L’Europa può e deve raggiungere la piena autonomia strategica in difesa e ciò è impossibile se continua ad appoggiarsi alle armi americane. Oltre agli aspetti già discussi di dipendenza e di danno industriale, qui si sottolinea l’importanza geopolitica e identitaria per l’UE di diventare un attore di sicurezza autonomo, capace di agire secondo i propri valori e interessi, senza essere trascinata o limitata dalle agende altrui. Gli assertori di questa tesi spesso richiamano la storia: finora, quando l’Europa ha delegato la propria sicurezza agli USA, ha finito per essere coinvolta in “guerre imposte” non sempre in linea con i suoi interessi. Il “Giornale d’Italia”, in un pezzo di Riccardo Renzi, ha ricordato come gli Stati Uniti abbiano trascinato l’Europa in conflitti come Iraq 2003 o Libia 2011 senza un adeguato dibattito interno in Europa, producendo instabilità e crisi migratorie di cui oggi l’Europa paga il prezzo. Secondo questa prospettiva, l’essere rimasti sotto l’ombrello USA ha avuto un costo geopolitico: l’UE non ha sviluppato una propria visione strategica, adattandosi a quella americana e subendone anche gli errori. Continuare a comprare armi USA perpetua questa eterodipendenza strategica. Viceversa, investire su un proprio apparato difensivo (anche se faticoso) obbligherebbe l’Europa a chiarire i propri obiettivi di sicurezza e assumersi responsabilità come attore globale. I contrari ritengono che la crisi ucraina e la “dottrina Trump” abbiano aperto gli occhi a molti in Europa sulla necessità di emancipazione. Il presidente francese Emmanuel Macron è tra i principali portavoce di questa linea: ha più volte invocato un’Europa “potenza sovrana”, capace di “prendere il controllo del proprio destino” e non dipendere da “poliziotti extraeuropei”. Nel concreto, Macron nel 2023 dichiarò che gli europei non devono essere “vassalli” (riferito agli USA) e nel 2025 ha lanciato un’offensiva diplomatica per convincere vari Paesi UE a scegliere sistemi europei invece degli americani. Ha fatto esempi specifici: offrire il SAMP/T NG (franco-italiano) a chi stava per comprare il Patriot, proporre il Rafale a chi valuta l’F-35. Questa campagna, appoggiata anche dal ministro francese Lecornu, è stata definita “la grande battaglia per il 2025”, a sottolineare l’importanza cruciale del momento: se l’Europa spende male ora (su fornitori esterni), perderà l’ultima occasione di costruire una difesa europea robusta. I contrari sposano in pieno questa visione: ogni euro investito in un’azienda europea resta patrimonio tecnologico europeo e rafforza la sovranità dell’UE; ogni euro regalato a Lockheed o Boeing rafforza la supremazia USA e indebolisce la prospettiva di un’Europa indipendente. Anche leader di altri Paesi condividono l’idea di ridurre la dipendenza. La Germania, tradizionalmente più atlantista, con l’arrivo di un possibile cancelliere CDU (Merz) ha cominciato a ventilare la nascita di una “Comunità europea di difesa” alternativa in caso di disimpegno USA. Lo stesso Merz sostiene che i massicci riarmi tedeschi post-2022 dovrebbero essere “assegnati per quanto possibile a produttori europei”. Questo indica che il concetto di preferenza europea sta guadagnando consensi anche fuori dalla Francia. Questo è un segnale importante: se Parigi e Berlino (assieme ad altri) iniziano a convergere su progetti comuni, l’UE potrebbe creare quell’effetto massa finora mancato. Ad esempio, il caccia FCAS di sesta generazione (Francia-Germania-Spagna) e il caccia Tempest (Italia-UK-Giappone) dovrebbero forse unirsi per evitare duplicazioni e sommare risorse. Lo stesso vale per i futuri carri armati (il progetto MGCS). Finora queste iniziative procedono a rilento, in parte perché alcuni partner (Germania, ad esempio) hanno preso vie traverse comprando sul momento dagli USA (gli F-35 per sostituire i Tornado, rompendo l’unità sul caccia europeo). I contrari definiscono queste scelte errori politici gravi, dettati dalla fretta e da pressioni esterne, e chiedono di rimettere sui binari i grandi programmi europei. Se ciò comporta un temporaneo scoperto, si può ricorrere a soluzioni ponte europee. Ad esempio, la Spagna ha deciso di non comprare gli F-35B americani per le sue portaerei, preferendo puntare su un futuro velivolo europeo o su un adattamento degli FCAS, pur sapendo di dover gestire un gap capacitivo attorno al 2030. Questa scelta, applaudita dai contrari, dimostra coerenza strategica: meglio accettare qualche limitazione operativa che legarsi definitivamente a sistemi USA. Un altro argomento chiave è la resilienza e l’indipendenza di approvvigionamento. I