La riforma pone fine, una volta per tutte, all’ignobile prassi degli “ergastoli bianchi”, una sorta di limbo nel quale i pazienti perdevano completamente cognizione di chi fossero, perché fossero lì e per quanto tempo ancora ci dovessero restare. L’internamento prolungato anche per decine di anni, talvolta a fronte della commissione di un reato bagatellare, era frutto di un uso improprio delle proroghe, giustificate esclusivamente dall’assenza di percorsi territoriali di cura alternativi agli OPG. Una vergogna nazionale finalmente cessata grazie alla previsione di un limite massimo di durata della misura di sicurezza e al divieto di fondare il giudizio di pericolosità sociale sulla sola mancanza di programmi terapeutici individuali. Inoltre, impedendo al giudice di tener conto, per la suddetta valutazione, delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo, si allontana dal giudizio il peso di situazioni contingenti in alcun modo imputabili al malato psichiatrico, già di per sé vulnerabile a causa della patologia.