La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari è giusta perchè sono strutture non degne di un paese civile

Gli OPG costituiscono l’ultimo, inaccettabile residuo dell’istituzione manicomiale

In occasione del discorso di fine anno del 31dicembre 2012, Giorgio Napolitano definiva gli ospedali psichiatrici giudiziari “autentico orrore, indegno di un paese appena civile” (Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, “Presidenti.quirinale.it”, 2012). L’aspra dichiarazione dell’allora presidente della Repubblica era frutto di una dura presa di coscienza con la quale tutti gli italiani sono stati costretti a fare i conti a seguito di quanto emerso dalle ispezioni svolte nel corso dell’inchiesta sul Sistema Sanitario Nazionale e, in particolare, sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari. A conclusione della dettagliata Relazione sulle condizioni di vita e di cura all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari (“Senato.it”, 2008), approvata il 20 luglio 2011, la Commissione auspicava “il superamento di una situazione di fatto e di diritto che, per molti aspetti, è del tutto incompatibile con i dettami della Costituzione”. Infatti, tutti gli OPG presentavano un assetto strutturale assimilabile al carcere o, addirittura, all’istituzione manicomiale, con frequente utilizzo di pratiche cliniche e mezzi di contenzione, meccanici e farmacologici, inadeguati che, in alcuni casi, si sono rivelati lesivi della dignità della persona.

Memore delle rilevazioni effettuate nel corso dei sopralluoghi svolti nei sei OPG, il presidente della Commissione di Inchiesta Ignazio Marino, in sede di dichiarazione di voto sulla legge di conversione del decreto legge numero 211 del 2011, ha affermato che “il nostro Paese non può e non vuole tollerare che esista un ‘inferno dei dimenticati’”, e cioè un “luogo in cui celare ciò che per alcuni erano solo ‘rifiuti umani’” (Resoconto sommario seduta del Senato del 25 gennaio 2012, “Senato.it”, 2012). Infatti, come si può leggere anche nella relazione sui sopralluoghi effettuati in data 11 giugno 2010 presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), agli occhi della delegazione della Commissione si presentava una situazione che sarebbe intollerabile anche laddove, in luogo degli internati, vi fossero stati degli animali: “all’interno della stanza contraddistinta dal n. 4, munita di letti particolari che presentavano un foro in corrispondenza del bacino, veniva rinvenuto il sig. S. C. Questi era nudo; coperto da un lenzuolo; in regime di contenzione attuata mediante costrizione a letto con una stretta legatura con garza, sia alle mani che ai piedi, che gli impediva qualsiasi movimento. L’internato presentava, altresì, un vistoso ematoma alla zona cranica parietale. In merito, si prendeva visione del registro dei trattamenti di contenzione dal quale emergeva che questi non era indicato” (Relazione sulle condizioni di vita e di cura all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, cit.).

L’onorevole Michele Saccomanno, relatore dell’inchiesta parlamentare, ha dichiarato di aver provato orrore nel camminare per i corridoi degli OPG “per l'aver creato, come società, territori nei quali qualcuno ritiene di aver nascosto non ammalati psichiatrici, ma mostri di cui vergognarsi, appestati da punire oltre la legge” (Ospedali psichiatrici giudiziari: bocciati, “Corriere della Sera”, 28 luglio 2010). Si tratta di luoghi che la senatrice del Movimento Cinque Stelle Daniela Donno ha definito “contraddittori, ibridi, a metà tra carceri medievali e ospedali da film dell’orrore, […] centri di segregazione dove, con ipocrisia, si spaccia il mero isolamento per attività terapeutica riabilitativa” (Resoconto stenografico 236° seduta del Senato della Repubblica, “Senato.it”, 23 aprile 2014).

