muslim scholar discusses the Paris attacks, “Los Angeles Times”, 13 gennaio 2015).
Sostiene el-Fadl: “Le migliori informazioni antiterroristiche vengono dagli alleati che hai all'interno di queste comunità” (TdR) (Ibidem).

 

Gli estremisti non sono che una minoranza mal tollerata

Secondo quanto riportato da Stephen Suleyman Schwartz, giornalista statunitense e direttore del Centre for Islamic Pluralism di Washington, autore de Le due facce dell'Islam. Il fondamentalismo saudita e il suo ruolo nel terrorismo (Doubleday, 2002) e de L'altro Islam. Il sufismo e la via verso l'armonia globale (Doubleday, 2008), all'interno del variegato mondo islamico (che spazia dalla penisola arabica al Marocco, dall'Africa occidentale ai Balcani, dall'Egitto fino alla Malesia, dalla Somalia alle steppe asiatiche e agli Stati Uniti d'America) è prevalente una vera e propria ostilità nei confronti del conservatorismo e dell'estremismo wahhabita, la cui ideologia viene invece “infiltrata” e “iniettata” come un vero e proprio virus all'interno delle organizzazioni di guerriglia più politicamente isolate, come per esempio in Cecenia e nella Bosnia-Erzegovina negli anni Novanta o nei territori ex-sovietici dell'Asia centrale (Cfr. Stephen Suleyman Schwartz, Defeating wahhabism, “archive.frontpagemag.com”, 25 ottobre 2002).
In questi frangenti, segnala Schwartz, si ripete sempre lo stesso schema, che vede agenti sauditi infiltrarsi all'interno di organizzazioni di resistenza per “sfruttare le sofferenze e le atroci persecuzioni [di cui sono vittime i musulmani in tali paesi e di] indottrinare, finanziare, reclutare, incitare al terrore [allo scopo di] utilizzare musulmani ordinari per portare avanti la loro agenda fondamentalista ed estremista” (TdR) (Ibidem).
Quanto alle comunità che vivono un Islam tradizionale, Schwarz scrive: “Queste formazioni culturali si oppongono radicalmente alle pretese dei Wahhabiti Sauditi di unificare l'Islam mondiale sotto il loro controllo”, e annota per converso come “Nei conflitti nel Caucaso e nei Balcani gli Wahhabiti Sauditi [si siano] dimostrati i peggiori nemici dell'Islam locale” (TdR) (Ibidem).
Islam locale, Islam popolare, Islam tradizionale: sotto queste denominazioni, secondo Suleyman Schwarz, ricade la stragrande maggioranza della popolazione islamica mondiale, la quale costituisce e costituirà il più efficace anticorpo contro la diffusione dell'Islam radicale wahhabita e salafita. Così Suleyman Schwarz: “C'è un certo Islam erroneamente caratterizzato alle volte come 'Islam popolare'. Diciamo che caratterizza un 'popolo' piuttosto grande. I sostenitori di questo 'Islam popolare' includono, come minimo, la maggioranza della popolazione musulmana del mondo, che si trova in Africa Occidentale, in Marocco, in Algeria, in Egitto, in Siria, in Iran, in Malesia, così come nei Balcani, in Turchia, in Caucaso, e in Asia Centrale. In Indonesia, i sostenitori del cosiddetto 'Islam popolare', organizzati in gruppi come Nadhlatu Ulama e Muhammadiyya, con 70 milioni di membri, si sono mobilitati contro le infiltrazioni degli Wahhabiti. Credo che i milioni di musulmani tradizionali indonesiani cancelleranno la minaccia estremista in quel paese; gli orrori degli attentati di Bali non gli sono piaciuti per niente” (TdR) (Ibidem).

 

Solide tradizioni di Islam moderato resistono efficacemente alle infiltrazioni degli estremisti

