Elon Musk e i sostenitori della sua posizione dipingono l’Unione Europea come un’entità burocratica autoreferenziale, priva di genuina legittimazione popolare. In questa visione, Bruxelles sarebbe governata da commissari “non eletti” e tecnocrati che impongono decisioni ai popoli europei senza adeguato mandato democratico. Musk sottolinea come l’UE “non [sia] una democrazia – governo del popolo – ma piuttosto una burocrazia – governo di burocrati non eletti”. Queste parole, pronunciate dal proprietario di X dopo la multa subita, riflettono un sentimento diffuso tra gli euroscettici: l’idea che le istituzioni UE (Commissione, Consiglio europeo, Parlamento europeo) siano troppo distanti dai cittadini e concentrate su logiche interne di potere. Musk ha accusato l’UE di essere addirittura una “tirannica burocrazia non eletta, oppressiva per il popolo europeo”, invocandone apertamente l’abolizione per restituire voce alle nazioni. L’argomentazione richiama tesi storiche dei movimenti sovranisti: già negli anni di Brexit e dell’ascesa dei partiti populisti, l’UE veniva bollata come “superstato tecnocratico” che scavalca i parlamenti nazionali. Oggi Musk rilancia questa visione in chiave globale, con l’appoggio di figure di spicco oltreoceano. Il vicepresidente USA J.D. Vance, ad esempio, ha paragonato i commissari UE a “commissari” di un regime autoritario e accusato i governi europei di “avere paura dei propri elettori”, perché escluderebbero i partiti sgraditi (come quelli di estrema destra) dal potere. Per Vance e altri esponenti dell’amministrazione Trump, il vero deficit democratico starebbe nelle strutture comunitarie e nell’establishment pro-UE, non certo in chi – come Musk – chiede di restituire sovranità alle singole patrie. “La sovranità torni ai singoli Paesi, così i governi possono rappresentare meglio i loro popoli”, ha twittato Musk fissando il messaggio in cima al suo profilo. Questa linea è pienamente condivisa dai partiti nazionalisti europei: la Süddeutsche Zeitung osserva che Musk “segue esattamente la linea” dell’AfD tedesca chiedendo di abolire l’UE. Anche commentatori britannici conservatori elogiano questa presa di posizione: secondo il “Telegraph”, “Musk ha ragione: l’unica speranza per l’Europa è che gli Stati Uniti sostengano i movimenti indipendentisti nel continente”, perché “la civiltà occidentale può salvarsi solo se l’UE viene abolita”. L’abolizione dell’Unione viene dunque presentata come un atto di liberazione democratica: finirebbe l’era dei vertici e delle burocrazie “iperuraniche” di Bruxelles, restituendo pieno potere ai parlamenti e governi eletti di ciascun Paese. Secondo questa tesi, non sarebbe una fine dell’Europa, ma un ritorno a un’Europa delle patrie, dove le nazioni cooperano liberamente tramite accordi intergovernativi senza il “peso” di un apparato sovranazionale. La retorica pro-Musk sostiene quindi che l’UE, nella forma attuale, tradisce il principio democratico: invece di “unire i popoli”, li sottometterebbe a regole calate dall’alto da figure non scelte dagli elettori, alimentando sfiducia e frustrazione. In quest’ottica abolire la struttura comunitaria – o radicalmente ridimensionarla – equivarrebbe a restituire la voce ai cittadini europei, ricostruendo istituzioni più vicine e responsabili verso i propri elettorati nazionali. Elon Musk ha dichiarato di “amare l’Europa, ma non il mostro burocratico che è l’UE”, lasciando intendere che ciò che va smantellato non è la collaborazione tra europei, bensì l’apparato tecnocratico che si è sviluppato a Bruxelles. In sintesi, l’UE è un progetto degenerato in oligarchia burocratica, per il quale la cura (drastica) sarebbe l’abolizione, con ritorno a piena sovranità nazionale e forse la creazione di nuove forme di cooperazione più snelle e democratiche tra Stati liberi. La spinta a ridimensionare o abolire l’UE non nasce con Musk, ma trova oggi in lui un potente megafono globale. Esponenti politici come l’italiano Matteo Salvini o la francese Marine Le Pen in passato chiedevano di restituire competenze agli Stati o addirittura di uscire dall’euro; Nigel Farage nel Regno Unito guidò Brexit con lo slogan “Take back control” (riprendiamoci il controllo). Musk estremizza il concetto, proponendo di smantellare l’intero edificio comunitario. Negli Stati Uniti, questa tesi è sorprendentemente sposata da parte dell’amministrazione Trump: Marco Rubio ha definito la Commissione UE “governo straniero” che agisce contro il popolo americano, equiparando quindi Bruxelles a un’entità illegittima. L’analista Nile Gardiner ha chiamato Musk “guerriero della libertà di parola”, auspicando apertamente il supporto USA ai movimenti anti-Ue per scardinare l’Unione dall’interno. Anche i vertici di X hanno abbracciato la narrativa: Nikita Bier, head of product di X, accusando la Commissione di aver “sfruttato” un exploit tecnico, ha chiosato rivolto a Bruxelles: “Sembra riteniate che le regole non debbano applicarsi al vostro account. Il vostro account pubblicitario è stato chiuso”, tono che implicitamente delegittima l’autorità UE in casa altrui. L’allineamento tra figure politiche euroscettiche, Musk e membri dell’amministrazione Trump evidenzia come la tesi dell’UE antidemocratica stia travalicando i confini: non è più solo lo sfogo di partiti di opposizione europei, ma diventa quasi dottrina ufficiale per una parte del governo USA. Questa convergenza insolita – un magnate tech, movimenti sovranisti UE e falchi nazionalisti americani – conferisce forza e diffusione all’istanza abolizionista, presentata non come capriccio, ma come “crociata democratica” contro un élite distante e tecnocratica.
Nina Celli, 13 dicembre 2025