Gli ospedali psichiatrici giudiziari, di fatto, costituiscono l’ultimo “residuo di esigenze custodialistiche dopo l’abrogazione della legge manicomiale del 1904 ad opera della legge n. 180/1978”, come sostenuto anche dal giurista e avvocato penalista Carmelo Peluso (Misure di sicurezza (profili sostanziali), in Digesto delle discipline penalistiche, Utet, 1994, Vol. VIII, p. 161), nei quali si dà esecuzione ad una misura di sicurezza “improntata a criteri di segregazione e di custodia” (ibidem). La loro chiusura è l'unico orizzonte da seguire secondo il giornalista e ricercatore Antonio Esposito: “Questi luoghi non possono essere riformati, possono solo essere chiusi. Perché dietro le loro sbarre muore la democrazia. Perché la loro esistenza e resistenza alla riforma psichiatrica rappresenta il lascito di una barbarie manicomiale che l'Italia rischia di dover ancora affrontare” (Antonio Esposito, Opg di Aversa un luogo di morte, “La Repubblica”, 13 maggio 2011).
In favore della loro chiusura si è espresso anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Secondo Noury gli OPG italiani non hanno fatto altro che consolidare la “pericolosa e infondata idea che vi fosse un legame tra follia e delinquenza e che la società potesse sentirsi al riparo dall'una e dall'altra attraverso la sedazione e la contenzione dei corpi dei detenuti”, trattamenti che, nella maggior parte dei casi, sono “contrari alla dignità umana e in violazione degli standard internazionali in materia di reclusione di soggetti psichiatrici o presunti tali” (Marta Rizzo, Si conclude per sempre la barbarie degli OPG italiani, “La Repubblica”, 30 marzo 2015).

 

Negli ospedali psichiatrici giudiziari non c’è cura ma solo contenzione

All’indomani dell’approvazione della relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, il senatore relatore Saccomanno ha dichiarato che “alcune strutture sono indecenti e indecorose, una ferita per un Paese che voglia dirsi civile. In queste strutture non c'è certezza della pena né cura, visto che malati psichiatrici ricevono meno di un'ora al mese assistenza psichiatrica” (Ospedali psichiatrici giudiziari: bocciati, “Corriere della Sera”, 28 luglio 2010). Lo stesso Michele Saccomanno, inoltre, in sede di dichiarazione di voto sulla legge di conversione del decreto legge numero duecentoundici del 2011 (Resoconto sommario seduta del Senato del 25 gennaio 2012, “Senato.it”, 2012) ha definito l’internamento in OPG “un girone infernale senza salute e senza dignità per le persone”, quasi che la pena per la commissione di un reato per il quale si è stati dichiarati incapaci di intendere e di volere debba consistere nella privazione del diritto alla salute.
Le persone ricoverate negli OPG, infatti, secondo la senatrice del Partito Democratico Nerina Dirindin “soffrono di quello stigma e di quegli enormi pregiudizi che ancora esistono nel nostro Paese nei loro confronti” e che producono, quale inevitabile effetto, l’esclusione e l’isolamento dei malati psichiatrici, che si traducono nella “mancanza di piani terapeutico-riabilitativi degni di un servizio sanitario che si faccia carico soprattutto dei più deboli” (Resoconto stenografico della 237° seduta del Senato della Repubblica, “Senato.it”, 24 aprile 2014). Questi luoghi, secondo l’onorevole Maria Rizzotti, di fatto “non curano, ma si limitano a contenere persone di cui nessuno vuole farsi carico” (Resoconto stenografico della 236° seduta del Senato della Repubblica, “Senato.it”, 23 aprile 2014).
Pertanto, la senatrice di Forza Italia e vicepresidente della Commissione Igiene e Sanità Donella Mattesini ha sostenuto con forza che occorre “chiudere definitivamente gli OPG è un dovere di civiltà e di solidarietà” in quanto “nessun paziente deve essere mai esposto al rischio di subire danni alla propria salute perché ristretto in un luogo che non ha le caratteristiche adeguate per esercitare davvero una funzione di cura” (ibidem). E ciò è confermato anche dallo psichiatra Emilio Sacchetti, presidente della Società Italiana Psichiatria e docente all’Università di Brescia, secondo il quale quello fornito da alcuni OPG è “un percorso di ‘cura non cura’” dal quale è assolutamente necessario uscire (Maria Giovanna Falella, L'allarme degli psichiatri: "Da aprile 800 malati mentali senza cure", “Corriere della Sera”, 14 febbraio 2013).