A riprova della sua convinzione riguardo la centralità del cosiddetto Islam locale nella lotta contro la diffusione dell'estremismo islamico, Suleyman Schwarz riporta la sua esperienza personale nei conflitti balcanici degli anni Novanta: “Ho osservato personalmente il fallimento degli infiltrati Wahhabiti Sauditi nel prendere il controllo dell'Islam in Bosnia-Herzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia e Albania. Questo tentativo profondamente cinico era motivato dalla credenza che il terribile martirio subito in particolare dai musulmani bosniaci avrebbe indotto queste vittime di un tentato genocidio a gettare via le loro radici europee e le loro aperte e tolleranti tradizioni dell'Islam ottomano, e ad abbracciare l'estremismo Wahhabita. Credo non ci sia alcuna comunità islamica al mondo che possa dire di aver sofferto, negli ultimi cinquant'anni, un'agonia comparabile a quella dei bosniaci: decine di migliaia di donne e ragazze violentate, un quarto di milione di morti, il 40% delle moschee rase al suolo, più di mezzo milione di persone spossessate delle loro case. Eppure i credenti bosniaci, con gli occhi fermamente puntati verso la loro propria cultura sunnita così come sulle loro tradizioni particolari, si sono rifiutati di sottomettersi al controllo saudita. Eppure, il rifiuto delle pretese Saudite-Wahhabite da parte dei kosovari musulmani è stato persino più drammatico. Per metterla giù semplice, l'intera nazione albanese sa perfettamente che deve la sopravvivenza di due milioni e mezzo di musulmani kosovari all'azione dell'Occidente democratico, dei leader cristiani degli Stati Uniti, e alla nobile attività dei leader religiosi e civili ebrei in Occidente, che hanno preteso che si agisse per fermare il terrore serbo. In Kosovo, la finta guerra santa dei Wahhabiti-Sauditi ha completamente fallito” (TdR) (Stephen Suleyman Schwartz, Defeating wahhabism, cit.).

 

Parlare di Islam moderato è una contraddizione: l'Islam moderato non esiste

Secondo Magdi Cristiano Allam, giornalista egiziano convertitosi al cristianesimo nel 2008 e famoso per le sue aspre critiche al mondo islamico, è vera la lapidaria tesi di Oriana Fallacci per la quale “se un musulmano segue i dettami del Corano non può essere moderato” (Magdi Cristiano Allam, Colleghi, vergognatevi: state facendo il gioco di chi mi vuole morto, “Il Giornale”, 28 agosto 2014).
Ancora Magdi Allam: “La strage di Charlie Hebdo è un simbolo della contiguità e della consequenzialità del pensiero e delle azioni dei moderati e dei terroristi islamici” (Magdi Cristiano Allam, I versetti dell'odio che insegnano come uccidere, “Il Giornale”, 9 gennaio 2015).

 

