Gli europei devono fare i conti con una realtà immediata: in caso di aggressione oggi, la difesa dell’UE dipende in larga misura dagli Stati Uniti. Acquistare armi dagli USA è quindi una scelta pragmatica per garantire sicurezza immediata. I sistemi d’arma americani – dai caccia stealth ai missili antiaerei – offrono capacità all’avanguardia che spesso nessuna industria europea è in grado di eguagliare nel breve termine. Ad esempio, il caccia F-35 Lightning II, sviluppato dalla statunitense Lockheed Martin, viene considerato insostituibile per le sue doti furtive e di fusione sensori; come nota Camille Grand (European Council on Foreign Relations), “esistono alternative europee, ma nessuna è all’altezza dell’F-35”. Molti Paesi UE concordano: almeno 38 F-35 sono stati consegnati dall’America all’Europa nel solo 2024 (destinati a Belgio, Danimarca, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia e UK). Questo aereo rappresenta la punta di diamante tecnologica e, di fatto, standardizza le flotte alleate attorno a un unico modello avanzato – un vantaggio operativo nel contesto NATO. In effetti, l’interoperabilità con gli Stati Uniti e con gli altri partner NATO è un argomento centrale per i favorevoli. Utilizzare equipaggiamenti comuni significa poter condividere logistica, parti di ricambio, addestramento e intelligence, massimizzando l’efficacia collettiva sul campo. Durante la Guerra Fredda la dottrina NATO già enfatizzava la standardizzazione: oggi, adottare sistemi d’arma USA garantisce che le forze europee possano integrarsi senza soluzione di continuità in qualsiasi operazione congiunta. Ad esempio, avere in tutta Europa batterie missilistiche Patriot compatibili (invece di una frammentazione di modelli nazionali) consente una difesa aerea integrata sotto un unico network di comando. Non a caso, l’ex premier polacco Donald Tusk – oggi presidente di turno del Consiglio UE – ha esortato gli europei a pensare a come contribuire da soli alla propria sicurezza “senza chiedere cosa può fare l’America”, ma nel frattempo Polonia e alleati baltici hanno acquistato di preferenza dagli USA proprio per agganciarsi al sistema NATO già rodato. In prospettiva, sottolineano i PRO, la difesa del continente resta un lavoro di squadra: rafforzare il pilastro europeo sì, ma all’interno dell’alleanza transatlantica, senza crearvi falle. Nel nuovo contesto geopolitico, caratterizzato dall’aggressività russa, “Europa e Stati Uniti devono restare uniti”: su questa linea il Regno Unito (tradizionale ponte NATO) insiste molto, al punto che il premier britannico Keir Starmer ha definito gli USA “il nostro primo partner in difesa”. Dunque, acquistare armamenti americani viene visto come un segnale tangibile di coesione occidentale. C’è poi un fattore di urgenza e disponibilità. La guerra in Ucraina ha rivelato che gli arsenali europei erano impreparati: scorte di munizioni esaurite in settimane, carenze in settori cruciali (droni, artiglieria a lunga gittata, difese contraeree). Di fronte a questa realtà, i governi UE hanno dovuto agire rapidamente attingendo a chi poteva fornire materiale bellico subito: e quel qualcuno erano gli Stati Uniti. Washington dispone di scorte e capacità produttive enormi, accumulate in anni di spese militari ben superiori a quelle europee. Persino ordinare ad altri Paesi terzi (come Corea del Sud o Israele) non ha pari efficacia: di fatto, come raccontano i dati SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), “la stragrande maggioranza dei rifornimenti straordinari giunti in Europa dal 2020 a oggi sono statunitensi”. Lo conferma anche un’analisi del “Guardian”: nel quinquennio 2020-2024 meno del 10% dei missili importati dall’Europa proveniva da altri Paesi UE, mentre oltre il 90% veniva da fornitori extraeuropei – in primis gli USA. In sostanza, quando c’è bisogno di armi moderne in tempi stretti, l’Europa si rivolge all’esterno perché le sue fabbriche non bastano. I sostenitori osservano che ciò è inevitabile: costruire nuove capacità industriali richiede anni, mentre le minacce sono immediate. La stessa Commissione europea ha ammesso, nel suo Libro Bianco sulla Difesa 2025, che l’industria UE “attualmente non è in grado di produrre i sistemi e le attrezzature necessari nelle quantità e velocità richieste”. Così, per citare l’allora ministro portoghese Nuno Melo, “non possiamo ignorare la geopolitica attuale”: se gli F-35 americani offrono subito un ombrello sicuro, nell’incertezza di Trump, Lisbona valuterà comunque alternative ma deve pur sempre garantirsi un caccia di pari livello. In breve, i favorevoli sostengono che la priorità è proteggere oggi i cittadini europei e ciò giustifica affidarsi all’alleato con i mezzi migliori a disposizione nell’immediato. Sul piano politico-diplomatico, comprare armi dagli USA viene interpretato come un investimento nelle relazioni transatlantiche, con ritorni strategici per l’Europa. In un periodo in cui l’amministrazione Trump alza il tono sui contributi europei alla NATO e minaccia guerre commerciali, l’UE ha interesse a mostrare buona volontà. Non a caso, nell’accordo Trump-von der Leyen del 2025 l’Europa ha accettato di acquistare centinaia di miliardi in forniture USA (energia e armamenti) in cambio della riduzione dei dazi punitivi americani. Questa concessione è stata vista dai favorevoli come un male minore per evitare danni economici peggiori (una guerra dei dazi) e mantenere uno spirito cooperativo con Washington. Più in generale, la posta in gioco è la permanenza degli Stati Uniti come garante ultimo della difesa europea. Alcuni analisti riconoscono che la robusta interdipendenza nel settore armi potrebbe trattenere Trump o altri leader isolazionisti dal rompere con la NATO: se l’Europa diventa un “cliente indispensabile” dell’industria bellica USA, allora anche per Washington sarà conveniente onorare l’alleanza. In pratica, la dipendenza reciproca garantisce continuità. D’altronde, già oggi l’apparato militare congiunto NATO è talmente integrato che spezzarlo danneggerebbe tutti. I favorevoli citano il concetto di “mutua catena del valore”: per esempio, l’F-35 stesso è un programma internazionale dove partecipano industrie italiane, britanniche, olandesi e norvegesi; smettere di comprare quel caccia colpirebbe anche queste economie alleate. Inoltre, le aziende americane stanno reagendo alle richieste europee di “buy European” creando filiali e partnership sul suolo UE, così da offrire prodotti “localizzati” che soddisfino i requisiti (al Paris Air Show 2025 i big USA hanno parlato di coproduzioni, acquisizioni di società europee, creazione di sussidiarie in Europa). Ad esempio, la Raytheon collabora con la norvegese Kongsberg per il sistema NASAMS e con la MBDA europea per produzioni legate al Patriot, mentre Honeywell ha acquisito un’azienda italiana (Civitanavi) come testa di ponte industriale in UE. Queste mosse mostrano che comprare hardware americano non significa necessariamente ignorare il tessuto economico europeo: se ben negoziato, ogni affare può prevedere offset (compensazioni industriali) e trasferimenti tecnologici che mitigano l’uscita di capitali. In sintesi, l’UE è bene che sia pragmatica: l’ombrello USA è ancora essenziale per la sua sicurezza, va usato e alimentato oggi, mentre parallelamente si costruisce la capacità europea di domani. Rinunciare alle armi americane, secondo i favorevoli, equivarrebbe a scoprirsi il fianco in un momento storico troppo rischioso.
Madeleine Maresca, 17 dicembre 2025