Un cardine della NSS 2025 è la rivendicazione esplicita della sovranità nazionale totale come pilastro della sicurezza USA. Questa enfasi – criticata da alcuni come “ossessione” – viene invece lodata dai sostenitori come un ritorno alle priorità fondamentali: proteggere i confini, l’economia e l’identità del Paese. Dopo decenni in cui, a loro avviso, gli Stati Uniti hanno disperso energie in missioni globali e aderito a vincoli sovranazionali penalizzanti, la strategia di Trump riafferma che nessuno può badare alla sicurezza dell’America meglio dell’America stessa. In passato si dava per scontato: difendere l’America significava innanzitutto contenere minacce esterne tradizionali (eserciti nemici, missili). Ma la NSS 2025 adotta una visione più ampia e, a giudizio dei favorevoli, più realistica delle vulnerabilità contemporanee. Ad esempio, identifica flussi migratori incontrollati come un pericolo strategico: destabilizzano il tessuto sociale e facilitano l’ingresso di criminalità e potenziali terroristi. Trump dichiara senza mezzi termini che “l’era della migrazione di massa deve finire” e che la sicurezza della frontiera è la sicurezza nazionale. I sostenitori concordano: gli USA non possono mantenere coesione e ordine se ogni anno centinaia di migliaia di persone attraversano illegalmente il confine. Il messaggio a Messico e Paesi centroamericani è chiaro: dovete collaborare per fermare i flussi, “fermarli invece di facilitarli”, come recita la NSS. Ciò è posto come condizione per buoni rapporti – un approccio forte, ma che riflette la realtà: “Non possiamo più farci carico di tutti”, è in sostanza la linea americana. Questa non è mancanza di generosità bensì dovere verso i propri cittadini, specialmente le classi lavoratrici che subiscono la concorrenza di manodopera irregolare e l’aumento della pressione sui servizi sociali. Chiudere le frontiere riduce anche l’ingresso di droghe e armi illegali, a complemento della lotta ai cartelli. La sovranità economica è l’altro pilastro. La strategia rigetta decenni di globalizzazione che hanno visto supply chain critiche e industrie strategiche trasferite all’estero (soprattutto in Cina) con l’illusione che il mercato globale fosse neutrale. Trump invece rivendica la “reindustrializzazione” americana: riportare produzioni strategiche in patria, rinforzare la filiera della difesa, perseguire il “dominio energetico” sfruttando petrolio, gas e nucleare a basso costo. I fan della NSS sostengono che su questo punto Trump ha pienamente ragione: la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno mostrato quanto l’America (e l’Occidente) fossero pericolosamente dipendenti da filiere lunghe e da fornitori poco affidabili. “Coltivare la forza industriale americana deve diventare la priorità più alta”, proclama la NSS, criticando i predecessori che hanno legato le mani agli USA con “il cosiddetto libero commercio” e accordi globali che hanno devastato la manifattura interna. Da qui il via libera a dazi, incentivi fiscali, controllo sulle esportazioni sensibili ecc., strumenti che la NSS considera parte di “un’unica macchina di pressione” economica a tutela degli interessi USA. James Carafano (Heritage Foundation) già nel 2021 sosteneva che l’America doveva “spezzare l’idea di dover andar piano con la Cina per paura di danni economici” e che la sicurezza economica è inseparabile da quella strategica. La NSS 2025 fa proprio questo concetto: considera gli shock economici (penuria di microchip, dipendenza energetica ecc.) come minacce esistenziali e mobilita tutti gli strumenti (dagli accordi commerciali preferenziali alle restrizioni su investimenti cinesi) per prevenirli. Accanto a confini ed economia, la NSS introduce un elemento inedito: la cultura come dimensione della sicurezza. Questo punto, assai controverso, è però difeso dai sostenitori che ne condividono l’ispirazione valoriale. Trump afferma che “il risanamento spirituale e culturale” dell’America è una precondizione per la sua sicurezza a lungo