In conclusione, la chiusura degli ospedali giudiziari psichiatrici costituisce una decisa presa di posizione da parte del legislatore con la quale, per il deputato del Partito Democratico Davide Mattiello, si ribadisce a gran voce che “il primo dovere della Repubblica è quello di farsi carico adeguatamente della persona malata e socialmente pericolosa, curandola al meglio delle proprie possibilità per riscattarla ad una vita libera e dignitosa [perché] la malattia mentale non è una colpa” (Resoconto stenografico 226° seduta Camera dei deputati, “Camera.it”, 12 maggio 2014).

 

Gli OPG mantengono una loro utilità che la riforma non prende in considerazione

In perfetta contrapposizione rispetto alle tesi sostenute dai promotori della riforma, il neuropsichiatra infantile e deputato della Lega Nord Massimo Polledri fin dal primo momento si è opposto alla chiusura degli OPG, le cui deplorevoli condizioni non sono poi così diverse da quelle di molti altri reparti ospedalieri. Gli ospedali psichiatrici giudiziari, in particolare, non meritano di essere chiusi in quanto hanno sempre svolto la loro funzione terapeutica e rieducativa; a dimostrazione di ciò, in occasione della discussione alla Camera sulla conversione del decreto legge 211 del 2011, l’onorevole Polledri ha narrato una vicenda della quale ha avuto conoscenza nell’esercizio della sua professione e che dimostra l’utilità dell’istituzione che con la riforma si intende eliminare. Il caso trattato riguardava una paziente psichiatrica che frequentava regolarmente i reparti del servizio psichiatrico di diagnosi e cura, i quali non potevano tuttavia prenderla in carico perché non si occupano per loro natura di lunghe degenze, come sarebbe stato invece necessario nel caso della suddetta paziente. Quest’ultima, abbandonata a se stessa, aveva commesso un fatto di reato e, in ragione della sua infermità mentale, il giudice aveva ordinato il ricovero presso un ospedale psichiatrico giudiziario. All’interno dell’OPG è stato svolto un serio percorso rieducativo che ha permesso alla ragazza di intraprendere, una volta rimessa in libertà, una vita soddisfacente; obiettivo che, al contrario, sarebbe stato irraggiungibile laddove tali strutture fossero state già soppresse (Resoconto stenografico dell’Assemblea Seduta n. 583, “Camera.it”, 8 febbraio 2012). Lo psichiatra Alessandro Meluzzi, in una lettera inviata al direttore de “Il Giornale” e pubblicata il 31 marzo 2015, ha sottolineato che, una volta chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari, i soggetti infermi di mente che commetteranno reati, magari anche gravi, finiranno per essere reclusi all’interno delle carceri che “già gravate da un peso organizzativo e drammatico, rischieranno di trasformarsi con questa nuova iniezione di follia in un vero e proprio manicomio degno del Marat-Sade di Peter Weiss” (Alessandro Meluzzi, Da oggi la follia è "abolita" per decreto legge, “Il Giornale”, 31 marzo 2015).

 

Il rischio è che i criminali si fingano malati per ottenere il regime più favorevole

Inoltre, eliminando del tutto l’aspetto custodiale e punitivo, sorge il rischio di rendere quasi appetibile la condanna alla misura di sicurezza come strumento alternativo alla reclusione. L’antropologo Antonello Ciccozzi mette in guardia dall’effetto perverso cui si arriva “parificando il mostro al matto e sostituendo la condanna per il reato con la cura, si arriva a un effetto perverso: la prospettiva di essere trattati in modo non coercitivo potrà aprire un fronte di richieste d’infermità mentale come espediente per non scontare la pena in caso di gravi crimini contro la persona. La malattia potrà diventare il viatico per togliere le sbarre dal delitto malvagio. Per qualsiasi criminale violento si aprirà l’opportunità di dichiarare di aver superato il labile confine tra sanità e follia, per rifugiarsi in un luogo confortevole” (Antonello Ciccozzi, Chiusura degli ospedali psichiatrici e buonismo: un pazzo assassino non è come un ‘ladro di pere’, “Il Fatto Quotidiano”, 31 marzo 2015). 

