La decisione di Trump di riproporre in chiave moderna la Dottrina Monroe ha destato forti critiche, specie in America Latina, dove viene percepita come un ritorno all’interventismo prepotente degli Stati Uniti nella regione. Secondo questa tesi, il “Trump Corollary” allontanerà ulteriormente i vicini del Sud, alimentando instabilità e sentimenti antiamericani e nel lungo periodo non migliorerà la sicurezza USA ma la comprometterà. Storicamente, la Dottrina Monroe (1823) dichiarava il Latinoamerica sfera di influenza esclusiva USA e servì a giustificare decine di ingerenze negli affari interni di quelle nazioni: dai supporti a colpi di Stato (come il rovesciamento di governi di sinistra) a occupazioni militari dirette (Haiti, Repubblica Dominicana, Cuba, Panama) durante l’“era delle cannoniere”. Proprio per questo in America Latina “Monroe” è quasi sinonimo di imperialismo a stelle e strisce. Il fatto che la NSS 2025 la rievoci esplicitamente e anzi la rivendichi come “restaurazione del potere americano” ha suscitato allarme e irritazione diffuse tra intellettuali e governi latinoamericani. Il quotidiano spagnolo “El País” titola: “Gli USA aprono una nuova epoca di interventi in America Latina” e nota che il concetto è già stato soprannominato la “Dottrina Donroe” (Donald + Monroe). Questo sarcasmo rivela la percezione negativa: si vede il Corollary come un Monroe “con caratteristiche trumpiane”, dunque ancora più brutale e noncurante. La NSS chiede infatti ai Paesi latini di “cooperare o perire” su tre fronti: frenare ogni migrazione verso gli USA, neutralizzare i cartelli della droga/narcoterroristi e sradicare la presenza cinese nella regione. Il tono è imperativo: “vogliamo un emisfero in cui i governi cooperino con noi contro narcos e altro… e resti libero da incursioni ostili straniere”. Ai governi latinoamericani viene, cioè, intimato di allinearsi agli obiettivi USA di sicurezza e anche di seguire la sua linea di politica estera (tagliare i legami con Cina e Russia). L’offerta “positiva” è qualche incentivo economico: “on good terms via economic collaboration, or else” – scrive “El País”. Questa approccio ultimativo viene fortemente criticato come miope e destinato al fallimento. Perché? In primo luogo, ignora la sovranità e la dignità di nazioni che non accetteranno volentieri di farsi “commissariare” da Washington. Molti governi latinoamericani, anche moderati, sono sensibili al tema del rispetto reciproco dopo secoli di paternalismo USA. Un ex diplomatico, John Feeley, ha commentato che Trump “tratta l’America Latina come un condominio di sua proprietà”: con quell’elenco di pretese (niente migranti, niente Cina, niente droga), sta dando ordini ai vicini invece di proporre partnership. Questa attitudine rischia di innescare una reazione nazionalista contraria: in paesi come Messico, Argentina, Brasile, persino governi non ostili verso gli USA saranno costretti dalla propria opinione pubblica a rifiutare imposizioni così sfacciate. Il risultato potrebbe essere un inasprimento dei rapporti invece che una maggiore cooperazione. Ad esempio, la minaccia di usare forza militare contro i cartelli in altri Paesi (il testo menziona proprio “l’uso di forza letale” contro i narcos dove necessario, segnalando operazioni in stile drone strikes sul territorio altrui) è stata accolta con sdegno in Messico: tutti i partiti – dal governo di sinistra di AMLO all’opposizione di destra – hanno condannato la prospettiva come violazione inaccettabile della sovranità. Persino chi riconosce il problema dei cartelli difficilmente accetterà Marines o raid USA in casa propria. Immaginiamo se la situazione degenerasse: gli USA intraprendono operazioni in stile War on Drugs 2.0 (già suggerite dalla retorica “narcoterroristi = Al Qaeda dei Caraibi”). Questo avrebbe l’effetto di incrementare l’antiamericanismo popolare e unire molti governi nel condannare Washington presso OSA e ONU, isolandola diplomaticamente. Un secondo problema è la sottovalutazione della dimensione locale e delle cause di fondo. La NSS parla di “interventi elettorali” per favorire politici amici nella regione e di possibili operazioni militari in Venezuela. Di fatto annuncia (o minaccia) di voler rovesciare il regime di Maduro se non cade con le buone. Questo è pericoloso: il Venezuela odierno è sostenuto militarmente da Russia ed economicamente dalla Cina. Un intervento americano (anche limitato) potrebbe degenerare in conflitto più ampio o in nuove guerre civili stile Iraq. Gli oppositori interni