Il sistema politico della Russia di Vladimir Putin presenta un elevato deficit di democrazia

Una democrazia ibrida

Paolo Calzini, visiting professor (professore ospite, TdR) di Relazioni Internazionali e Studi sulla Russia all’Università John Hopkins, in una relazione del 31 ottobre 2007 per l’Osservatorio Internazionale (Democrazia e sovranità nella Russia di Putin, “Quaderni di Relazioni Internazionali”, n. 5, ottobre 2007) ha delineato i tratti principali del sistema ibrido di governo della Federazione russa e del consenso della popolazione in bilico tra democrazia sovrana e autoritarismo: “Alle argomentazioni fondate sulla pretesa universalità del modello di governo democratico adottato nei paesi occidentali le autorità russe, incoraggiate dalla ripresa di influenza nel paese, contrappongono la piena legittimità di un indirizzo politico che ancora la pratica della democrazia alla nozione di sovranità. Il riferimento a una nozione di alto livello etico-giuridico, quale la sovranità, intende sottolineare, ricorrendo alla formula della ‘democrazia sovrana’, la specificità del modello politico russo (ruolo del leader, stato forte centralizzato, paternalismo nel rapporto con la società, ecc.)” (Paolo Calzini, Democrazia e sovranità…, cit., p.66).
Secondo Calzini il sistema di governo russo si è sviluppato tenendo conto in parte anche delle costanti critiche di deficit di democrazia provenienti dal mondo occidentale: “Il merito della formula risiede nel fornire al regime una copertura ideologica ispirata ai valori del nazionalismo a confutazione dell’iniziativa propagandistica occidentale e delle accuse di autoritarismo rivoltegli dalle opposizioni interne” (Ibidem).
Il merito di definizione della nuova forma di “democrazia” è attributo dal professore a Vladislav Surkov: “Grazie all’impegno del vice presidente dell’amministrazione presidenziale e consigliere V. Surkov, viene elaborata nel corso del 2005 la formula della ῾democrazia sovrana᾿, abbastanza ambigua e verosimilmente transitoria per soddisfare questo compito” [poter legittimare una linea di piena autonomia dall’occidente NdR]. “Con questa iniziativa, particolarmente significativa perché mette in luce le aspirazioni e le contraddizioni degli ambienti politico-intellettuali, preoccupati del rinnovamento della politica russa, si è riusciti a mediare tra diverse tendenze politiche e a fornire una nuova base all’ideologia ufficiale” (Ibidem, p.70 ss). Il modello politico russo, prosegue Calzini, è un connubio articolato tra democrazia e sovranità: “Il merito di questa impostazione consiste nell’aver ancorato la nozione di democrazia, oggetto di un aperto dibattito quanto alle condizioni necessarie per la sua applicabilità nel contesto russo, a quella di sovranità che rappresenta tradizionalmente un solido punto di riferimento ideologico. In questo modo, facendo ricorso a una nozione di riconosciuto rilievo, viene a configurarsi un modello politico russo di democrazia che assicura allo stato il diritto esclusivo di supervisione nelle definizione delle proprie forme istituzionali e delle procedure politiche. […] Il regime di democrazia sovrana giustifica, guardando alle difficoltà che lo confronteranno nella prossima fase di evoluzione del paese, il mantenimento di un assetto istituzionale accentrato, gerarchico, personalizzato” (Ibidem).

 

Forte consenso a Putin

Un sondaggio di Centro Levada (Istituto Demoscopico Indipendente) ha registrato un’ulteriore crescita di rating nel riconoscimento dei russi nei confronti del loro leader Vladimir Putin. I dati sono stati riportati il 13 agosto 2014 dal sito “internazionale.it” (I russi sempre più a favore di Putin: oggi lo voterebbe il 68%). Se lo scorso anno in Russia si fosse andati alle urne per eleggere il presidente, Putin avrebbe ottenuto una schiacciante vittoria con il 68% dei voti. I media russi hanno infatti pubblicato il nuovo sondaggio dimostrando l’ulteriore consolidamento del sostegno al capo dello Stato russo. Nei dettagli del sondaggio, il 52% degli elettori che hanno dichiarato di votare alle prossime elezioni ha affermato di optare per Vladimir Putin come prima scelta, un dato che a inizio 2014 era soltanto fermo al 23%. Sulla scia dell’annessione della Crimea e dello scontro con l’Occidente per la crisi ucraina il consenso elettorale nei confronti di Putin è dunque più che raddoppiato.

 

Il supporto internazionale alla Russia

Il supporto internazionale al leader russo si è manifestato regolarmente negli ultimi anni da parte di una serie di gruppi e partiti della sinistra radicale che assieme hanno condiviso il punto di vista dell’opposizione alla politica imperialistica, guidata da Washington. Non sono tuttavia mancati i sostegni anche da parte di alcuni partiti europei dell’estrema destra.
Come riporta il sito della rivista “Internazionale” (Andrea Pipino, Marine Le Pen e i soldi di Mosca, 24 novembre 2014) in merito alla questione sul prestito di nove milioni di euro ottenuto dal Front National di Marine le Pen e negoziato con la First Czech-Russian Bank (istituto russo di proprietà di Roman Jakubovič Popov, vicino all’ex presidente russo Medvedev): “La disponibilità della banca russa conferma un dato in cui si parla ormai da parecchi mesi: la saldatura tra il sistema di potere di Vladimir Putin e del partito Russia Unita e l’estrema destra europea”.
In una fase di forti tensioni con Mosca e di crescente antieuropeismo la capacità di attrazione politica e i soldi del Cremlino rischiano di avere un’influenza non trascurabile sugli equilibri interni europei.

 

