I contrari all’acquisto di armi statunitensi da parte dell’UE puntano il dito sulla dipendenza strategica che ne deriva, considerandola insostenibile e pericolosa. Secondo questa tesi, finché gli eserciti europei si basano su sistemi d’arma forniti (e in buona parte controllati) dagli Stati Uniti, l’Europa non potrà mai agire davvero in autonomia né difendere i propri interessi, se divergenti da quelli di Washington. Si tratta di una questione di sovranità nazionale e collettiva: le nazioni dovrebbero avere pieno controllo sul proprio strumento militare, mentre l’attuale situazione lega l’operatività delle forze europee alla volontà e ai vincoli imposti da un Paese terzo, sia pure alleato. Un esempio concreto spesso citato è il caso dei missili a lungo raggio Storm Shadow/SCALP forniti a Kyiv: sebbene fossero franco-britannici, contenevano componenti americane e ciò ha costretto Francia e UK a chiedere preventivamente il permesso di Washington per ogni impiego sul territorio russo. Questo evento, riportato dal giornalista David Carretta, ha reso palese come anche armi “europee” possano essere ostaggio di veti USA a causa di pezzi chiave importati. Ancora più rilevante è la situazione degli F-35: questi caccia sono letteralmente pilotati da un software proprietario americano e collegati via rete ai server Lockheed Martin, tanto che gli addetti ai lavori sottolineano come “gli americani tengono le chiavi di accensione” dei velivoli. Vincenzo Comito, esperto finanziario, ha dichiarato che “non compriamo il diritto di farli funzionare”: se gli USA volessero, potrebbero disabilitare a distanza alcune funzionalità o negare aggiornamenti fondamentali ai sistemi d’arma forniti. Persino un Paese fedelissimo agli USA come la Danimarca ha manifestato inquietudine: da utilizzatrice di F-35, Copenaghen ha realizzato che se un giorno difendesse la Groenlandia da mire statunitensi (un’ipotesi provocatoria ventilata da Trump), quegli aerei potrebbero esserle “bloccati a terra” dagli stessi americani. Questo scenario limite evidenzia però una verità: chi ti fornisce la tecnologia, ne mantiene spesso le leve. Elon Musk ha dimostrato qualcosa di analogo con il suo sistema satellitare Starlink, usato dagli ucraini ma gestito da una compagnia USA, arrivando a spegnerne alcune funzionalità perché in disaccordo con l’impiego bellico che Kiev voleva farne. Musk è un privato cittadino, certo, ma il principio è il medesimo: l’Europa, affidandosi a mezzi non propri, cede controllo e si espone a ricatti. I fautori della linea contro avvertono che questa dipendenza potrebbe un giorno ritorcersi come un boomerang: se emergesse un conflitto in cui l’UE avesse interessi divergenti dagli USA, la sua capacità militare sarebbe paralizzata. Per esempio, se ci fosse una crisi nel vicinato meridionale (Mediterraneo) o in Africa in cui l’Europa volesse intervenire ma gli Stati Uniti no, o addirittura osteggiassero l’intervento. Con mezzi interamente made in USA, Washington potrebbe fare pressione minacciando di sospendere manutenzioni, rifornimenti di pezzi di ricambio o flussi di dati indispensabili. Ciò è già successo nel 2013, quando gli USA rimossero dal sud Italia i droni Predator utilizzati per monitorare il Mediterraneo, di fatto togliendo agli europei un asset per loro cruciale, perché serviva altrove. Oppure, in anni più recenti, gli USA hanno vietato all’Arabia Saudita e ad altri utilizzatori di impiegare certi aerei o bombe in modi contrari alla loro politica (pur vendendole). Niente impedirebbe, un domani, a un presidente americano contrario a un’azione europea autonoma di usare le armi come leva negoziale. L’ex ministro francese Le Drian parlò a riguardo di “diritto d’uso sovrano”: chi possiede un’arma deve poterla usare quando serve, ma con quelle americane il diritto d’uso rimane condizionato. La dipendenza condiziona anche la politica estera europea nel suo complesso. I