La produttività del biologico è competitiva rispetto a quella dell’agricoltura convenzionale

Gli studi empirici

Come riportato da Giovanni Bertizzolo (L’agricoltura Bio non è produttiva? Non è vero. Lo dice una ricerca Usa, “blogbiologico.it”, 11 dicembre 2014): “L’agricoltura biologica è molto più produttiva di quanto pensato fino ad oggi. Lo rivela un’analisi della University of California Berkeley, che ha messo insieme i risultati di 115 studi in materia. Secondo la ricerca, pubblicata su Proceedings of the Royal Society B, in media le coltivazioni biologiche sono state il 19,2% inferiori a quelle delle colture tradizionali, una differenza minore di quanto immaginato. E questo divario potrebbe in realtà essere inferiore perché, a detta gli autori della ricerca, gli studi a disposizione erano spesso di parte, in favore dell’agricoltura convenzionale”. Lo studio in questione, realizzato da un team di ricerca dell’Università di Berkeley formato da Lauren C. Ponisio, Leithen K. M'Gonigle, Kevi C. Mace, Jenny Palomino, Perry de Valpine, Claire Kremen, tutti afferenti al Department of Environmental Science, Policy and Management (Diversification practices reduce organic to conventional yield gap, “Proceedings of the Royal Society B”, 10 dicembre 2014), ha così affermato: “Troviamo che la resa delle coltivazioni biologiche sia solo per il 19,2 % inferiore rispetto alle coltivazioni tradizionali, un gap inferiore rispetto a quello stimato precedentemente. Abbiamo inoltre dimostrato, rispetto agli studi precedenti, che il gap delle rese dipenda totalmente dalla tipologia di coltivazione e dalle tecniche di coltura. Risultato più importante è che non abbiamo individuato significative differenze di resa tra colture di leguminose e non, tra colture perenni e annuali, tra paesi sviluppati ed in via di sviluppo. Troviamo invece che due pratiche di diversificazione agricola, la multicoltura e la rotazione colturale riducono sostanzialmente il gap di resa, rispettivamente del 9 ± 4% e dell’ 8 ± 5%, se applicati in sistemi di agricoltura biologica. Questi risultati promettenti, basati su una solida analisi di un ampio data-set, suggeriscono che appropriati investimenti nella ricerca sulla agroecologia per aumentare i sistemi di gestione organizza, potrebbero ridurre di molto o eliminare il differenziale di resa per alcune colture o regioni” (TdR).

Come evidenziato nel BioReport2012, L’agricoltura biologica in Italia (“Federbio.it”, 2012) realizzato nel 2012 dalla Rete Rurale Nazionale sotto l’egida dell’Unione Europea e del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali emerge che la produttività media delle aziende biologiche è superiore rispetto a quella delle aziende agricole non bio. Così lo studio: “L’esame delle performance economiche delle aziende biologiche […] rivela come il metodo biologico possa rappresentare un’alternativa economicamente valida al sistema convenzionale. Innanzitutto la produzione lorda vendibile risulta mediamente di 125.143 euro, superiore a quella registrata nelle convenzionali, pari a 99.703 euro. Inoltre, è interessante osservare come nelle aziende biologiche i ricavi provenienti dalle attività connesse (agriturismo, contoterzismo, affitti attivi, ecc.) concorrano alla formazione della PLV per un 4%, il doppio rispetto al valore dell’analogo indice calcolato per le aziende convenzionali, segnale di una maggiore propensione delle prime a differenziare la propria attività. Il valore aggiunto delle aziende biologiche [del campione] rappresenta più del 70% della PLV contro il 62% delle aziende convenzionali. Il migliore risultato delle aziende biologiche è ottenuto anche grazie al contenimento dei costi correnti (mezzi tecnici, servizi prestati da terzi e altre spese dirette), principale voce di spesa aziendale”.