Le posizioni della Lega Nord in Italia

Il “Fatto Quotidiano” riporta le risposte positive di Matteo Salvini, leader della Lega Nord, in merito al prestito della banca russa concesso alla formazione politica francese di estrema destra Front National (Gisella Ruccia, Lega, Salvini: “Prestito di 9 milioni di Putin alla Le Pen? La invidio profondamente”, 24 novembre 2014): “Prestito di 9 milioni di Putin alla Le Pen? La invidio profondamente. Purtroppo io di quattrini ne vedo girare pochi. Ma quello che sto facendo io è una battaglia di principio”. “Qualsiasi contributo trasparente io lo accetto volentieri, a sostegno delle nostre battaglie politiche”. Sono state queste le dichiarazioni del leader della Lega Nord rilasciate durante la trasmissione “Mix 24”, su “Radio24”. Il 17 ottobre 2014 il “Corriere della Sera” aveva già documentato il primo incontro tra il segretario della Lega e il premier russo (E alla fine del summit Salvini beve un caffè con Putin).
Salvini ha rilasciato delle dichiarazioni in merito a uno scambio di opinioni con Putin di circa 20 minuti: “Sono stati 20 minuti di incontro cordiale, costruttivo. Si è parlato di immigrazione e di pace, di imprese italiane, di valori comuni e di un’altra Europa possibile. Nel 2014 si dialoga, non si minacciano guerre e sanzioni […] Molti gli argomenti: dal tema immigrazione alla collaborazione che vogliamo instaurare con la Russia in Consiglio d’Europa. Ma soprattutto [si è discusso, NdR] dei problemi delle imprese italiane e di valori comuni per creare un’altra Europa che abbia un rapporto diverso con la Russia”.
In occasione di un viaggio a Mosca il segretario della Lega Nord ha dichiarato, il 12 ottobre 2014, il proprio apprezzamento per il paese di Vladimir Putin: “In Russia niente rom e clandestini”.
Salvini ha scoperto le virtù di un altro paese lontano. Volando a Mosca con l’obiettivo di incontrare alcuni politici di rilievo del governo locale, ha sperato fino in fondo di poter incontrare ancora una volta il capo del governo. E così è stato. Recatosi in Piazza Rossa per ribadire la sua contrarietà alle sanzioni economiche decise a Bruxelles, Salvini ha apprezzato alcuni aspetti del la vita moscovita. Così un post di Salvini sul suo profilo twitter riportato dal sito del “Corriere della sera” (Maria Serena Natale, Marine e Matteo, destre a confronto i sette punti che li uniscono, 23 marzo 2015): “No clandestini, no lavavetri, no campi rom. Ragazze in metropolitana alle 2 di notte senza paura. Qui non c’è mare nostrum”. “Con Putin si dialoga, anche per combattere l’estremismo islamico […]. Ho spiegato come le priorità siano le nostre aziende e posti di lavoro, vittime delle sanzioni, delle 400 società italiane che qui operano, e ricordo a Renzi che il 30% del gas che usiamo viene dalla Russia” (Matteo Pandini, Lega Nord, Matteo Salvini a Mosca da Putin: “In Russia niente rom e clandestini”, “liberoquotidiano.it”, 12 ottobre 2014).

 

Gli appoggi alla linea del Cremlino

A dimostrare ulteriormente il consenso al regime di Putin è stata una manifestazione a favore del leader nel giorno dell’Unità del Popolo russo. Il 4 novembre l’agenzia di stampa Ansa ha comunicato che decine di migliaia di persone (75.000 secondo le autorità russe) sono sfilate nel centro di Mosca inneggiando a Vladimir Putin. Si sono uniti alla celebrazione anche leader politici e religiosi per dimostrare il proprio supporto alle politiche del capo di Stato.
Un’analisi della politica di Vladimir Putin è contenuta in un articolo di Gian Micalessin per “Il Giornale” (Ecco i dieci motivi che danno ragione allo “Zar” Putin) che il 2 settembre 2014 ha elencato i 10 motivi che danno ragione al presidente russo:

1 – “Il capitolo politico dell'’Accordo di Associazione tra Kiev e Unione Europea’ proposto da Bruxelles e firmato il 27 giugno dal presidente ucraino Petro Poroshenko, nascondeva il tentativo di far entrare l'Ucraina nella Nato. A Putin non erano sfuggiti i punti in cui si accennava alla necessità di ‘approfondire la cooperazione tra le parti nei campi della sicurezza e della difesa’ e ‘promuovere una graduale convergenza in materia di politica estera e sicurezza, con lo scopo di un coinvolgimento sempre più profondo dell'Ucraina nell'area di sicurezza europea’. Come dire strappare Kiev a Mosca e regalarla all'Alleanza Atlantica”.

2 – “Accogliendo l'Ucraina la Nato avrebbero potuto chiedere a Kiev di partecipare al progetto dello Scudo Spaziale Europeo e di accettare, come ha già fatto la Polonia, lo schieramento sul proprio territorio di sistemi radar e missili statunitensi con una portata di circa 3000 chilometri. Il progetto, presentato come un sistema per neutralizzare attacchi iraniani con missili di lungo raggio, punta, in verità a tenere sotto tiro Mosca e a bloccare eventuali sue mosse a danno di quei paesi dell'Europa orientale, ex membri del Patto di Varsavia, diventati parte integrante del sistema di difesa atlantico”.

3 – “Firmando l'accordo di partenariato propostole dall'Unione Europea Kiev avrebbe potuto cancellare i trattati di lungo termine che garantiscono alla Marina Militare russa di affittare e utilizzare Sebastopoli e gli altri porti sul Mar Mero. Senza quei porti la flotta del Mar Nero non avrebbe più potuto accedere al Mediterraneo e al cruciale scalo di Tartus in territorio siriano, una base navale fondamentale per consentire a Mosca di continuare ad esercitare il suo ruolo da grande potenza in Medio Oriente. Per questo ora, dopo essersi annessa la Crimea, Putin potrebbe prendersi anche Odessa”.

4 – “L'Ucraina è uno dei principali corridoi energetici, uno snodo cruciale per il passaggio delle tubature che portano in Europa il petrolio e il gas del Caucaso. Il 30% del gas consumato dall'Europa proviene dalla Russia. L'Ucraina stessa non può sopravvivere per ora senza il gas russo. La rottura tra Bruxelles e Mosca potrebbe spingere le nazioni europee a cercare altre rotte di approvvigionamento. Perdendo il controllo sull'Ucraina la Russia rischia dunque di perdere la cruciale partita che ha come obbiettivo il controllo dei mercati dell'energia nei prossimi venti-trenta anni”.

5 – “In Ucraina hanno sede almeno 50 aziende che producono componenti e parti di ricambio fondamentali per l'industria militare russa. La sospensione delle forniture decretata da Kiev minaccia la produzione degli aerei Antonov, degli elicotteri d'assalto Mi26 e dei Mi8 e Mi17. A rischio anche gli aerei antisommergibile Albatross e le componenti fondamentali per la guida dei missili balistici. Senza i 400 motori per elicotteri acquistati ogni anno dalla ‘Motor Sich’ e senza i sistemi geostazionari della ‘Zorya Mashproekt’ Putin rischia di veder compromesso il proprio potenziale militare”.

6 – “La crisi dell'industria bellica, causata dal blocco delle forniture ucraine, rischia non solo d'indebolire militarmente la potenza russa, ma anche di causare un'impareggiabile danno economico. La produzione di elicotteri rischia di risultare compromessa per i prossimi 5 anni. Oltre a dover rinunciare alle entrate per oltre un miliardo di euro annui garantite dalle esportazioni di armi Putin dovrà spendere quasi un miliardo e mezzo di euro all'anno per adeguare l'apparato industriale e metterlo in grado di sfornare le componenti prodotte fin qui dall'Ucraina”.

7 – “La perdita dell'Ucraina rischia di compromettere il più ambizioso progetto geopolitico di Vladimir Putin, ovvero la nascita nel 2015 dell'Unione Economica dell'Eurasia a cui aderiscono Bielorussia, Kazakhstan, Armenia e Kirghisia. Il nuovo colosso, considerato una riproposizione dell'Unione Sovietica, rappresenta già ora un mercato da 171 milioni di consumatori con un prodotto interno lordo da 2 trilioni e mezzo di euro. Ma nei piani di Putin solo l'Ucraina con i suoi 46 milioni di abitanti e la sua produzione agricola e industriale consentirà all'‘Eurasia’ di contrapporsi a Stati Uniti, Europa e Cina”.