Il professor Piero Rocchini, perito psichiatrico presso il tribunale di Roma, paventa il medesimo rischio in quanto, sebbene da sempre esista una percentuale di appartenenti alla criminalità organizzata che, sfruttando perizie false di medici conniventi, è riuscita ad ottenere l'infermità o seminfermità mentale e dunque il ricovero in OPG in luogo della reclusione, con la chiusura degli ospedali e la loro sostituzione con le REMS questo fenomeno tenderà sicuramente ad aumentare, poiché i controlli nelle nuove strutture saranno molto più blandi e fuggire molto più facile (Giuliana De Vivo, "Non ci sono controlli: così possono scappare i pazienti pericolosi", “Il Giornale”, 18 maggio 2015).

 

La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari è inutile se non si incide sulle norme del codice penale

Anche coloro i quali non si oppongono direttamente al superamento degli OPG, peraltro, si sono mostrati molto scettici di fronte a una riforma così strutturata che, non incidendo sugli istituti di diritto penale, rischia di essere del tutto inutile. A tale proposito lo psichiatra Marco Bertoli, in un’intervista rilasciata alla rivista “Tempi” ha affermato che è l’ottica ad essere sbagliata perché la soluzione non sta nel chiudere gli ospedali psichiatrici e costruire nuove strutture, bensì nel cambio di mentalità sulla questione dell’imputabilità dell’incapace di intendere e di volere. Così Bertoli: “basta con queste discriminazioni. Se un malato di mente commette un reato, finisca in carcere. Sconti la sua pena. Verrà anche curato” (Chiara Sirianni, ”Non facciamo gli ipocriti. Se un malato di mente compie un reato, finisca in carcere”, “Tempi.it”, 13 febbraio 2012). Si tratta di un’impostazione condivisa, in realtà, da buona parte della comunità medica poiché “la pericolosità sociale è un concetto vecchio e inadeguato almeno quanto gli Opg”, come ha ricordato il professor Roberto Catanesi secondo il quale “la vera premessa per il superamento degli Opg non è chiudere o trasformare le strutture, è abolire le misure di sicurezza psichiatrica e cancellare il concetto di pericolosità sociale psichiatrica [in quanto] sono le persone a compiere i delitti, non le malattie” (Roberto Catanesi, Superare l'equivoco, Comunicato stampa Società italiana di psichiatria, 12 marzo 2013).
In questo senso, il direttore del Dipartimento di Salute Mentale della AUSL di Modena, Fabrizio Starace, in un’intervista pubblicata sulla rivista “Va’ pensiero” ha dichiarato che “occorre affrontare il tema della imputabilità, restituendo a tutte le persone il diritto alla responsabilità: ossia il diritto di rispondere di ciò che si è fatto oggettivamente e non di ciò che qualcuno, per quanto esperto sia di comportamenti umani e interpretazione della psiche, ritiene possa o non possa responsabilmente fare [aspetto che va di pari passo con] il giudizio fortemente critico sul tema della pericolosità sociale e della sua presunta prevedibilità” (Fabrizio Starace, OPG: diritto alla responsabilità e alla libertà, “Pensiero.it”, 22 aprile 2015).
A tale proposito, nel corso del seminario su Salute mentale, OPG e diritti umani organizzato dal Senato l’11 novembre 2014, il dottore Cesare Bondioli, responsabile carcere e OPG di Psichiatria Democratica, ha sostenuto che il concetto di pericolosità sociale non ha nessun fondamento scientifico e il ricorso ad esso non ha fatto altro che generare una “commistione di istanze terapeutiche e di neutralizzazione” (Cesare Bondioli, “Per una chiusura senza proroghe (ovvero: Chi vuole chiudere veramente gli OPG?, “Psichiatriademocratica.com”, 11 novembre 2014). Pertanto “è urgente che si comincino da subito ad affrontare i concetti teorici che a tutt’oggi sottendono la imputabilità/non imputabilità dei soggetti autori di reato e di conseguenza l’utilità/necessità delle misure di sicurezza […] in vista di una riforma dei codici che non può essere ulteriormente rimandata” (ibidem).