sostenitori del Buy European ricordano la lezione della pandemia di COVID: l’Europa ha sofferto per la dipendenza da forniture estere (mascherine, vaccini inizialmente, materie prime critiche). Ha quindi avviato politiche per la “sovranità industriale” in settori come farmaceutica e microchip. Lo stesso ragionamento dovrebbe applicarsi alla difesa: in caso di crisi globale, ogni Paese tende a privilegiare se stesso. In caso di conflitto tra USA e Cina, è plausibile che gli Stati Uniti dirottino la produzione di armi verso il Pacifico. Un policy brief di Bruegel avverte infatti che “le future amministrazioni USA potrebbero dare priorità alle consegne verso l’Asia”. Ciò lascerebbe l’Europa in coda alla fila di fornitura, come ha spiegato il generale Grand: “c’è la percezione errata che gli USA siano un Walmart gigantesco con tutto in pronta consegna, la realtà è che finisci in coda”. Già ora, per certi armamenti americani, i tempi di consegna per gli europei sono pluriennali (2-5 anni). In caso di emergenza mondiale, la priorità USA andrebbe al proprio esercito, non a rifornire l’Europa. Cosa succederebbe se nel 2027 scoppiasse una guerra su Taiwan e l’Europa avesse bisogno di nuove munizioni o pezzi di ricambio? Rischiamo di non ottenerli in tempo, perché le fabbriche americane saranno occupate da ordini per il Pentagono o alleati asiatici. Per questo si insiste sul concetto di autonomia strategica: l’Europa deve costruire una base industriale capace di soddisfare almeno le sue esigenze critiche. In alcuni settori (carri armati, artiglierie, missili antinave) l’industria UE è già leader mondiale (ad esempio, Leopard 2 tedeschi, Panzerhaubitze 2000, Exocet francesi). Potenziando queste filiere e sviluppandone di nuove in segmenti deboli (droni MALE, aerei di 5a gen, difesa antimissile), l’Europa può aspirare a non dipendere da nessuno. Sarebbe un percorso analogo a quello seguito dall’Unione nei settori spaziale (lanciatore Ariane invece dei razzi USA) o nucleare civile (reattori e filiera combustibile propri): inizialmente cooperando con gli USA, poi emancipandosi. C’è da sottolineare che un’Europa autonoma militarmente non significherebbe un’Europa antiamericana, bensì un alleato più forte e credibile. Il think tank Atlantic Council (pur di scuola atlantista) riconosce che un “pilastro europeo più robusto” alla fine porterebbe a una NATO più equilibrata e resiliente. Gli USA stessi, specialmente in un contesto di multi-confronto (Russia e Cina), dovrebbero giovarsi di un’Europa capace di gestire la propria sicurezza regionale in autonomia, lasciando agli americani libertà di concentrarsi altrove. Paradossalmente, quindi, l’autonomia europea rafforzerebbe la partnership riducendo i risentimenti e le incomprensioni reciproche. Ma perché ciò avvenga, l’Europa deve fare un atto di volontà: investire su se stessa. I contrari citano il concetto di “Europeizzazione degli investimenti”: i soldi europei (soprattutto se provenienti da fondi UE o debito comune) devono servire a finanziare produzioni europee, come ha affermato il ministro francese Lecornu – “La vendita di armi europee agli eserciti europei è la grande battaglia del 2025”. Non fare questa scelta vorrebbe dire arrendersi a essere perennemente un protettorato armato da altri, senza dignità di attore globale. Personalità anche moderate, come l’alto diplomatico spagnolo Javier Solana, da tempo suggeriscono che l’UE deve avere “autonomia di decisione e di approvvigionamento” nelle questioni di difesa, altrimenti non sarà mai considerata seriamente sulle scene di crisi mondiali. Per 70 anni l’Europa è dipesa dagli USA; ora deve crescere e prendersi la responsabilità della propria difesa. Continuare a comprare americano sarebbe restare nell’adolescenza geopolitica. Altre potenze emergenti, come l’India, diversifica le sue fonti militari (comprando da Russia, Francia, Israele) per non dipendere da nessuno, e investe nel Make in India. L’Europa ha un potenziale industriale molto superiore all’India, eppure paradossalmente oggi appare più dipendente (quasi 2/3 dell’import UE da un solo Paese, gli USA). Questa situazione è ritenuta anomala e non degna dell’UE. Un commentatore su l’“Indipendente” l’ha definita “fuga dagli F-35 americani, l’Europa teme di ritrovarsi vulnerabile e costosa”, facendo riferimento a vari Paesi che stanno ripensando l’acquisto dei Lightning II per cercare alternative. Ciò dimostra che la consapevolezza sta crescendo anche tra gli alleati: la “buyer’s remorse” (rimorso del compratore) di cui scrive “Euractiv” si sta diffondendo in molte capitali UE.
Madeleine Maresca, 17 dicembre 2025