Portare a termine l’allargamento ad Est è anche una questione di credibilità politica e morale per l’Unione Europea. Per decenni Bruxelles ha promesso ai Paesi europei vicini una prospettiva di adesione, a patto di intraprendere riforme difficili. Nei Balcani occidentali, quelle promesse risalgono al 2003 (Vertice di Salonicco) e da allora gli Stati della regione hanno atteso pazientemente, spesso compiendo scelte coraggiose in funzione europea (esemplare il caso della Macedonia del Nord che ha cambiato nome pur di sbloccare il veto greco). Tuttavia, l’UE non ha mantenuto pienamente la parola data, causando delusione e perdita di fiducia: “Bruxelles ha condotto questi Paesi in un vicolo cieco”, denuncia un editoriale, “un approccio miope che ha danneggiato l’immagine dell’UE nella regione”. Onorare finalmente quegli impegni, integrando i Balcani, riparerebbe a questa “promessa tradita” che ad oggi “getta discredito sul progetto europeo”, come sottolinea l’Institut Delors. Analogamente per Ucraina e Moldavia: l’UE ha chiesto loro riforme e allineamento ai valori occidentali; ora che quei Paesi hanno compiuto sforzi enormi (anche combattendo una guerra per scegliere l’Europa), non ricompensarli minerebbe la credibilità e l’appeal dell’Unione nel mondo. Al contrario, procedere con l’allargamento dimostrerebbe che l’UE mantiene le promesse fatte a chi condivide i suoi valori, riaffermando la propria identità di unione aperta e inclusiva. Ciò darebbe nuovo slancio al “soft power” europeo: Paesi terzi osserverebbero che l’UE sa accogliere chi converge su democrazia e stato di diritto, rafforzando così il modello europeo su scala globale. In particolare, integrare l’Ucraina – vista da molti come baluardo di libertà contro l’autocrazia russa – invierebbe un messaggio potentissimo: “l’Ucraina è parte della famiglia europea” non solo a parole ma nei fatti. Questa “riunificazione dell’Europa” completata sanerebbe la frattura Est-Ovest residua dal crollo dell’URSS, realizzando la visione storica di un continente unito nella pace e nei diritti. La presidente von der Leyen ha definito l’allargamento “la riunificazione del nostro continente, un dovere verso la storia”. In effetti, l’UE nacque per riconciliare nazioni ex nemiche; ampliarla oggi verso Est sarebbe in linea con la sua missione originaria di superare le divisioni. Sul piano geopolitico, un’UE che integra i suoi vicini consoliderebbe la propria sfera di influenza democratica. Altrimenti, lasciare quei Paesi in attesa indefinita li esporrebbe a offerte alternative: la Serbia, frustrata dall’UE, flirta con Russia e Cina; la Turchia, candidata dal 1999, ha virato su una politica estera autonoma. Un allargamento riuscito contrasterebbe anche questa penetrazione di attori rivali all’interno dell’Europa. Studi evidenziano che ritardare ancora l’allargamento potrebbe “spingere i Paesi non-UE ad allinearsi economicamente e politicamente con altri blocchi”, Cina o Russia. Infine, c’è un argomento di valori: l’UE, premio Nobel per la pace, perderebbe la sua anima se voltasse le spalle a popoli europei che lottano per libertà, democrazia e stato di diritto. “Non possiamo permettere che gli ucraini, dopo aver versato sangue per l’Europa, restino fuori dal nostro progetto”, sostengono molti politici occidentali. Allargare l’Unione, dunque, non è solo un calcolo utilitaristico ma un’operazione di coerenza con i princìpi fondanti dell’Europa unita, che rafforzerebbe il prestigio e l’autorevolezza dell’UE sulla scena mondiale.
Madeleine Maresca, 12 dicembre 2025