Un punto centrale nella campagna di Musk contro l’Unione Europea riguarda la libertà di parola e di espressione online. I sostenitori di Musk dipingono il conflitto con Bruxelles come uno scontro tra un’UE illiberale, che vorrebbe censurare il dissenso e controllare il dibattito pubblico e coloro che difendono la libera circolazione delle idee nel mondo digitale. Secondo questa narrazione, normative come il Digital Services Act e altre iniziative europee in materia di contenuti online sarebbero, al di là delle dichiarazioni ufficiali, strumenti di censura mascherata, volti a costringere le piattaforme ad adottare politiche editoriali gradite all’establishment UE. Elon Musk ha più volte suggerito che l’UE stia andando verso un modello “orwelliano” di controllo della rete. All’indomani della multa, ha affermato che la Commissione europea stava punendo X perché la piattaforma non pratica abbastanza censura: un tweet di Musk insinuava che Bruxelles voglia “zittire” le voci fuori dal coro su X, usando come pretesto questioni tecniche come le spunte e i dati. Questa tesi trova forti echi a Washington: il segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato che la multa a X “non è solo un attacco a X, ma un attacco al popolo americano”, sostenendo che “i giorni in cui gli europei censurano gli americani online sono finiti”. Parole che configurano la vicenda come uno scontro di principi: da una parte l’UE, dipinta come governo straniero che vorrebbe limitare l’espressione di aziende e utenti statunitensi; dall’altra la tradizione americana del Primo Emendamento, che Musk incarnerebbe nella gestione più libera di X. J.D. Vance, da vicepresidente USA, è divenuto uno dei portavoce di questa linea: già prima della sanzione, aveva bollato il DSA come un tentativo europeo di “costringere le aziende tech alla censura”. Quando la multa è arrivata, Vance ha twittato duro: “L’UE dovrebbe sostenere la libertà di parola, non attaccare le compagnie americane per spazzatura”, definendo quindi “garbage” (sciocchezze) le motivazioni ufficiali di Bruxelles e spostando il discorso sul terreno dei valori. Nella prospettiva pro-Musk, abolire l’UE o ridimensionarne drasticamente il potere normativo è visto come un modo per proteggere la libertà di espressione su internet. I proponenti citano casi in cui l’UE è parsa invadere la sfera del lecito dibattito: ad esempio, l’art.17 della direttiva copyright (filtri preventivi), la proposta di regolamentare i discorsi d’odio online, e appunto il DSA che “incentiva la censura” delle piattaforme. Viene spesso ricordato che Musk ha acquistato Twitter nel 2022 proprio con l’idea di farne un bastione di free speech, riammettendo account controversi precedentemente banditi. Questo lo ha messo in rotta di collisione con i regolatori europei (dalle pressioni di Thierry Breton su moderazione dei contenuti, fino all’apertura di un’inchiesta UE sulla disinformazione su X). Musk e i suoi alleati sostengono di essere vittime di un attacco ideologico: “non si tratta di spunte blu, vogliono zittirci”. Il paragone provocatorio di Musk che retwitta un meme definendo l’UE “Quarto Reich” rientra in questa logica: equiparare Bruxelles a un regime totalitario per sottolineare una presunta deriva autoritaria europea. La retorica del “libero Musk” vs “censore Bruxelles” è fortemente amplificata da media conservatori e influencer. Il “Telegraph” ha elogiato Musk come “guerriero della free speech”, sostenendo che lui combatte una battaglia giusta contro i tentativi europei di “intimidazione e censura”. Dall’altra sponda dell’Atlantico, think-tank come la Heritage Foundation o la Hoover Institution (non citati direttamente nelle fonti ma noti sostenitori di Musk) evidenziano come il modello europeo di governance di internet differisca da quello americano in termini di vincoli alla libertà di espressione. Per i pro-Musk, questo modello è pericoloso: se l’UE avrà successo nell’imporre il DSA, tale “cultura censoria” potrebbe espandersi e legittimare restrizioni simili altrove. Già la Casa Bianca Trump, nella nuova National Security Strategy, parla della necessità di “coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa nelle nazioni europee” anche in riferimento a internet. Il sottinteso è che l’UE starebbe minacciando valori fondamentali come la libertà di parola, al punto da essere considerata “prospetto di annichilimento civile” per l’Occidente se prosegue su questa strada. Gli esempi concreti portati dai pro-Musk includono il fatto che la Commissione UE aveva chiesto alle piattaforme di rimuovere contenuti “illegali” in 24 ore e minacciato Twitter (poi X) di ban se non avesse moderato di più durante la crisi delle fake news bellica. Ai loro occhi, queste sono prove di un’agenda censorialista. Ted Cruz, senatore USA, ha addirittura suggerito di colpire l’UE con sanzioni finché non ritirerà la multa e, per esteso, il suo approccio restrittivo verso i social. Si tratta di una reazione estrema che però evidenzia quanto i pro-Musk presentino la questione come una difesa di principi costituzionali (statunitensi) contro un attore esterno oppressivo. Sul piano interno europeo, Musk ha trovato sponde anche presso ambienti favorevoli alla massima libertà di espressione sul web: ad esempio, attivisti libertari e gruppi che criticano le normative anti-hate speech. Da questo punto di vista, l’Unione Europea, con le sue normative e sanzioni, starebbe erodendo la libertà di espressione e che, pertanto, abolirla (o quantomeno limitarne fortemente il raggio d’azione) è necessario per tutelare un diritto fondamentale. Ciò viene presentato non solo come un imperativo filosofico ma anche pratico: piattaforme come X, libere da “ingerenze censorie” europee, potrebbero garantire un confronto aperto globale senza timore di rappresaglie normative. Musk, dal suo canto, si propone come paladino: “Difenderò la libertà di parola, anche se questo significa dover ripensare l’esistenza della UE” – questo, in sostanza, il messaggio che i pro attribuiscono alla sua crociata.
Nina Celli, 13 dicembre 2025