di Maduro stessi, finora, hanno evitato di chiedere invasioni straniere, consapevoli del caos che ne seguirebbe. Se gli USA intraprendessero questa strada da soli (perché è chiaro che nessun altro li seguirebbe), potrebbero trovarsi impantanati in un nuovo scenario bellico sudamericano, con conseguenze drammatiche per la stabilità regionale e nuove ondate di profughi (esattamente ciò che la NSS vorrebbe evitare). In più, la deliberata volontà di “interferire in favore di governi amici” (cioè, piegare i processi democratici locali per mettere leader pro-USA) è la reincarnazione delle politiche di inizio ‘900 che gli USA avevano poi rigettato. Ciò distruggerà la credibilità americana come partner rispettoso della democrazia in Latinoamerica. Come evidenzia Macarena Vidal, due secoli dopo Monroe, la dottrina torna con “caratteristiche trumpiste: campagna militare su Venezuela, pressioni fino all’ingerenza elettorale per installare governi affini in una regione polarizzata”. Non esattamente la ricetta per la pace e l’amicizia. Gli analisti notano inoltre che la NSS semplifica eccessivamente: immagina di poter “cacciare via” tutte le influenze esterne (Cina, Russia, Iran) dall’emisfero con “qualche base navale e prestito agevolato”, ma molti governi latini oggi considerano la competizione tra potenze “un’opportunità, non una minaccia”. Paesi come Brasile o Argentina usano abilmente i rapporti sia con USA che con Cina per ottenere investimenti e margine di manovra. Dire loro “niente più affari con Pechino” li porrebbe di fronte a una scelta impossibile, che probabilmente rifiuteranno (Cina è il primo partner commerciale per molti). Forzarli potrebbe spingerli più verso la Cina, paradossalmente, alla ricerca di un contrappeso all’egemonismo di Washington. Liana Fix (CFR) osserva che l’approccio di Trump “non riconosce che molti governi latini vedono la competizione USA-Cina come un vantaggio da sfruttare” e che tentare di espellere tutti gli altri con la forza è non capire il mondo multipolare attuale. Infine, i critici sottolineano il doppio standard ipocrita e i rischi derivanti: Trump rivendica “diritto di impedire basi e controllo straniero” in tutto l’emisfero, però quando la Russia ha invocato dottrine simili per la sua sfera (come l’Ucraina fuori dalla NATO), gli USA giustamente l’hanno rigettato. Tornare a logiche ottocentesche di “sfera esclusiva” legittima altri a fare lo stesso altrove: ecco perché paesi neutrali come l’India guardano con sospetto il Monroe redivivo – temono che analoghe pretese cinesi su Asia Orientale trovino appiglio. L’idea che “tutto l’emisfero è condizione della nostra sicurezza e prosperità” appare a molti come un greenlight al neocolonialismo, col rischio di alimentare conflitti. John Walsh (WOLA) denuncia che “stiamo assistendo a una diplomazia delle cannoniere 2.0: Trump non crede nel soft power, pensa solo al potere di costringere”. Questo atteggiamento, afferma, è destinato a generare contraccolpi: ricordando come gli episodi peggiori del passato (dittature appoggiate dagli USA, invasioni come Panama 1989) abbiano lasciato traumi, ritiene che ripetere simili azioni nel XXI secolo potrebbe destabilizzare fortemente l’area e macchiare irreparabilmente l’immagine americana. Insomma, i critici vedono la Monroe 2.0 di Trump come un passo indietro di decenni nelle relazioni interamericane – un ritorno all’arroganza imperialista che ha storicamente seminato rancore e conflitto. Invece di maggiore sicurezza, questa dottrina rischia di provocare nuove tensioni (fino a scontri militari) al sud, alienare interi popoli e spingere molti Paesi latinoamericani nelle braccia di potenze rivali per cercare protezione da Washington. Gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi con un “giardino di casa” in fiamme e ostile, esattamente l’opposto di ciò che la NSS dice di voler ottenere. Come scrive “El País”, “due secoli dopo Monroe torna l’era degli interventi… con fantasmi dei suoi episodi più atroci”. Rievocarli non porterà “stabilità nel cortile”, ma ricordi di Pinochet e operazione Condor – ombre che l’America Latina non ha dimenticato e contro cui reagirà. In sintesi, la “Dottrina Donroe” appare ai critici pericolosa e anacronistica: un cowboy solitario che spara nel villaggio globale sperando di ristabilire l’ordine, ma finendo per far scappare gli abitanti e far saltare la banca. La sicurezza USA, invece di crescere, ne risentirà quando il suo vicinato sarà nel caos e rancoroso verso di essa.
Nina Celli, 9 dicembre 2025