La NSS 2025 viene celebrata dai suoi sostenitori come un ritorno al pragmatismo dopo anni di idealismo e impegni militari a tempo indeterminato. In particolare, la nuova strategia rompe con la retorica delle “guerre per la democrazia” e abbraccia il concetto di pace negoziata e stabilità come obiettivi supremi, anche a costo di compromessi. Per i favorevoli, questo approccio anti-utopico era necessario: troppe volte gli Stati Uniti hanno perseguito missioni ambiziose (esportare la democrazia, rifare nazioni) finendo impantanati in conflitti senza fine – dall’Iraq all’Afghanistan – senza risultati proporzionati ai sacrifici. La dottrina Trump, al contrario, afferma con franchezza che la politica estera sarà guidata “soprattutto da ciò che funziona per l’America”, rifuggendo crociate ideologiche. Uno scenario emblematico è la guerra in Ucraina. Mentre l’amministrazione precedente insisteva su una “vittoria totale” di Kiev e il ripristino dell’ordine internazionale violato, la NSS 2025 adotta una prospettiva diversa: “È un interesse prioritario degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina”, recita il testo, esplicitando che la priorità americana è prevenire escalation e stabilizzare l’Europa. I proponenti interpretano queste parole come salutari: l’obiettivo realistico non è inseguire una vittoria idealistica su Mosca, che potrebbe non arrivare mai, ma ottenere un cessate-il-fuoco che salvi vite, eviti rischi di guerra nucleare e consenta di “ricostruire un’Ucraina vitale”. In sostanza, la pace – sia pure imperfetta – viene considerata preferibile a un conflitto prolungato. Un commentatore favorevole ha osservato che questa NSS “sostituisce il massimalismo con il realismo”: riconosce che Putin non accetterà mai una pace vissuta come propria sconfitta totale e che insistere su obiettivi massimi rischia solo di prolungare il bagno di sangue. Meglio dunque trattare, finché c’è ancora un’Ucraina da salvare. La “dottrina Trump”, d’altronde, rivendica risultati tangibili già ottenuti con questo approccio pragmatico. Nel documento Trump si autodefinisce “Presidente della Pace” e l’Amministrazione elenca una serie di successi diplomatici lampo ottenuti nei primi mesi del mandato. Si parla – con toni forse autocelebrativi, ma non smentiti – di otto conflitti risolti tramite mediazione diretta di Trump in soli otto mesi. Tra questi, figurano accordi di pace sorprendenti come tra Cambogia e Thailandia, Kosovo e Serbia, Repubblica Democratica del Congo e Rwanda, India e Pakistan, oltre a un cessate il fuoco a Gaza con restituzione di tutti gli ostaggi. Se anche alcune di queste iniziative erano in preparazione da anni e sono frutto di sforzi multilaterali, i sostenitori attribuiscono a Trump il merito di aver avuto il “tocco da negoziatore” e l’urgenza necessari per chiudere partite aperte da decenni. Rebecca Lissner, pur critica su altri fronti, ammette che la NSS 2025 “non ha il tono grave dei predecessori” ma piuttosto uno slancio quasi pamphlettistico: questa mancanza di reverenza verso i canoni diplomatici tradizionali potrebbe aver paradossalmente aiutato Trump a spezzare alcuni stalli storici. In altre parole, il documento riflette lo stile del suo autore: polemico, spregiudicato, ma orientato al risultato concreto. Un altro aspetto pragmatico è la chiusura delle cosiddette “Endless Wars” (guerre infinite). La NSS proclama la fine dell’era degli interventi militari di lunga durata per “esportare la democrazia” o “costruire nazioni”. Invece, si promettono accordi diplomatici mirati e la riduzione della presenza militare nelle aree che hanno dominato l’agenda americana per 50 anni (Medio Oriente in primis). Grazie all’indipendenza energetica raggiunta e agli Accordi di Abramo (eredità del primo mandato Trump), la NSS dichiara “conclusa quell’epoca” in cui il Medio Oriente dettava la politica estera USA. Anche qui, i favorevoli vedono saggezza: consolidare i successi (ad esempio l’avvicinamento storico tra Israele e Paesi arabi, definito ora “processo di normalizzazione” che Trump intende perfezionare) e passare dalla guerra alla gestione del rischio. Si tratta di accettare la realtà sul campo, che include regimi non democratici ma partner negli “accordi pragmatici”, al fine di evitare nuovi conflitti sanguinosi. Come ha affermato Giorgia Meloni commentando questa linea, “la pace non si costruisce con le buone intenzioni ma con la deterrenza”, cioè con un mix di forza e compromesso che convinca tutte le parti a posare le armi. I sostenitori riconoscono che parlare di pace contrattata con gli avversari può suonare come una rinuncia ai principi; tuttavia, ribattono che la vera responsabilità di un leader è massimizzare la sicurezza e gli interessi del proprio popolo, non sostenere cause astratte all’infinito. Se ciò significa accettare soluzioni imperfette (ad esempio un compromesso territoriale in Ucraina o accordi con regimi non liberali in Medio Oriente) è un prezzo da pagare per evitare catastrofi peggiori. In quest’ottica, Trump viene dipinto come un deal-maker realista: lui stesso rivendica di aver “reso l’America di nuovo capace di fare pace proprio perché percepita come potenza incontestabile”. È un concetto di pace basato sul rapporto di forza: prima ristabilisci la deterrenza (con attacchi mirati come Operation Midnight Hammer che ha indebolito il programma nucleare iraniano, o con il dispiegamento massiccio ai Caraibi che ha spaventato Maduro), poi offri un accordo vantaggioso a tutti. Da posizioni di forza, Trump ha ad esempio convinto Iran e Hamas a un cessate il fuoco duraturo in Medio Oriente e “unito il mondo arabo a Sharm el-Sheikh” sulla strada della normalizzazione israelo-palestinese. I pro-NSS vedono in questi risultati la prova che abbandonare l’ideologia a favore del pragmatismo paga: l’amministrazione Biden, sostengono, ha enfatizzato i principi (democrazie vs autocrazie) ottenendo poco, mentre Trump parlando di “ciò che funziona” e barattando concessioni reciproche ottiene progressi tangibili. La NSS 2025 riporta la politica estera USA coi piedi per terra. Basta obiettivi irrealistici e “missioni civilizzatrici” infinite; sì a trattative, compromessi e rapide soluzioni diplomatiche quando possibile. La pace è concepita non in senso idealizzato, ma come cessazione dei combattimenti alle migliori condizioni possibili. Questo, per i sostenitori, non è cinismo bensì buon governo: garantire sicurezza e stabilità minimizzando i costi umani e finanziari. “Nessuna pace è perfetta, ma una pace imperfetta è meglio di una guerra perpetua” sembra essere il motto di Trump. Alla luce dei conflitti scongiurati (o almeno congelati) in pochi mesi di diplomazia spregiudicata, i fautori della NSS credono che questo motto abbia dimostrato la sua validità.
Nina Celli, 9 dicembre 2025