Gli acquisti europei di armamenti statunitensi vanno interpretati anche come una mossa strategica di politica estera, volta a garantire il perdurare dell’impegno americano nella difesa dell’Europa. In un momento storico caratterizzato da incertezze politiche a Washington – con segmenti dell’opinione pubblica e della leadership USA tentati dall’isolazionismo – dimostrare concretamente che l’Europa è un partner che investe nell’alleanza può fare la differenza tra un’America coinvolta o disinteressata al destino europeo. Acquistare armi made in USA, in quest’ottica, diventa un segnale di buona volontà e un fattore di rassicurazione per chi a Washington spinge affinché gli alleati “facciano la propria parte”. Uno degli argomenti ricorrenti di Donald Trump (e di altri esponenti politici americani) è che gli europei abbiano a lungo “approfittato” della protezione USA spendendo poco in difesa. Sin dal suo primo mandato, Trump ha chiesto aumenti drastici dei bilanci militari NATO, minacciando in caso contrario un disimpegno americano. Ebbene, gli europei hanno reagito: oggi molti Paesi UE stanno incrementando le spese verso (o oltre) il 2% del PIL, con Polonia e Paesi baltici ben oltre questa soglia. Ma aumentare il budget non basta a convincere Washington: bisogna anche decidere dove impiegarlo. Se l’UE usasse tutti i nuovi stanziamenti per programmi strettamente nazionali o europei, ci sarebbe il rischio che negli USA vedessero questo come un “decoupling” (sganciamento) dall’alleanza, alimentando la retorica di chi accusa l’Europa di voler fare da sé e magari accomodarsi con potenze rivali. Al contrario, destinare una parte significativa di quei fondi all’acquisto di equipaggiamenti americani lancia un messaggio potente: l’Europa scommette sull’alleato a lungo termine. Dal punto di vista diplomatico, ciò può consolidare i legami politico-militari: generali, industrie e comunità strategiche americane avranno un interesse diretto a mantenere forte la NATO perché ne traggono benefici economici e di influenza. In altre parole, gli acquisti UE in America creano una lobby domestica pro-alleanza negli Stati Uniti. Questo concetto è ben noto: storicamente, la presenza di truppe USA in Europa (e le basi NATO) ha generato negli Stati Uniti meccanismi di coinvolgimento quasi automatico – militari che fanno carriera nell’Alleanza, aziende che riforniscono le basi, scambi accademici ecc. Oggi che la presenza militare americana è relativamente ridotta rispetto al passato, la dimensione commerciale (armi vendute) può fungere da surrogato per mantenere quei legami vitali. Vi è anche un ragionamento economico alla base: grazie alle commesse europee, l’industria bellica USA ottiene profitti e scala produttiva maggiori, rafforzandosi e rendendo gli Stati Uniti più forti militarmente. Alcuni in Europa considerano ciò un problema, ma altri pensano che un’America militarmente più forte e integrata con l’Europa è un vantaggio netto per la sicurezza occidentale. Se il compito è contenere potenze revisioniste come Russia e Cina, avere gli arsenali americani ben finanziati – anche con i soldi alleati – è nell’interesse strategico dell’Europa. Prospetticamente, poi, gli acquisti possono essere modulati: l’Europa potrebbe decidere di acquistare alcuni sistemi chiave dagli USA (quelli più efficaci) e concentrarsi internamente su altri. Un esempio citato dai sostenitori è quello delle munizioni e artiglierie: dopo il 2022 gli europei si sono resi conto di dover aumentare la produzione di proiettili e hanno fatto investimenti che, in due anni, hanno portato la produzione continentale di proietti d’artiglieria a sei volte il livello iniziale, superando perfino i volumi americani. Ciò dimostra che, se motivata, l’UE può rendersi autosufficiente in certi comparti. Ma parallelamente, per caccia e missili sofisticati, ci vorrà più tempo. Dunque, in alcuni settori l’Europa inizia a camminare, in altri continua a essere portata dagli USA, senza che questo implichi vergogna politica. Del resto, lo stesso segretario generale NATO Mark Rutte riconosce la necessità di una transizione graduale: ha invitato gli alleati europei a investire sia in industrie e innovazione interne, sia ad acquisire subito capacità fondamentali (spesso di provenienza USA) per la difesa comune. Insomma, anche ai vertici dell’Alleanza la linea è duplice: rafforzarsi, ma intanto comprare ciò che serve. Un altro argomento pro-acquisti USA è il mantenimento dell’ombrello nucleare tattico e delle capacità strategiche americane sull’Europa. Sebbene la questione nucleare sia specifica, è correlata: Paesi come Belgio, Paesi Bassi, Italia e Germania ospitano bombe nucleari USA (nuclear sharing) sganciabili con aerei americani (prima F-16, in futuro F-35). Assicurarsi di avere la nuova generazione di velivoli USA (F-35 appunto) consente di tenere in vita questa deterrenza condivisa. Se l’Europa decidesse di non comprare l’F-35 e puntare su soli aerei propri non certificati per armi nucleari, rischierebbe di spezzare il meccanismo di dissuasione nucleare integrata con gli USA – scenario che molti governi considerano imprudente vista l’attuale aggressività russa. Quindi anche in questo ambito i Pro vedono negli acquisti di caccia USA una garanzia implicita di continuità strategica: finché gli europei usano piattaforme americane per missioni sensibili (come il nucleare), gli Stati Uniti resteranno saldamente coinvolti. Inoltre, l’alleanza con gli USA è insostituibile sul piano globale. L’Europa da sola, anche se equipaggiata di armi proprie, non avrebbe la proiezione di potenza e il peso geopolitico di un’accoppiata transatlantica. Tenere legate insieme le due sponde – anche attraverso la dipendenza militare – è considerato prudente. L’alternativa sarebbe un mondo multipolare dove l’Europa, orfana dell’America, finirebbe schiacciata tra altre superpotenze. In questa visione, comprare armi americane non è solo una scelta tecnica, ma un atto politico di alleanza: significa “votare” per un Occidente unito e assicurare che gli USA rimangano in Europa. In quest’ottica, riassunta con efficacia da un commentatore su “Il Manifesto”, “comprare armi dagli Stati Uniti è come pagare l’abbonamento affinché lo scudo americano continui a proteggerci”. La contropartita è costosa, sì, ma considerata necessaria: meglio investire miliardi in prodotti USA che perdere un alleato del calibro degli Stati Uniti.
Madeleine Maresca, 17 dicembre 2025