8 – “L'Ucraina e la sua capitale furono il fulcro di quel regno conosciuto con il nome di ‘Russia di Kiev’ che nell'XI secolo, all'apice della sua potenza, si estendeva dai Carpazi a sudovest fino alla confluenza tra la Volga e il fiume Oka a nordest, toccando - a nordovest - il mar Baltico e seguendo - al confine sudorientale - il corso del Volga. Per questo per molti nazionalisti russi e per lo stesso Vladimir Putin, Kiev e i suoi territori restano storicamente parte integrante dei territori di Mosca”.

9 – “Il riconoscimento dell'indipendenza di Kiev da parte della Russia arriva solo dopo la fine dell'Unione Sovietica nel 1991. Per 900 anni dall'invasione mongola alla fine dell'impero austro ungarico non è mai esistito uno stato chiamato Ucraina. La Repubblica Nazionale dell'Ucraina Occidentale e quella Popolare, sorte nel 1918, vennero in breve assorbite da Polonia e Urss. Nel 2009 lo stesso Putin liquidò l'Ucraina con l'antico termine di ‘piccola Russia’”.

10 – “Rinunciando al controllo su un'Ucraina considerata storicamente parte integrante della ‘grande Russia’ Vladimir Putin teme di venir percepito dalla propria opinione pubblica come un nuovo Mikhail Gorbačëv. Il presidente che decretò la fine dell'Unione Sovietica è considerato da gran parte dei russi un inetto, responsabile del collasso della grande crisi economica e politica attraversata dalla Russia negli anni Novanta”.

 

La destra italiana nei confronti di Mosca

L’ammirazione di alcuni gruppi politici occidentali nei confronti del leader russo si è manifestata anche tra molti elettori italiani. Il 9 gennaio 2014 il sito web italiadomani.net (Marinella Tomasi, Gli elettori italiani di Destra guardano alla Russia di Putin) ha riferito che alcuni elettori italiani di destra guardano con ammirazione alla Russia di Putin, positivamente ammaliati dalla figura di questo leader: “Putin rappresenta il sogno italiano, rappresenta quella parte sana degli italiani che ancora ha voglia di lottare a fianco di un leader che non solo non si spezza, ma neppure si piega dinnanzi a un mondo che gira al contrario”. “Putin è colui che guida la sua nazione con forza, rigore, disciplina, è colui che ha ripreso gli antichi valori: Dio, patria, famiglia, è colui che in questa pazza generazione va controcorrente. Mentre l’Unione Europea rinnega le radici Giudaico Cristiane, mentre in Italia c’è una forte presenza di ‘cattolici adulti’, Putin trasforma l’atea Russia in una nazione che ricomincia. Mentre l’Unione Europea e l’Italia spalancano le porte all’Islam, Putin lotta contro il fondamentalismo islamico. Mentre l’Unione Europea e l’Italia indottrinano ed impongono le loro convinzioni sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, Putin si batte a favore della famiglia tradizionale e non consente che i bambini russi vengano adottati da quelle nazioni che hanno regolamentato i matrimoni gay, ha promosso leggi che impediscono la propaganda omosessualista verso i minori, ma nello stesso tempo ha predicato tolleranza e accettazione verso le persone omosessuali”.

 

Le possibilità di una democratizzazione completa

Nel dibattito pubblico Gad Lerner, giornalista e scrittore italiano, ha manifestato la fiducia nella possibilità di una completa democratizzazione del sistema politico russo, affermando che “Putin non è uno zar” e che in Russia vi è ancora la speranza che avanzi una vera democrazia.
Sul proprio sito web “gadlerner.it”, in data16 marzo 2014 (Putin non è uno zar: la speranza che avanzi una democrazia russa), ha definito “triste e scontato” il risultato sul referendum di annessione della Crimea e l’inevitabile aumento della tensione tra Russia e Nato che complicherà sicuramente la crisi tra Mosca e l’Occidente “senza indicare alcuna via di mediazione”. Nonostante ciò, un segnale di speranza è stato individuato da Gad Lerner nei “fermenti democratici all’interno di una società russa profondamente mutata nei suoi dati economici e interconnessa col mondo circostante come mai lo fu prima”.
La manifestazione di migliaia di persone svoltasi il 15 marzo 2014 contro la politica espansionistica di Putin è un segnale “davvero significativo” per il miglioramento del sistema politico russo: “Vladimir Putin non è forte come appare, non è uno zar plenipotenziario, se si agita è anche a seguito delle sue debolezze strutturali. Solo un radicamento della democrazia in Russia può aprire una stagione nuova nei suoi rapporti con l’Europa e l’Occidente”.

 

Il percorso verso la democrazia

L’ex premier Silvio Berlusconi ha tessuto gli elogi del gigante euroasiatico: “La Russia? Una democrazia encomiabile”. A riportare la notizia è il sito web “giornalettismo.com” (Tommaso Caldarelli, Berlusconi ha un modello: “La Russia? Una democrazia encomiabile”, 10 settembre 2010). Berlusconi ha riconosciuto la Russia come un modello di democrazia vero e proprio: “Lo dico ovunque vado: il loro percorso è ottimo”. L’articolo precisa che Silvio Berlusconi non ritiene la Russia di Putin una democrazia compiuta, ma il cammino di avvicinamento verso una forma democratica di governo adottato dal Cremlino è senza dubbio il migliore. Tenendo conto del fatto che la Federazione russa è sorta dalle ceneri dell’impero sovietico e che dopo un decennio di stagnazione economica e degrado politico e sociale sono stati fatti passi da gigante per ristabilire un sistema di governo democratico, il paese di Putin resta un efficace esempio di costruzione della democrazia: “Quello che dico in tutte le sedi internazionali è che il percorso della Russia verso la democrazia è encomiabile”.

 

Le opinioni della sinistra radicale

La linea politica della Russia degli anni Duemila è ampiamente sostenuta anche da alcuni gruppi e partiti della sinistra radicale, quali per esempio il Partito Comunista della Federazione Russa. Queste formazioni politiche si riconoscono nel condannare quello che è stato definito “imperialismo statunitense”.
In particolare, secondo il PCFR (Partito Comunista della Federazione Russa), le sanzioni economiche applicate dall’Unione Europea alla Federazione Russa e le condanne di Washington alla presenza russa in Ucraina altro non sono che manovre per scoraggiare le politiche di Putin e favorire gli interessi del capitalismo imperialistico dell’Occidente. Il sito web “Marx XXI” ha descritto, con un articolo pubblicato il 10 settembre 2014 (Le sanzioni di USA e UE rafforzano l’asse Mosca-Pechino), il comportamento occidentale nei confronti di Mosca, affermando che l’intento di Bruxelles e Washington è quello di “portare la Russia in una situazione di bancarotta o comunque di instabilità economica, ma la Russia non rimane a guardare e ha già annunciato di voler rispondere colpo su colpo con contro-sanzioni”. Ivan Melnikov, vicepresidente del Partito Comunista della Federazione Russa, in merito alla questione della crisi ucraina ha dichiarato che: “non è un segreto che l’elevato livello dell’autorità di Vladimir Putin consente di esercitare un’influenza sulla situazione. Soprattutto da quando la Russia non si limita a esprimere solo preoccupazione, ma si impegna concretamente nella fornitura di aiuto umanitario alle vittime. Come è stato riconosciuto dall’ONU”.
L’opinione è stata riportata in un articolo apparso sul sito web “Marx XXI” il 4 settembre 2014, dal titolo I comunisti russi: “Poroshenko scende a patti perché ha perso”.
Criticando le posizioni filo-americane, Melnikov, vice presidente del Partito Comunista della Federazione Russa, ha affermato che l’interesse prioritario per la Federazione Russa è rappresentato dalla sicurezza globale nel mondo e in Europa.

