Molti analisti reputano la NSS 2025 non solo discutibile nel merito, ma anche contraddittoria e poco credibile, quasi più un pamphlet propagandistico che una strategia coerente. Questi criticano il documento in quanto pesantemente influenzato dagli interessi politici di Trump (rielezione, consolidamento della base populista) e non da un rigoroso processo di pianificazione. Il risultato sarebbe una strategia polemica e confusa, che rischia di disorientare tanto gli apparati di governo USA quanto gli alleati. Ciò la renderebbe inefficace nel guidare la politica estera reale. Un primo elemento è la personalizzazione estrema: mai una NSS aveva citato decine di volte il presidente in carica lodandone risultati e visione. Trump viene definito “The President of Peace” e la sua seconda amministrazione una “correzione necessaria” che inaugura “una nuova età dell’oro”. L’insistenza nell’attribuire a lui personalmente successi (otto conflitti risolti grazie al suo dealmaking) e nel tessere le lodi del suo approccio denuncia l’utilizzo della NSS come strumento di campagna elettorale interna. Rebecca Lissner e altri del CFR commentano che questa strategia “sfuma la linea tra piano strategico istituzionale e messaggio politico”, mettendo Trump come protagonista invece del Paese. Ciò la rende poco credibile agli occhi di diplomatici e militari: viene percepita più come un comizio che come linee guida operative. Se la strategia nazionale sembra uno spot di autocelebrazione, i decisori pratici tenderanno a non prenderla sul serio, come del resto ha lasciato intendere Lissner: “non mi aspetterei che qualcosa scritto in questo documento guidi o disciplini la politica estera di Trump”, essendo perlopiù retorica. In effetti, il lancio notturno senza discorso e l’assenza di chiarezza su alcuni temi chiave suggeriscono che lo staff stesso l’abbia vista come un “box-checking exercise” (atto dovuto) da sbandierare, più che da seguire. Ma una strategia che non dà direzione – osservano i critici – è peggio che inutile: genera confusione in patria e allarme all’estero, come stiamo vedendo. Il documento appare inoltre ideologicamente di parte in modo stridente. La NSS di solito tenta di presentare una visione condivisibile bipartisan dello scenario, per dare sicurezza di continuità agli alleati. Questa invece dedica ampie invettive agli avversari politici interni: parla di “élite globaliste del dopoguerra fredda che hanno cercato il dominio planetario permanente” e di come la nuova leadership rifiuti i loro errori. Denuncia i cosiddetti “foreign policy elites” (ovvero l’establishment mainstream di Washington, sia democratico che repubblicano) come incompetenti e accusa gli alleati europei di avere “leadership incapaci o illegittime che censurano il dissenso”, riprendendo argomenti tipici dei populisti di destra. Insomma, la NSS è usata per colpire bersagli partigiani: attacca le politiche DEI come simbolo del “decadimento istituzionale”, esulta per l’influenza dei “partiti patriottici” populisti in Europa ecc. Questa politicizzazione è considerata altamente inappropriata e fuorviante: come può essere coerente una strategia che da una parte vuole alleati più forti, dall’altra li insulta e auspica il successo delle loro opposizioni radicali? Torrey Taussig evidenzia proprio l’incoerenza verso l’Europa: “combina un’ostilità partigiana all’Europa mainstream con il riconoscimento (pur riluttante) che gli USA hanno bisogno dell’Europa”, creando una linea contraddittoria. Daniel Fried la definisce “inconsistente, occasionalmente stramba, compromissoria nel linguaggio” verso l’Europa: un miscuglio di astio e necessità che la rende confusa e difficilmente attuabile. L’incoerenza si nota anche nell’elenco di priorità. Lissner e altri riflettono che la NSS abbandona il fulcro bipartito Great Power Competition (Cina/Russia) che aveva portato a una chiarezza strategica nel 2017, e al suo posto inserisce miriadi di affermazioni ideologiche e contraddittorie. Ad esempio: condanna l’“espansione perpetua” della NATO come destabilizzante, ma poi chiede di rafforzare la NATO elevando spese e capacità. Su questo gli alleati si chiedono: vuole una NATO forte o la teme? (Il testo afferma che gli USA “si oppongono alla porta aperta” NATO e vogliono “prevenire la realtà di un’alleanza in perpetua espansione”, il che contraddice la politica di decenni di open door sostenuta dagli USA e confonde sul futuro di paesi come l’Ucraina). Altre contraddizioni sono il sostiene di volere l’Europa “civilizzationally confident”, ma la descrive come perduta; dice di volere la fine delle guerre infinite ma parla di usare forza militare in più aree (basti citare l’aumento senza precedenti di truppe nei Caraibi e potenziale attacco al Venezuela); condanna il globalismo ma poi enfatizza commercio e investimenti globali come soluzioni (vuole imporre protezionismo interno, però pure il “libero accesso al mercato USA” come incentivo agli alleati indo-pacifici). Insomma, appare un collage di proclami per accontentare varie fazioni: isolazionisti, ipernazionalisti, neoconservatori, realisti classici ecc., senza risolvere le tensioni tra tali visioni. Lindsay (CFR) twitta amaramente: “non vedo come le pedine della politica estera possano implementare questo guazzabuglio”. Questa confusione riduce l’affidabilità USA. Gli alleati non sanno su cosa contare: su una partnership o su ulteriori attacchi? Ad esempio, la Germania appare non nominata se non nelle critiche generiche all’UE: deve prepararsi ad assumersi più difesa, ma con un America che al contempo strizza l’occhio a forze anti-Ue e sembra opporsi all’allargamento NATO (cosa che Berlino invece sostiene per Ucraina/Georgia). Il risultato potrebbe essere una paralisi decisionale: i partner potrebbero non fare mosse audaci in linea con USA (per esempio sanzioni dure alla Cina) perché non si fidano della coerenza di Washington, e gli apparati USA stessi potrebbero navigare a vista in base agli impulsi quotidiani di Trump, data la poca chiarezza strategica. Rebecca Lissner avverte: “Nessun documento scritto potrà mai davvero imbrigliare la politica estera di Trump, spesso impulsiva ed erratica”, e qui non c’è neanche un documento serio da provare a seguire. L’uscita tardiva e notturna (senza discorso) è, per alcuni, segno che finora l’amministrazione non aveva una rotta chiara. “Possiamo sperare che alleati e Capitol Hill ignorino questo documento e lo considerino per quello che è: propaganda interna”, suggerisce James Goldgeier. Ma ignorarlo significa tornare al “Trump being Trump”, cioè decisioni ad personam senza strategia, una situazione pericolosa. La NSS 2025 è quindi una “strategia” solo di nome: in realtà è un documento fortemente partigiano, pieno di incoerenze e proclami propagandistici per la base di Trump, che offre poco orientamento pratico e semina confusione. Ciò la rende “unserious” (non seria), come l’ha definita Ivo Daalder, ma proprio per questo “dangerous”, perché politica estera e sicurezza richiedono linee chiare e affidabili, non tweet incendiari mascherati da dottrina. In ultima analisi, se la NSS deve servire a qualcosa, è dare al mondo il segnale di come gli USA agiranno: quella di Trump dà segnali contraddittori e incendia dispute interne, riducendo la credibilità degli USA. Una “non strategia” con simili difetti rischia di tradursi in improvvisazione costante, che è la negazione stessa della sicurezza. Come ha detto un funzionario NATO dietro anonimato: “non sappiamo se prendere alla lettera questo documento oppure no – il che significa che il danno di fiducia è già fatto”.
Nina Celli, 10 dicembre 2025