detrattori notano che già oggi l’UE fatica a prendere posizioni autonome per paura di contrariare Washington. Finché l’ombrello militare USA sarà indispensabile, l’Europa dovrà in larga misura allinearsi alle scelte strategiche americane, che si tratti di sanzioni contro la Cina o di atteggiamenti verso l’Iran. L’editorialista Riccardo Renzi ha analizzato la nuova Strategia di Sicurezza USA e l’ha definita “un’alleanza costosa e strategicamente sbagliata” per l’Europa: in pratica, Washington chiede agli europei di comprare armi americane e seguire la sua linea di politica estera, “senza però impegnarsi in un vero partenariato”. Questo riflette una crescente sfiducia USA verso gli alleati e un tentativo di minimizzare rischi per sé scaricandoli sull’Europa. In quest’ottica, la dipendenza militare viene vista come un cappio al collo: più l’Europa segue gli USA, più perde peso negoziale. L’asimmetria di potere cresce. Juan Mejino, ricercatore Bruegel, ha spiegato che la dipendenza europea dall’hardware americano conferisce agli Stati Uniti “molta più leva negoziale quando trattano su altri fronti”, come il commercio. Infatti, nel 2025 Trump ha imposto un nuovo accordo commerciale in cui l’UE ha subito tariffe e ha dovuto accettare di comprare un enorme quantitativo di armamenti USA come contropartita. Per i critici, è uno scambio impari e umiliante: l’Europa appare come un “vassallo” che paga tributi in acquisti militari per ingraziarsi l’impero americano. Non a caso, figure come l’alto rappresentante UE Josep Borrell hanno ammonito a “non diventare vassalli” e a coltivare l’autonomia strategica. Il peggior rischio è che la dipendenza riduca la prontezza europea ad agire per conto proprio, perché abituata ad aspettare indicazioni dagli USA. Diversi osservatori temono il formarsi di una sorta di “sindrome da subappalto”: l’Europa spende e compra, ma poi lascia agli Stati Uniti la guida effettiva delle operazioni. L’architettura di comando attuale della NATO riflette questa realtà: in caso di grave conflitto sul suolo europeo, sarebbe quasi certamente un generale americano a comandare le forze alleate. L’ex ministro tedesco Thomas de Maizière notò polemicamente che la NATO in Europa era concepita per avere un generale USA in testa anche a truppe composte al 90% da europei. Con la dipendenza tecnologica, questo non cambierà: chi ha le chiavi dei sistemi e la superiorità informativa guiderà le operazioni. I contrari vedono qui un paradosso: l’Europa spende di più in difesa che in passato, ma continua a non poter pensare con la propria testa. Anzi, oggi l’UE si trova a investire risorse comuni (come il fondo EDIRPA) in progetti che potrebbero includere quote di forniture extra-UE (sebbene limitate al 30-35% su pressione del Parlamento). Questo significa che la stessa UE sta destinando denaro a potenziare ulteriormente la propria dipendenza. Una scelta che si potrebbe giudicare autolesionista. Dunque, comprare armi USA perpetua una condizione di subalternità strategica, incompatibile con l’idea di un’Europa potenza sovrana. I Paesi UE rimangono vincolati al volere di Washington nell’impiego delle loro stesse forze armate. Politicamente, ciò li costringe a seguire l’America per timore che altrimenti “chiuda il rubinetto” (come quasi avvenuto con l’Ucraina). E militarmente, li priva della possibilità di condurre operazioni autonome senza chiedere placet oltreoceano. Acquistando decine di miliardi di armi dagli USA continuano a far comandare Washington. L’unico modo per spezzare questo circolo vizioso è smettere di alimentare la dipendenza e iniziare a investire seriamente in un complesso militare-industriale europeo, anche a costo di qualche inefficienza iniziale o gap temporaneo. In prospettiva, la sicurezza derivante dall’essere padroni del proprio destino è superiore a quella apparente garantita dall’ombrello altrui.
Madeleine Maresca, 17 dicembre 2025