 

Il governo di Putin rimane estraneo all’omicidio di Nemtsov

In seguito alla tragica vicenda dell’omicidio dell’oppositore politico Boris Nemtsov, avvenuto il 27 febbraio 2015 a Mosca, il Cremlino si è immediatamente espresso per prendere le distanze dalle accuse rivolte al governo riguardo il presunto coinvolgimento nell’assassinio del politico russo. Mosca ha innanzitutto dichiarato che Nemtzov “non era una minaccia alla popolarità di Putin” ma “solo un comune cittadino”. Vladimir Putin ha definito l’omicidio “un gesto crudele e una provocazione”.
L’agenzia Ria Novosti ha inoltre precisato che le indagini dell’omicidio saranno dirette sotto il controllo del leader del Cremlino. La notizia è stata riportata in data 28 febbraio dal sito web “Ilfattoquotidiano” (Boris Nemtsov, Cremlino: non era una minaccia alla popolarità di Putin). Nelle prime ore dalla divulgazione della notizia dell’omicidio, Vladimir Putin ha precisato che la questione potrebbe riguardare un assassinio compiuto su commissione e ha assicurato che i mandanti e gli esecutori del macabro gesto saranno individuati al più presto dalle autorità russe.
Nel frattempo Mosca ha continuato a minimizzare la minaccia rappresentata dall’oppositore allo strapotere di Putin: “Nemtzov non rappresentava una minaccia a livello politico per il presidente. Se prendiamo in considerazione il livello di popolarità di Putin allora in generale Nemtsov era piuttosto un comune cittadino” ha dichiarato il I marzo 2015 Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino (Cosa si dice dell’omicidio Nemtsov, “ilpost.it”).
Secondo Vladimir Markin, portavoce del Comitato Investigativo a cui sono state affidate le indagini dell’omicidio, sono presenti diverse indicazioni nelle indagini in corso. Markin afferma che l’obiettivo dei presunti autori dell’omicidio potrebbe essere quello di destabilizzare la politica russa e in questo caso la pista islamica non è da escludere. Secondo Markin, Nemtsov aveva infatti subito minacce a causa delle proprie posizioni sulla strage alla sede del settimanale satirico francese Charlie Hebdo. Secondo altre supposizioni, Nemtsov sarebbe potuto persino essere stato ucciso dagli stessi membri dell’opposizione russa per fare di lui un martire.
Un articolo comparso sul quotidiano russo “Pravda” in data 28 febbraio 2015 firmato dall’articolista Moti Nissani [Who killed Boris Nemtsov? (Chi ha ucciso Boris Nemtsov? TdR)]. Ha affermato che le accuse rivolte verso Putin per la responsabilità dei fatti di febbraio 2015 sono assolutamente infondate.
L’autore ha precisato la situazione del tragico omicidio soffermandosi sul fatto che le accuse contro il presidente della Federazione Russa non hanno alcun valore perché Vladimir Putin non avrebbe potuto ottenere nulla dalla volontà di uccidere Borsi Nemtsov. Un presidente con una popolarità all’85%, riferisce l’articolo, non ha nessun bisogno di fare assassinare un suo oppositore. Sarebbe stato solamente un gesto insano e privo di logica. Moti Nissani ribadisce che il ruolo politico di Nemtsov era insignificante per la politica russa e quindi non destava minacce alla popolarità del presidente. La presunta intenzione del presidente della Federazione Russa di uccidere un proprio oppositore sarebbe stato inoltre un gesto totalmente estraneo al carattere di Vladimir Putin.
Nel corso degli anni, riferisce l’articolo della “Pravda”, Putin ha avuto a che fare con diversi “traditori” nella propria schiera politica. Ora non vi è alcuna evidenza o circostanza concreta che il presidente abbia ordinato l’assassinio di voci dissidenti.
L’articolo conclude esprimendo che se molte figure hanno colto l’occasione di accusare Vladimir Putin di essere il mandante dell’omicidio lo hanno fatto solo per cercare di indebolire o cercare di togliere di mezzo il presidente.

La propaganda occidentale

Nell’articolo Aleksandr Dugin smentisce tutto: io fedele a Putin. Il caso del post rimosso, pubblicato il 12 novembre 2022 su “Il Tempo”, vengono riportate alcune dichiarazioni di Alexandr Dugin, filosofo russo, considerato in passato uno dei consiglieri più ascoltati da Vladimir Putin. Dugin interviene in merito al fatto che la stampa inglese aveva riportato un suo violento attacco al presidente russo, notizia che in breve aveva fatto il giro del mondo e che, secondo lo stesso Dugin, sarebbe una montatura della propaganda occidentale, atta a screditare i “patrioti russi”: "L’Occidente ha iniziato a far credere che io e i patrioti russi ci siamo rivoltati contro Putin dopo la resa di Kherson, chiedendo presumibilmente le sue dimissioni. Questo non proviene da nessuna parte e si basano su un mio presunto messaggio cancellato”. Dugin sostiene che nessuno abbia voltato le spalle a Putin e che il leader russo goda ancora del supporto incondizionato dei suoi sostenitori: "Il dolore per la perdita di Kherson è una cosa; l’atteggiamento nei confronti del Comandante in capo è un altro. Siamo fedeli a Putin e sosteniamo l'operazione militare speciale e la Russia fino alla fine". È chiara, secondo Dugin, la pressione eccessiva esercitata sulla Russia da parte dell’Occidente, che cerca di far capitolare Putin in ogni modo: “Il presidente è stato chiaro: non ci arrenderemo. Mettere all’angolo la Russia è un suicidio per l’Occidente e per l’umanità” (Ibidem).