 

Il valore economico delle esternalità

Il progetto SABIO (Sostenibilità dell’Agricoltura Biologica), finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, si propone di valutare la sostenibilità anche in termini di valore economico delle esternalità prodotte dall’agricoltura biologica. Come riportato da Carla Abitabile, ricercatrice dell’INEA, Istituto Nazionale di Economia Agraria, e da Roberto Esposti, professore associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali dell’Università Politecnica delle Marche: “La componente economica ha un posto di rilievo nel progetto SABIO poiché, oltre alla stima della redditività delle filiere sotto osservazione, ha il compito di tentare di attribuire un valore economico alle esternalità prodotte dall’agricoltura biologica in termini di servizi ambientali, salute e qualità alimentare, e di fornire infine una stima del valore aggiunto complessivo realizzato con questo metodo di produzione. Le attività di ricerca per stimare la redditività delle filiere sono articolate lungo due direzioni principali, di cui una finalizzata a completare la base informativa per l’analisi comparata del comparto biologico e l’altra, di carattere metodologico, si inserisce nel dibattito più generale relativo alle modalità di confronto tra agricoltura biologica e convenzionale. […] Per operare il confronto tra la redditività della produzione biologica e quella convenzionale, è stato analizzato un campione […] di circa 1.600 aziende, ed è stata messa a punto una metodologia di indagine che tenesse conto di tutta una serie di complesse questioni di ordine sia concettuale che pratico. Queste concernono in primo luogo il confronto di efficienza tecnica e produttività tra biologico e convenzionale […]. In secondo luogo, viene anche chiamata in causa l’integrazione tra queste misure convenzionali di efficienza e performance economiche con la misura delle performance ambientali […] I risultati mostrano, nel complesso, scarse differenze tra le imprese biologiche e convenzionali sia sul piano del bilancio aziendale, sia per quanto riguarda l’efficienza economica nell’utilizzo degli input […] In SABIO viene [inoltre] elaborata una metodologia di valutazione delle esternalità che prevede l’individuazione di indicatori sintetici in grado di confrontare gli effetti dei prodotti biologici e di quelli convenzionali sulle risorse ambientali e sulla salute umana. Successivamente, viene attribuito un valore monetario a ciascuna differenza che si viene a determinare, prendendo in considerazione soltanto gli effetti in grado di generare dei flussi finanziari sotto forma di spese o di guadagni per la collettività […] I benefici dell’agricoltura biologica rappresentano riduzioni delle corrispondenti esternalità negative del metodo di produzione convenzionale, riduzioni che variano in relazione all’elemento considerato. Per quanto riguarda l’acqua, ad esempio, il costo dell’inquinamento da agrofarmaci e azoto, stimato in 733 milioni di euro, viene ridotto a soli 18 milioni di euro adottando il metodo biologico” (Carla Abitabile, Roberto Esposti, Agricoltura biologica vs agricoltura convenzionale. Alcune riflessioni alla luce del progetto SABIO, in “Agireineuropa.it”, settembre 2007).

Secondo lo studio curato da Vasco Boatto, professore ordinario in Economia e Politica Agraria, Angela Menguzzato, dottoranda di ricerca in Economia e Politica Agroalimentare, Luca Rossetto, professore associato in Economia e Marketing delle Imprese presso l’Università di Padova: “per esternalità positive [si intendono] gli effetti favorevoli (o benefici) non remunerati dal mercato e che avvantaggiano altri soggetti mentre le esternalità assumono una connotazione negativa o di effetti negativi. [ciò] implica una divergenza tra costi privati, internalizzati dall’attività di produzione o di consumo, e costi sociali che includono i costi privati e i costi esterni. Questi ultimi gravano sull’intera collettività senza nessuna compensazione da parte dei soggetti che le hanno generate” (Angela Menguzzato, Luca Rossetto, La valutazione monetaria dei benefici esterni dell’agricoltura biologica, Warking Paper SABIO n.6, presentato all'Università degli studi di Padova, 2004, p. 37). Così prosegue lo studio: “Nonostante le esternalità prodotte dall’agricoltura siano evidenti, non risulta altrettanto marcata la distinzione fra esternalità prodotte dall’agricoltura tradizionale ed esternalità prodotte dall’agricoltura biologica, tanto da rimanere un punto piuttosto controverso. Inoltre, anche se si parla correttamente di agricoltura biologica e di sistema convenzionale, ciascuna di queste due etichette viene applicata ad una grande varietà di metodi di coltivazione; ed un confronto generalizzato tra i due modelli di agricoltura è reso ancor più difficile dal fatto che a partire dagli anni novanta la maggior sensibilità sociale nei confronti dell’ambiente ha imposto all’agricoltura tradizionale dei comportamenti più rispettosi dei valori ambientali. Gli effetti dell’agricoltura biologica sulle risorse ambientali possono essere suddivisi in diretti e indiretti. Gli effetti diretti sono rappresentati dai benefici prodotti direttamente dall’agricoltura biologica, come ad esempio la salvaguardia della fertilità del suolo attraverso il mantenimento di una più vivace e diversificata popolazione di microrganismi e di una più elevata concentrazione di enzimi attivi nell’alimentazione delle piante, maggiori capacità di ritenzione dell’acqua e di drenaggio, un miglioramento della struttura del terreno grazie anche ad una migliore gestione della sostanza organica, il mantenimento delle caratteristiche proprie del paesaggio rurale attraverso la reintroduzione di alcuni elementi tipici, ecc. Gli effetti indiretti, invece, sono costituiti dall’assenza o dalla riduzione degli effetti negativi prodotti dall’agricoltura convenzionale come la degradazione fisica, chimica e biologica del suolo, l’impoverimento di sostanza organica, l’elevata quantità di fertilizzanti e pesticidi, ecc.” (ibidem, pp. 69-70).