L'Islam moderato è ininfluente nella società islamica

Pur precisando che è solo “una parte dell'Islam – per fortuna non tutto [ad averci] dichiarato guerra”, il leader della Lega Nord Matteo Salvini, lamenta come, in occasione di fatti di sangue rivendicati da gruppi islamici estremisti “le condanne sono sempre troppo tiepide e non vedo le masse dei musulmani moderati in piazza” (Salvini: “L’Islam è pericoloso, il Papa sbaglia a dialogare, si preoccupi dei cattolici”, “La Stampa”, 8 gennaio 2015).
Manifesta con rabbia la stessa opinione Dounia Ettaib, presidente dell'Associazione delle Donne Arabe in Italia (DARI), mostrando tutto il suo sconforto per l'assenza colpevole di un’affermazione chiara da parte delle comunità islamiche che si dicano moderate. Così Dounia Ettaib: “Islam moderato; cosa s'intende per Islam moderato? Ho sempre visto la religione come un aspetto privato ed intimo. Il meglio della religione si ha quando si diventa socialmente responsabili. Voglio dire: io vivo nel mio quotidiano facendo il buon cittadino e questa è un'ottima religione. Si parla di Islam moderno quando tutti sono bravi a stringersi la mano e poi, appena ci si allontana, tutti nemici come prima. Questo non è Islam moderato perché l'Islam moderato è quello che si batte per un Islam vero, reale, che parla di una tradizione di amicizia, che condanna ogni attentato, che condanna ogni iniziativa contro la discriminazione femminile. Questa non è religione e l'Islam moderato non può permettere che una religione venga diffamata in questo modo. Io non sento echi quando sento queste cose oppure quando viene violentata una ragazza, uccisa una donna oppure quando viene continuamente condannato Israele per quello che succede in Palestina. L'Islam moderato non alza mai la voce per condannare fermamente queste diffamazioni. Finché non si prendono delle posizioni chiare, non credo esista un Islam moderato” (Astrit Sukni, L'islam in Italia: intervista a Dounia Ettaib, “informazionecorretta.com”, 4 aprile 2013).
Tale disincanto nei confronti delle possibilità d'azione dei moderati nella società islamica è amaramente condivisa anche dagli islamici moderati stessi. Come scrive 'Abd al-Magid Charfi (La secolarizzazione nelle moderne società arabo-musulmane, 1982, in Paolo Branca, Voci dell'Islam moderno. Il pensiero arabo-musulmano tra rinnovamento e tradizione, Marietti, 1991, p. 295): “É del tutto vano sperare di dimostrare che l'Islam abbia in sé i germi di una qualche secolarizzazione”. Anche il direttore di “MicroMega” Paolo Flores d'Arcais condivide questo giudizio: “Oggi l'Islam riformato e secolarizzato è pressoché introvabile, nasconderselo è colpevole cecità. Peggio: è la consapevole ipocrisia degli establishment occidentali a cui interessa in primo luogo che con gli interlocutori islamici sia in comune la suprema religione di Mammona, il Dio denaro che presiede al petrolio e alla Borsa. Ecco perchè non hanno mai appoggiato nessun conato di islamismo riformato” (Paolo Flores d'Arcais, Je suis Charlie? Je suis Charlie! Democrazia e laicità di fronte al terrorismo islamico, “MicroMega”, 2015, 1, p. 11).
Il giornalista statunitense Timothy Furnish (Zuhdi Jasser, M.D.: Islam’s Luther—or its Don Quixote?, “historynewsnetwork.org”, 21 aprile 2010) paragona Zuhdi Jasser, fondatore dell'American Islamic Forum for Democracy, a un “Don Chisciotte dello sforzo anti-islamista”. Jasser, come un Martin Lutero dell'Islam, spera infatti che nella religione musulmana possa avvenire una riforma in senso laico che porti la società islamica a compiere un salto dalla shari'a alla separazione tra moschea e stato. Eppure, nota Furnish, egli sta “mettendo il carro dell'Illuminismo davanti ai buoi della Riforma” (Ibidem).
Il progetto di Jasser, che si propone come un vero e proprio Lutero dell'Islam, consiste nel recupero delle dottrine dei Mu'Tazilah, un antico gruppo islamico minoritario che sosteneva la centralità della ragione nella Rivelazione e la natura storica del Corano, del quale negava la coeternità con Allah.
Tali idee sono state marginalizzate nell'Islam almeno a partire dal X secolo, scrive ancora Furnish, rimanendo in vita solo in gruppi islamici settari e poco rappresentativi, diffusi soprattutto in Occidente. Da qui deriva lo scetticismo del giornalista nei confronti del progetto riformista di Jasser, che insiste nell'affermare che la riforma dell'Islam deve avere luogo all'interno della corrente maggioritaria dell'Islam, quella sunnita, piuttosto che nel ristretto ambito dello sciismo e delle sette sufi.
Il più grosso problema di questo “approccio veramente americano, anzi protestante, al Corano [è che] praticamente nessun musulmano, in questo momento storico, lo pratica” (Ibidem).
Il giornalista ritiene che assegnare a Jasser un ruolo di primo piano nella politica interreligiosa degli Stati Uniti, come per esempio la carica di ambasciatore per la Organization for the Islamic Conference, giudicato “troppo moderatamente” moderato (le sue posizione sono troppo vicine a quelle dei Fratelli Musulmani, scrive Furnish, che critica il suo tentativo di presentare l'Islam come oggetto di fraintendimenti piuttosto che come meritevole di riforma), potrebbe, nonostante la sua inclinazione “sunni-centrica”, amplificare la risonanza mediatica delle idee di Jasser e rafforzarne l'autorevolezza anche in seno ai leader islamici più moderni e potenziali recettori di queste idee di riforma (come ad esempio l'Aga Khan, imam degli ismaili, Hisham Kabbani, sceicco americano a capo dell'ordine sufista Naqshbandi-Haqqani e Muhammad Tahir al-Qadri, che nel Regno Unito ha di recente lanciato una fatwa contro i terroristi).

 

Islam moderato: una montatura

Per Edward Luttwak, intervistato da Gian Micalessin (Che illusi USA ed Europa. Questo è il vero Islam, “Il Giornale”, 23 agosto 2014): “Obama, Cameron e gli altri si sforzano di credere ad un paio di predicatori in giacca e cravatta, sempre pronti a sostenere il dialogo interreligioso e a stringere le mani di preti e rabbini. Ma nel mondo islamico dettano legge i combattenti. Sennò perché i giovani abbandonerebbero l'Europa per combattere con lo stato islamico? L'Islam dei predicatori gentili e carini è una montatura”.