Dal punto di vista della leadership russa, è l’Occidente a operare una censura nei confronti della Federazione. È ciò che afferma la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, le cui dichiarazioni vengono riportate nell’articolo Russia: Zakharova a Borrell, restrizioni media come in Terzo Reich, pubblicato il 7 febbraio 2023 su “swissinfo.ch”. Nel dettaglio, la Zakharova afferma che il bando imposto dall'UE ai media russi, giudicati strumenti di propaganda, ricorda quanto fatto dal Terzo Reich, quando "vennero vietati i libri di 300 autori". L’accusa cade in particolare su Josep Borrell, Alto rappresentate della Politica Estera dell’UE, il quale aveva motivato le restrizioni con la necessità di protezione nei confronti della libertà di espressione. Stesso modus operandi dei nazisti, sostiene la Zakharova, affermando che "tutto cominciò con le proibizioni, con gli incendi dei libri, e finì con gli incendi dei corpi [...] Borrell sarà interessato a sapere che fu dopo l'incendio del Reichstag che i nazisti giustificarono le 'proibizioni' con la 'protezione'. Il decreto del Presidente del Reich sulla 'Protezione del popolo e dello Stato', adottato subito dopo l'incendio, creò le condizioni per la messa al bando della libera vita politica in Germania. Più tardi questo stratagemma retorico, che Borrell utilizza, fu ripetutamente usato dal Terzo Reich". La Russa, aggiunge la Zakharova, si trova oggi a lottare contro questa logica nemica dell’umanità, proprio come fece in seguito allo scoppio della Seconda guerra mondiale per sconfiggere il nazismo e "riportare l'Europa alla sua forma umana”.

 

Gli aspetti antidemocratici della Nuova Russia

Il sito web “Euprogress” (Martina Lascialfari, Swoboda: La Russia di Putin è antidemocratica, 27 luglio 2012) ha riportato l’opinione del politico austriaco Hannes Swoboda, presidente dei Socialisti e Democratici dell’Europarlamento. Swoboda ha manifestato una serie di preoccupazioni in merito agli sviluppi in Russia sotto la rinnovata presidenza di Vladimir Putin, arrivando ad affermare che la Nuova Russia è un paese antidemocratico: “Con il ritorno di Vladimir Putin alla presidenza, le nostre più grandi paure su un’ulteriore deteriorazione dei diritti fondamentali in Russia sembra trovare conferma. Non sono solo le organizzazioni dell’opposizione fuori dal Parlamento che stanno soffrendo; anche i membri del Parlamento del partito A just Russia nella Duma sono posti sotto forte pressione. Anche le fondazioni indipendenti europee, che rappresentano un importante pilastro della società civile russa, sono soggette a controlli e restrizioni. Noi non possiamo accettarlo”. Swoboda ha redatto un rapporto sulla Russia per il Parlamento europeo, richiamando l’Unione Europea ad assumere una posizione chiara in merito: “L’Unione Europea deve esprimersi esplicitamente contro il peggioramento della situazione riguardo ai diritti umani e prendere una posizione decisa. La Russia di Putin non dimostra alcun interesse nel perseguire la democrazia e lo stato di diritto, in termini di affari interni ed esteri, nel caso della Siria. Particolarmente grave e cinico è il modo in cui le giovani donne della band ‘Pussy Riot’, di cui alcune sono madri, sono state trattate. Il prolungamento della loro detenzione per altri sei mesi mostra la brutalità del sistema giudiziario russo, che si conforma sempre più alle istanze politiche che legali”.

 

L’opposizione al regime di Putin

Nella Russia di Putin sì è fatta sentire nel tempo una voce di dissenso contro il governo nella maggior parte dei casi ignorata dai mass media. Numerosi oppositori hanno tentato di esprimersi contro il nuovo regime fin dai primi anni Duemila.
Anna Politkovskaja, corrispondente speciale del giornale moscovita “Novaja Gazeta”, fortemente impegnata sul fronte dei diritti umani e convinta oppositrice delle politiche di Putin, ha svolto una brillante azione di controinformazione nei confronti del governo del proprio paese. Assassinata nel 2006 per mano di un sicario in circostanze mai chiarite, ci ha lasciato in memoria numerosi articoli e pubblicazioni di attacco al presidente Putin. Tra i suoi libri è importante citare La Russia di Putin (Adelphi, 2005) per i numerosi contributi alla causa dei diritti civili rivendicati in Russia e le accuse contro il presidente: “Diventato presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e per tanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente carriera” (Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, cit., p. 11). Anna Politkovskaja descrive il proprio paese che sembra, dal suo punto di vista, essere stato abbandonato anche dall’Occidente: “Non vogliamo più essere schiavi, anche se è quanto più aggrada all’Europa e all’America di oggi” (Ibidem).

 

Gli abusi dell’esercito russo

Gran parte delle critiche della Politkovskaja sono rivolte anche all’esercito e agli abusi compiuti nella guerra in Cecenia: “Per nostra sfortuna, quando si insediano al Cremlino i nostri leader (o presidenti che dir si vogliano) nulla fanno per mettere la parola fine a questo stato di cose, né per promulgare leggi che limitino l’anarchia dell’esercito. Sono più propensi al contrario, e cioè concedere all’esercito poteri ancora maggiori sui sottoposti. Perché l’esercito osteggia o sostiene un capo di Stato a seconda della compiacenza che egli mostra nei suoi riguardi”. (Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, cit., p. 14). “Il nostro paese, è ovvio, ha un budget per le spese militari che genera molte discussioni. La lobby dei militari lotta per nuovi investimenti e nuove commesse a carico dello Stato. […] Il nostro paese produce e vende armi in tutto il mondo e al mondo ha dato anche i kalashnikov. […] La gente è felice nell’ordine che il presidente Putin ha instaurato? È questo il criterio per giudicare un capo di stato?” (Ibidem, p. 33).
Nel corso del suo lavoro la Politkovskaja ribadisce che i crimini di guerra sono tollerati e tenuti nascosti dal proprio governo: “Al momento in Russia ci sono due tipi di criminali di guerra. I criminali di guerra hanno una caratteristica comune: l’ideologia più che la giustizia. Inter armas silent leges (in guerra le leggi tacciono, NdR), come si suol dire. I colpevoli non sono stati condannati secondo la procedura giuridica determinata dalle leggi, ma in base alle folate dei venti ideologici che spiravano dal Cremlino in quel dato momento” (Ibidem, p. 39). “Qualsiasi […] crimine di guerra che veda imputati dei russi è di norma insabbiato e gli organi di sicurezza si preoccupano solo di scagionare i colpevoli. Anche quando hanno compiuto crimini efferati” (Ibidem, p. 118).
Secondo Anna Politkovskaja, il governo russo è responsabile dell’insabbiamento di molti crimini e di proteggere troppo spesso l’esercito: “Prescindendo da singoli individui in grado di compiere nobili gesti, la Russia ha capito chiaramente di non avere un sistema giudiziario indipendente. Quel che abbiamo sono verdetti pilotati dalla politica e decisi dalla congiura del momento” (Ibidem, p. 122).