termine. Parole simili non si sentivano dai tempi della Guerra Fredda (quando la propaganda faceva leva sui valori per motivare la popolazione). Secondo i pro, riportare l’orgoglio nazionale e i valori tradizionali nel discorso strategico è salutare in un’epoca di frammentazione sociale. Viene esplicitamente legato il concetto di sicurezza alla presenza di “famiglie forti e bambini sani” e di un’America che “celebra i suoi eroi e glorie passate”. Questa impostazione, influenzata dalla visione conservatrice cristiana, definisce un’identità coesa come scudo contro minacce interne (disgregazione, radicalizzazione) ed esterne (influenze straniere divisive). I favorevoli citano esempi concreti: campagne di disinformazione online promosse da potenze avversarie che sfruttano le divisioni socioculturali americane. Secondo i sostenitori, un patriottismo più condiviso e una rigenerazione dei valori comuni renderebbero il Paese meno vulnerabile alla propaganda. Anche la condanna della cultura “woke” (ad esempio i programmi di Diversity, Equity, Inclusion bollati come “falsi miti ideologici” che indeboliscono le istituzioni) è vista come doverosa: un esercito concentrato sulla competenza e unità di intenti, non su quote e sensibilità, è ritenuto più efficiente. Certo, portare la “guerra culturale” in una strategia di sicurezza è insolito, ma i difensori replicano che già c’era, solo dall’altro lato: per anni la narrativa liberal ha definito priorità come clima o diritti di genere come questioni di sicurezza, ora la visione conservatrice ribalta la prospettiva definendo immigrazione di massa e identità culturale come temi centrali. È una questione di quali valori difendere. La NSS 2025, in sostanza, mette in chiaro che gli USA difenderanno il proprio modo di vivere: dai confini geografici ai confini digitali e ideologici. “Gli europei non lasciano entrare chiunque nei loro salotti, perché noi dovremmo con la nostra nazione?”, esemplificano i pro, a difesa delle politiche migratorie rigorose. E ancora: “La Cina protegge fanaticamente le sue industrie e la sua cultura, perché l’America dovrebbe sacrificare le proprie sull’altare del globalismo?”. Questa tesi trasforma la strategia di sicurezza in una sorta di dottrina Monroe a tutto campo: non solo “niente potenze straniere nel nostro emisfero”, ma anche “nessuno indebolisca la nostra sovranità economica e culturale”. Chi la sostiene afferma che solo così gli USA potranno prosperare e affrontare le sfide future. Mario Bentivoglio su “Formiche” sottolinea che Trump eleva sovranità, deterrenza e alleati responsabilizzati a cardini strategici e che la “rinascita culturale” è esplicitamente definita “indispensabile” dal documento. Questo evidenzia una visione olistica: la sicurezza non è solo quante portaerei hai, ma anche quanta coesione interna e controllo del tuo destino possiedi. Dunque, i favorevoli celebrano la NSS 2025 come un’agenda di sicurezza veramente nazionale, che riprende il controllo su tutti i fronti dove la sovranità USA era erosa: confini, economia, valori. Dopo anni di “auto-limitazioni” e deleghe (all’ONU, agli accordi di Parigi sul clima, all’OMS ecc.), gli Stati Uniti tornano a decidere per loro stessi. Ciò non significa isolarsi – chiariscono – ma negoziare da posizioni di forza pari. Una superpotenza che si rispetti deve avere il controllo sul proprio territorio e la propria società. I sostenitori vedono in Trump l’uomo che ha avuto il coraggio di rimettere l’interesse nazionale al centro della strategia. Ritengono inoltre che ciò renderà l’America non solo più sicura internamente, ma anche più autorevole esternamente: una nazione con confini sicuri, industria robusta e identità fiduciosa può proiettare potenza e chiedere rispetto. In definitiva, difendere sovranità e identità non è segno di chiusura regressiva, ma il prerequisito per poter poi interagire con il mondo da posizione di forza e stabilità. La NSS 2025 ristabilisce questa verità basilare che era stata trascurata.
Nina Celli, 10 dicembre 2025