In particolare gli autori analizzano il valore economico delle esternalità prodotte dall’agricoltura biologica in Veneto: “Le ipotesi di valutazione hanno previsto due scenari - prudenziale (lower) e ottimistico (upper) […]. Le esternalità ambientali dell’agricoltura biologica oggetto di valutazione rientrano in quattro categorie: i) miglioramento della qualità delle acque a seguito del divieto all’uso di agrofarmaci di sintesi; ii) attenuazione del fenomeno erosivo nei suoli vulnerabili; iii) miglioramento della biodiversità; iv) mitigazione dei rischi per la salute conseguente al non uso di prodotti di sintesi chimica. La qualità dell’acqua è stata valutata con riferimento alla funzione di uso alimentare (potabilità) che, specialmente in talune aree di pianura del Veneto, è stata compromessa dall’inquinamento da fertilizzanti, nitrati in particolare, e agrofarmaci. […] La metanalisi applicata […] ha generato una WTP di 21,9 – 25,3 euro/famiglia/anno nel biologico [contro i 24,9–29,2 dell’agricoltura convenzionale]. A livello di risorsa suolo sono state valutate due funzioni ambientali: controllo dell’erosione e sequestro della CO2 (processo di confinamento della CO2, NdR) […]. Il modello di metanalisi […] ha generato una WTP media rispettivamente di 50,5 e 37,9 euro/fam/anno rispettivamente nelle aree con rischio erosivo superiore e inferiore alle 2 ton/ha/anno (contro i 50,5-54,1 ed i 44,2-47,5 dell’agricoltura convenzionale, NdR). La biodiversità è stata valutata usando come proxy la ricchezza e abbondanza di specie di uccelli. […] L’ipotesi di valutazione è che l’agricoltura biologica generi un miglioramento degli habitat dove gli uccelli possono trovare un rifugio, alimentarsi e riprodursi. La stima, […] ha generato una WTP media di 27,7 - 38,4 euro/fam/anno nel convenzionale e una WTP media di 33,6 - 45,8 euro/fam/anno nel biologico. I rischi per la salute degli operatori sono stati valutati limitatamente alla componente di uso degli agrofarmaci che, tuttavia, rappresentano una quota marginale delle cause di infortunio degli agricoltori. La valutazione è stata effettuata con riferimento sia rischi di tipo acuto che cronico. I modelli di metanalisi [hanno stimato per l’agricoltura convenzionale] una WTP media variabile dagli 87,8 euro/fam/anno per i soli effetti acuti fino a 148,3 euro/fam/anno quando sono compresi anche gli effetti cronici.

[Complessivamente] i benefici esterni del metodo biologico rispetto al convenzionale sarebbero compresi tra 29,3 e 33,8 euro/ha per la componente di riduzione dell’inquinamento da agrofarmaci, tra 6,8 e 11,8 euro/ha per la componente di controllo dell’erosione, tra 7,9 e 9,8 euro/ha per quella relativa al miglioramento della biodiversità e, infine,tra 2,6 e 9,7 euro/ha per quella sulla riduzione dei rischi per la salute degli operatori che non impiegano agro farmaci” (ibidem, pp. 152-153).