 

I tratti autoritari di Vladimir Putin

Anna Politkovskaja già nel 2004 rifletteva sul futuro della Russia e sulle derive autoritarie del presidente: “Ma cosa siamo diventati tutti quanti? Noi ex-cittadini dell’Urss? Noi che avevamo tutti, più o meno, lavoro fisso e uno stipendio regolare, a scadenze definite, noi con la nostra fiducia sterminata e inflessibile nel presente e nel futuro? […] Che vita è cominciata, per noi, quando tutto questo è scomparso? O ancora: quale destino incombe su di noi? Come ci siamo redistribuiti nello spazio post-sovetico?” (Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, cit., p. 224). “La nuova ideologia di Stato, letale per l’individuo, Putin l’ha illustrata più volte e suona più o meno così: ‘non aspettate che le perdite ci frenino. Non lo faranno. Nemmeno se dovessero essere altissime’” (Ibidem). “I nostri tribunali non sono mai stati un esempio di autonomia, come ci si potrebbe aspettare leggendo la costituzione” (Ibidem, p. 11). “Tuttavia, la giustizia odierna si sta sottomettendo allegramente al potere esecutivo, e raggiunge l’apogeo in ciò che definiamo Pozvonochnost, ῾giustizia da telefono᾿, un fenomeno che vede un giudice emettere la propria sentenza a seconda della telefonata che riceve dai rappresentanti del governo e della pubblica amministrazione. Si tratta di un fenomeno consueto in Russia, per cui quando un giudice dà prova di un’attesa autonomia di giudizio, la nostra coscienza collettiva non può non considerarlo un gesto eroico” (Ibidem, p. 235).

 

Poca trasparenza alle elezioni

La Politkovskaja è giunta a mettere in discussione anche la legittimità delle elezioni presidenziali della Russia: “Il 14 marzo 2004 Putin è diventato presidente della Russia per la seconda volta stracciando gli altri pretendenti, In Russia, come nel resto del mondo, la sua rielezione era data per scontata. […] I risultati del 14 marzo non sono stati una sorpresa per nessuno. Abbiamo anche avuto degli osservatori internazionali, ma tutto si è svolto sottotono. Il giorno delle elezioni è stato l’ultimo remake in stile sovietico-burocratico-autoritario di quell’‘espressione della volontà popolare’ che molti di noi ricordano ancora. Funzionava così all’epoca: arrivavi e infilavi la scheda nell’urna senza preoccuparti dei nomi che c’erano scritti, tanto l’esito era scontato. Ma le analogie con i tempi che furono hanno scosso qualcuno dall’inerzia, il 14 marzo? Nossignori. Ci siamo presentati tutti quanti al seggio, tutti abbiamo infilato la nostra scheda nell’urna con un’alzata di spalle. ‘Tanto che cosa ci possiamo fare?’ Convinti di esser tornati in Unione Sovietica e che da noi non dipendesse più nulla” (Ibidem, p. 266).

 

Il bisogno di liberarsi di Putin

Critiche ancora più spinte al presidente Putin giungono invece dall’ex-campione di scacchi Garri Kasparov, politico dal 2007, impegnato in un’intensa attività a favore della libertà di espressione e della democrazia in Russia. In un suo articolo pubblicato sul “Washington Post” il 20 marzo 2014 (Gary Kasparov: It’s time to stop Putin, È ora di fermare Putin, TdR) Kasparov dichiara che il presidente Putin va fermato a tutti i costi: “I leader occidentali farebbero una cosa saggia se decidessero di seguire il flusso del denaro: se sanzionassero le élite che sostengono Putin, perseguissero i membri delle loro famiglie che vengono impiegati per nascondere i patrimoni all’estero, e indagassero sulle loro aziende. Se la legislazione esistente si rivelerà inadeguata per affrontare questi criminali miliardari che tengono in vita un pericoloso regime, allora sarà necessario far approvare nuove leggi. E bisognerà fare in fretta, perché ogni giorno di ritardo rende più alto il prezzo da pagare per liberarsi di Putin. Se non si farà qualcosa, in futuro quel prezzo non sarà misurato contando il denaro che i paesi occidentali hanno tanta paura di perdere. Sarà misurato in vite umane”.

 

La politica espansionista della Nuova Russia

Il 7 marzo 2014 Kasparov ha pubblicato un articolo sul “Wall Street Journal” dal titolo Garry Kasparov: “Cut off the Russian Oligarchs and They’ll dump Putin”, Eliminiamo gli oligarchi russi e loro scaricheranno Putin, TdR): “Per la seconda volta nel giro di sei anni, il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato al proprio esercito di attraversare un confine internazionale, allo scopo di occupare militarmente un territorio sovrano. Questo è un fatto che va messo in chiaro fin da subito, prima ancora di ogni altra discussione sulle cause e sulle conseguenze. Le truppe russe hanno occupato la Crimea e non hanno alcuna intenzione di ritirarsi, nonostante le proteste del governo ucraino. Cinquecento chilometri in direzione sud-est, dall’altra parte del Mar Nero, i soldati russi occupano ancora alcune regioni della Georgia – l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia – e si stanziano lì dal 2008, anno dell’invasione e dell’annessione de facto ordinate da Putin. Putin è membro di un club esclusivo, di cui hanno fatto parte anche Saddam Hussein e Slobodan Miloševič: è uno dei pochi capi di Stato che in epoca nucleare ha avuto il coraggio di invadere una nazione confinante. Non si assisteva a simile aggressività dai tempi di Adolf Hitler e Iosif Stalin”. “Come vado ripetendo da anni, cercare di individuare una strategia di fondo nelle azioni di Putin costituisce una perdita di tempo. Nei calcoli di questo dittatore non rientrano complessi interessi nazionali; esistono solo i suoi interessi personali e gli interessi di quanti sono a lui vicini sostenendone il potere e non desiderando altro che consolidarlo sempre di più. In mancanza di vere elezioni e di liberi organi di informazione, l’unico modo in cui un dittatore può comunicare ai suo sudditi è farlo attraverso la propaganda, e l’unico mezzo per convalidare il proprio potere è il regolare l’uso della forza. In Russia, questo tipo di violenza si manifesta nella repressione dei diritti civili, contro i dissidenti, una pratica che non ha fatto altro che consolidarsi durante la distrazione costituita dai Giochi Olimpici di Soci. All'estero, l'uso della forza prende la forma di azioni militari, sanzioni commerciali o estorsione di gas naturale, e viene applicato ovunque Putin ritenga di poterlo fare senza conseguenze”.

 

