Il medico avvia la sua carriera proclamando con il Giuramento di Ippocrate: “Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio” (“Ordinedeimedicims.it”, consultato in data 12 maggio 2015). Pertanto la provocazione della morte di un malato apporta sul medico aspettative non consone e ne delegittima la professione. La legge punisce i medici che attuano le pratiche di eutanasia. La radiazione dall’albo è la prova che il medico disattende alla sua missione procurando la morte. “L’eutanasia contraddice l’essenza stessa della professione medica nel suo nucleo paradigmatico: l’impegno alla difesa e al rispetto della vita umana. Uno non può violare questo impegno e restare medico e ciò prima, e del tutto indipendentemente, dalle conseguenze legali” (Demetrio Neri, Eutanasia: le ragioni del sì, in Alle frontiere della vita. Eutanasia ed etica del morire, a cura di Marianna Gensabella Funari, vol. 2, Rubbettino, 2003, p. 77).