Lo studio di Verena Seufert e colleghi

 

Come evidenziato da Verena Seufert, Navin Ramankutty, ricercatori del Department of Geography and Global Environmental and Climate Change Center della McGill University di Montreal e da Jonathan A. Foley, ricercatore dell’Institute on Environment dell’University of Minnesota (Comparing the yields of organic and conventional agriculture, “Nature”, 2010, 485, pp. 229-231): “Numerosi studi hanno evidenziato la necessità di cambiare in maniera decisa il sistema globale di produzione di cibo: l’agricoltura deve fronteggiare la doppia sfida di nutrire una popolazione in crescita, con la crescente domanda di carne e di cibi ricchi di calorie, minimizzando contemporaneamente l’impatto globale sull’ambiente. L’agricoltura biologica […] è spesso proposta come una soluzione. Ciò nonostante i critici sostengono che l’agricoltura biologica può avere rese più basse e avrebbe quindi bisogno di più terra per produrre la stessa quantità di cibo delle aziende agricole tradizionali, determinando una deforestazione e una perdita di biodiversità più ampia, pregiudicando così i benefici ambientali delle pratiche biologiche. […] Le nostre analisi, basate sui dati finora disponibili dimostrano che la resa delle produzioni biologiche è tipicamente inferiore di quella da agricoltura tradizionale. Queste differenze di resa sono altamente contestuali e dipendono dal sistema di coltura e dalle caratteristiche del sito. […] Sotto alcune specifiche condizioni, l’agricoltura biologica può arrivare alle rese dell’agricoltura tradizionale, ma […] allo stato attuale non può” (TdR).

 

Lo studio di Tomek de Ponti e colleghi

A conclusioni analoghe è giunto anche lo studio curato da Tomek de Ponti, Bert Rijk, e Martin K. van Ittersum, ricercatori dell’Istituto Plant Production Systems della Wageningen University. I ricercatori olandesi hanno analizzato dati statistici provenienti da circa 43 paesi e da oltre 200 aziende, relativi alle rese di 362 tipologie di colture allevate secondo i dettami dell’agricoltura biologica e di quella tradizionale.

In particolare: “Le rese delle single colture da agricoltura biologica sono in media l’80% di quelle da agricoltura tradizionale ma la variazione è ampia (deviazione standard pari al 21%). Nel nostro dataset la resa dell’agricoltura biologica differisce significativamente in base ai gruppi di colture e dalle regione. L’analisi supporta anche la nostra ipotesi secondo la quale il gap tra le rese da biologico e da agricoltura tradizionale aumenta all’aumentare delle coltivazioni con metodi tradizionali” (TdR) (Tomek de Ponti, Bert Rijk, Martin K. van Ittersum, The crop yield gap between organic and conventional agriculture, “Agricultural Systems”, 2012, 108, p. 1).

 

Il report di Jeffrey K.O’ Hara e Robert Parsons

Jeffrey K. O’ Hara e Robert Parsons comparano il valore economico degli allevamenti di bovini, biologici e non, del Vermont e Minnesota nel più ampio scenario produttivo statunitense. Essi utilizzano un approccio I-O (Input-Output) che permette di comprendere come le vendite relative ad una specifica industria possano impattare sugli output produttivi, sui livelli di occupazione e remunerazione della manodopera e più in generale sul PIL regionale. In particolare gli autori hanno osservato che “le fattorie tradizionali […] hanno generalmente circa 287 capi di bestiame con che producono ognuno circa 21769 libbra di latte l’anno. Gli allevamenti biologici del Vermont al contrario hanno una media di circa 63 capi per una produzione individuale di 13154 libbre (- 60% dei livelli dell’allevamento secondo metodi tradizionali). Le fattorie ‘tradizionali’ di dimensioni similari […] producono circa 19535 libbre di latte per capo. Similmente, […] le fattorie tradizionali del Minnesota hanno 148 capi che producono in media circa 22041 libbre di latte per capo all’anno; mentre le fattorie biologiche dello stato hanno una media di 80 capi di bestiame che producono circa 123999 libbre di latte per mucca. Le più piccolo fattorie tradizionali del Minnesota […] hanno circa 84 mucche che producono annualmente circa 19823 libbre di latte annualmente” (Jeffrey K. O’ Hara, Robert Parsons, Cream of the Crop: The Economic Benefits of Organic Dairy Farms, “UCSUSA.org”, 2012, p.15, TdR).