Criminalità e corruzione

Sul proprio sito web (“Kasparov.com”, On cause and effect, Causa ed effetto, TdR), Kasparov il 31 dicembre 2013 ha lanciato un’accusa di corruzione al paese: “L’impunità senza precedenti di cui godono i funzionari di Putin nell’eseguire ordini criminali è garantita loro all’interno della Russia. Tuttavia, gli si può arrecare un grave danno nel momento in cui si negasse l’accesso alle ricchezze che hanno accumulato all’estero”. “Quando i lealisti di Putin esauriscono gli argomenti per giustificare il suo governo a vita, fanno ricorso alla vecchia questione – benché ancora efficace – secondo cui la Russia, grazie alle peculiarità della sua storia, - come anche della cultura e della geografia -, non possiede gli strumenti per diventare una vera democrazia. ‘Non si può paragonare la Russia all’Europa’ è la loro ultima difesa. ‘Siamo troppo diversi’. Alla luce di questo dibattito, gli eventi che stanno accadendo in Ucraina assumono un significato eccezionale. Per la sua cultura e per la sua storia, l’Ucraina è molto più vicina alla Russia che, tanto per fare un esempio, alla Svizzera, con la sua etica protestante, alla Gran Bretagna, con il suo storico sistema di governo parlamentare. Abbiamo tutte le ragioni per confrontare la loro esperienza con la nostra. Inoltre, gli eventi di quel paese possono avere una significativa influenza sulla situazione odierna in Russia […] La Russia si trova nel suo quattordicesimo anno sotto Putin. Ci sono voluti quasi tutti questi anni perché l’Occidente capisse, o almeno ammettesse, qual è la natura dispotica del regime che risiede al Cremlino, fondato da un ex tenente colonnello del KGB all’inizio di questo secolo. Dal punto di vista della relazioni internazionali, l’avversario segna oltre un decennio di appeasement verso il crescente stato di polizia russo. Il governo di Putin – ed è stato innegabilmente suo, pur avendo egli ‘prestato’ la presidenza a Dmitrij Medvedev per un mandato – ha abbattuto i diritti umani, sotto la debole maschera della democrazia ‘controllata’ (o ‘democrazia sovrana’), mentre saccheggiava il paese all’interno. Contemporaneamente, i paesi membri del G7 hanno accolto Putin a braccia aperte, fornendo credenziali democratiche a un uomo che, ancora nel 2005, aveva dichiarato che il crollo dell’Urss era stata la peggiore catastrofe geopolitica del ventesimo secolo. I leader del mondo libero sono rimasti a guardare, mentre Putin e i suoi alleati procedevano ad annientare le fragili istituzioni democratiche russe, una per volta”.
Nel suo sito libro del 2013, Kasparov afferma: “Nel loro lavoro senza sosta per convincere la parte senziente del movimento di protesta che il regime di Putin è destinato a durare, i giornalisti al soldo del Cremlino sono passati dall’insistere sull’incapacità genetica del popolo russo a vivere in una democrazia, al cercare di spiegare ‘logicamente’ come la speranza di un crollo dell’élite governante sia del tutto inutile. Ma la loro infervorata insistenza su quanto questa élite sia monolitica non è supportata da alcuna analisi storica, e soprattutto è troppo superficiale. Tuttavia, arriva sempre un momento in cui una scissione all’interno di un’oligarchia diventa inevitabile”. (Garri Kasparov, Scacco matto a Putin, Isbn edizioni, 2013).

 

Il sistema antidemocratico della Russia

Una ricerca dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) ha presentato, in data 30 novembre 2010, un’analisi di Adriano Roccucci (La via russa alla democrazia), professore Ordinario di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma Tre. In merito, Roccucci afferma che nel sistema di governo della Federazione russa “la stabilità, perseguita a difesa dell’élite politica russa nell’ultimo decennio, rischia di trasformarsi in un fattore di stagnazione”. […] “Il presidente ha una maggioranza che non rischia mai di perdere e una minoranza che non ha possibilità di vincere nella lotta politica” (Adriano Roccucci, La via russa alla democrazia, P.1). La Russia, secondo Roccucci, si trova solo all’inizio del cammino di democratizzazione e per procedere lungo questo itinerario occorre rendere il sistema “più elastico, più dinamico, più aperto al rinnovamento e allo sviluppo”.
Riguardo al processo di modernizzazione previsto da Dmitrij Medvedev, quando ancora ricopriva la carica di presidente della Federazione russa, si sarebbe dovuto “accordare […] alla storia, ai caratteri e alle esigenze della Russia” procedendo con cambiamenti “’graduali, ponderati e successivi’” ma “’irremovibili e consequenziali’” (Ibidem). La Russia rimane ancora un paese antidemocratico. La conquista del rispetto dei diritti umani e di libere elezioni, tuttavia, deve giungere al termine di un percorso senza cambiamenti bruschi e forzature eccessive.

 

La responsabilità politica dell’omicidio di Nemtsov

Il tragico omicidio del politico russo Boris Nemtsov, oppositore di prima linea al governo di Vladimir Putin, avvenuto a Mosca il 27 febbraio 2015, ha suscitato diverse accuse nei confronti del Cremlino. Tra le denunce più importanti vi è quella di Zhanna Nemtsova, figlia di Boris Nemtsov, analista del mercato azionario e presentatrice televisiva russa. Zhanna Nemtsova non ha espresso alcun dubbio sul fatto che in merito alla morte di suo padre il presidente Vladimir Putin sia “politicamente responsabile”. La notizia è stata riportata da un articolo di “International Business Time” (Luca Lampugnani, Russia, omicidio Nemtsov. La figlia dell’oppositore: “Putin politicamente responsabile”, 27 febbraio 2015). La figlia di Nemtsov ha inoltre riferito, rilasciando un’intervista alla “BBC”, che a causa dell’omicidio “l’opposizione è decapitata, e tutti sono spaventati” Secondo Nemtsova, Boris Nemtsov è stato “il critico più in vista ed importante” dell’attuale presidente, definito come “il più potente leader dell’opposizione in Russia”. “Non abbiamo nessun’altra figura”, ha riferito Nemtsova, “così preponderante all’interno dell’opposizione, con tanta competenza ed esperienza per affrontare i funzionari di governo”.
L’articolo di Luca Lampugnani ha ribadito che, come per altri omicidi che hanno troncato la vita degli oppositori di Putin, anche quello di Nemtsov rischia di essere coperto da una “densa e fitta nebbia”: “Anche se non è da escludere che gli esecutori materiali dell’omicidio saranno effettivamente trovati, allo stesso modo è indubbio che l’ombra del Cremlino sul caso difficilmente si solleverà mai definitivamente”. (Luca Lampugnani, Russia, omicidio Nemtsov. La figlia dell’oppositore: “Putin politicamente responsabile”, cit.).
In risposta alle dichiarazioni di Vladimir Putin, che ha definito Nemtsov “solo un comune cittadino” tentando di nascondere la reale figura chiave che il politico ricopriva all’interno dell’opposizione russa, Bernard Guetta, giornalista francese esperto di politica internazionale e collaboratore del quotidiano “Libération”, ha riportato le proprie opinioni in merito a Nemtsov: “Boris Nemtsov non era un oppositore come tanti. Era stato vicepremier, nonché uno dei possibili eredi di Boris Eltsin prima che Vladimir Putin vincesse la partita. Nemtsov è stato al centro del processo di privatizzazione dell’economia russa […]. Non solo conosceva tutti i segreti di famiglia della Nuova Russia, ma era stato anche molto vicino a persone che oggi posseggono i più consistenti patrimoni del paese”. (Bernard Guetta, Le ragioni nascoste dell’omicidio Nemtsov, “Internazionale”, 5 marzo 2015). Guetta ha rimarcato che la figura di Boris Nemtsov rappresentava un personaggio della nuova élite russa, ma anche un uomo che “aveva rotto con un potere che per altro aveva contribuito a creare”: “Quando l’avvento di Putin ha sgretolato le sue certezze, Nemtsov è passato all’opposizione denunciando la corruzione e criticando l’annessione della Crimea e l’ingerenza delle truppe russe in Ucraina, affermandosi come l’unica figura di respiro nazionale dell’opposizione”. Secondo il giornalista francese la figura di Boris Nemtsov al momento dell’omicidio ricopriva sicuramente una posizione di rilievo nazionale in riferimento al governo di Vladimir Putin: “Tutto questo sarebbe bastato a renderlo una minaccia, ma Nemtsov era soprattutto l’unico oppositore che poteva essere preso sul serio dai grandi patrimoni russi, gli stessi che oggi sono grandi nomi del settore bancario e dell’industria”.
A fondare le critiche sulle posizioni del Cremlino in merito a questa vicenda hanno contribuito i fatti successivi all’omicidio. Le indagini condotte dal governo sono state impostate per individuare quasi ad ogni costo un pista di matrice islamica nel movente dell’omicidio.
Zaur Dadayv, l’ex poliziotto ceceno che inizialmente aveva confessato di aver preso parte all’omicidio di Nemtsov è rimasto per giorni il capro espiatorio di questa confusa situazione ed è stato a lungo considerato dagli inquirenti come un diretto esecutore dell’omicidio dell’ex vicepremier russo. Secondo Andrej Babushkin, membro del Consiglio per i Diritti Umani presso il Cremlino, l’ex poliziotto ceceno risulta invece innocente e le accuse nei suoi confronti sono inesistenti: “Ci sono ragioni che ci inducono a credere che Dadayv abbia confessato sotto tortura”. Babushkin ha commentato il suo sospetto basandosi sulla presenza di evidenti “numerose ferite” presenti sul corpo del carcerato.
A confermare questa posizione è stato in seguito il fatto che Dadayv ha ritirato la sua confessione, affermando di essere stato costretto a confessare con “percosse e minacce”. La confessione era stata inizialmente rilasciata dal carcerato solamente per tutelare un amico e dare poi in tribunale la propria versione dei fatti. (Omicidio Nemtsov, killer reo confesso torturato? Spunta nuova pista, “askanews”, 11 marzo 2015).

Censura, troll e trafficanti russi nel cyber-campo di battaglia

Nel suo articolo Guerra in Ucraina: così propaganda e disinformazione online inquinano il dibattito, pubblicato il 31 marzo 2022 su “Agenda Digitale”, Angelo Alù, PhD, Consigliere Internet Society Italia, saggista e divulgatore digitale, sostiene che il Cremlino sta intensificando il controllo delle informazioni veicolate sulla guerra: “Non solo si assiste alla chiusura in via autoritativa di emittenti nazionali indipendenti e alla sospensione dei servizi giornalistici resi dalla stampa internazionale, ma emerge un’azione generale di filtraggio funzionale a bloccare siti di notizie e social network con una portata restrittiva e punitiva di censura senza precedenti che potrebbe presto raggiungere un’escalation ancora più ampia e generalizzata”.
Il fatto, poi, che ormai milioni di persone utilizzino ogni giorno i social media per pubblicare 24 ore su 24 aggiornamenti sul conflitto rende ulteriormente difficile la selezione di notizie affidabili e permette di inquinare facilmente i contenuti in rete. Alù cita poi un articolo pubblicato nel 2022 sul “Guardian” in cui si fa riferimento all'esistenza di troll e trafficanti russi all’interno dei gruppi Facebook creati per il supporto ai rifugiati ucraini, al fine di inquinare le informazioni e creare trappole che possano mettere in pericolo gli utenti: “Non si tratta di casi isolati: è sempre più frequente la presenza online di cd. ‘guerrieri da tastiera’ impegnati in prima linea nell’offensiva bellica, con il compito di smascherare le teorie complottistiche, anche perché numerosi account stanno inondando i social media con false affermazioni sull’invasione dell’Ucraina, dando vita ad un cyber-campo di battaglia secondario a quello dello scontro militare reale, ove prolifera la diffusione di troll, bot e altre applicazioni dannose” (Technology firm should help spot Russian-based users, says founder of group matching up with UK hosts, “theguardian.com”, 21 marzo 2022).
Per l’organo di stampa russo indipendente “Meduza”, il presidente Vladimir Putin “ha ufficialmente introdotto la censura di Stato e in poche ore, al massimo giorni, non ci saranno più media indipendenti in Russia”. In un editoriale dal titolo Non ci potete zittire, pubblicato nel marzo 2022 e riportato dai maggiori quotidiani europei (I media indipendenti russi: "È censura di Stato, ci chiudono", del giornalista Robert Krcmar, pubblicato il 3 marzo 2022 su “tio.ch”) i giornalisti del media rivelano di avere ancora poco tempo prima che la censura di Stato si abbatta anche su di loro, come già accaduto ad altri organi di informazione chiusi d'autorità: “La distruzione dei media indipendenti è una delle cose che ha reso possibile questa guerra”, sottolineano. “Stiamo pubblicando questo testo finché c'è ancora tempo, per noi, per far sapere a tutti l'inizio di un altro storico sviluppo: la Russia ha ufficialmente introdotto la censura di Stato”. Con l’espressione “poco tempo”, i collaboratori di “Mendoza” intendono dire che, appunto, è ipotizzabile che a breve i media indipendenti in Russia vengano tutti censurati: “Molto, molto presto è possibile che chiunque in Russia cerchi informazioni dalle 'voci nemiche' di fonti indipendenti dovrà fare gli stessi sforzi che erano richiesti per avere notizie da coloro che vivevano dentro la Cortina di ferro”. Tra le azioni di censura: la richiesta di utilizzare la dicitura “operazione militare speciale” in riferimento al conflitto in Ucraina; le lettere inviate per chiedere alle agenzie di stampa di togliere i servizi sulla guerra; gli ordini di bloccare i siti web di “Taiga.info”, “Doxa”, “The Village”, “TV Rain”, la stazione radio “Ekho Moskvy” e altri.
“La drammatica situazione in cui il nostro Paese si trova oggi è uno dei risultati dell'assalto delle autorità ai media indipendenti e alla stessa realtà delle cose. Se abbiamo una minima chance di fermare questa guerra noi abbiamo bisogno della stampa libera” (Ibidem).

Durante la conferenza sulla disinformazione che si è tenuta a Bruxelles il 7 febbraio 2023, e riportata nell’articolo Russia: Zakharova a Borrell, restrizioni media come in Terzo Reich, pubblicato lo stesso giorno su “swissinfo.ch”, Josep Borrell, alto rappresentante dell'UE per gli Affari Esteri dal 1º dicembre 2019, dichiara che Putin utilizza la manipolazione dell'informazione al pari di un'arma, “perché la guerra in Ucraina non si combatte solo con i proiettili: questa battaglia è in corso, il ministro Lavrov gira l'Africa e diffonde menzogne sulle responsabilità della guerra e sugli effetti che ha sul mondo". Una disinformazione industrializzata promossa da migliaia di persone asservite alla leadership di Putin, un’arma “che fa male, uccide, uccide la capacità delle persone di capire cosa accade: se l'informazione è tossica, la democrazia non può funzionare" (Ibidem).