I sostenitori ritengono che lo shock regolatorio del 2035 possa innescare un circolo virtuoso di innovazione, rafforzando la competitività di lungo termine dell’economia europea. L’automotive sta vivendo una trasformazione epocale verso l’elettromobilità e l’Europa, con il bando, intende porsi all’avanguardia di questo cambiamento anziché subirlo. Contrariamente ai timori di declino, il fronte pro-ban vede nell’auto elettrica un’opportunità per creare nuove filiere produttive (batterie, elettronica di potenza, software) e per riconvertire il tessuto industriale con prodotti ad alto valore aggiunto. Un rapporto di Transport & Environment rileva che misure decise per l’elettrificazione possono generare centinaia di migliaia di posti di lavoro green in Europa, specialmente se supportate da politiche per localizzare la produzione di batterie e componenti. Nel dibattito europeo è emerso ad esempio il tema delle flotte aziendali elettriche: imporre che il 75% delle auto di grandi aziende sia elettrico (con contenuto locale) entro il 2030 potrebbe portare 1,2 milioni di EV prodotte in più in UE, stimola T&E. Questi numeri suggeriscono che creare un mercato interno forte dell’auto elettrica è cruciale per attirare investimenti in nuovi stabilimenti e tecnologie. “Europa dovrebbe continuare a svolgere un ruolo di leader mondiale nel settore automobilistico” ha affermato il vicepresidente Dombrovskis, indicando che, proprio perché la concorrenza globale cambia (Cina in primis), l’UE deve focalizzarsi su condizioni che permettano alle aziende nostrane di prosperare nella nuova mobilità. I favorevoli sottolineano che le case auto europee hanno già intrapreso la via elettrica: molte hanno annunciato volontariamente lo stop a motori termici ben prima del 2035 (es. alcune marche puntano al 2030). Volkswagen, ad esempio, pur supportando la considerazione degli e-fuel, ha confermato di mantenere la “leadership EV” come pilastro strategico. Ciò denota come l’industria stessa veda il proprio futuro nell’elettrico e consideri i combustibili sintetici più un’opzione di nicchia o transitoria. Del resto, i fondi UE e nazionali stanno affluendo massicciamente: gigafactory di batterie in Germania, Francia, Italia e altri Paesi sono in cantiere grazie anche al richiamo di normative che proiettano un mercato solido per le EV. Abbandonare ora l’obiettivo 2035 rischierebbe di minare la fiducia degli investitori e deviare capitali verso altre regioni più determinate (Cina, USA). “Chiediamo solo stabilità regolatoria: siamo pronti”, ha dichiarato Carlos Tavares, CEO di Stellantis, chiarendo che la sua azienda non chiede di cancellare il regolamento ma di avere un quadro chiaro e coerente. Questa affermazione – proveniente da uno dei manager più critici sui costi del Green Deal – è emblematica: persino i grandi gruppi ormai pianificano sull’elettrico e temono più l’incertezza normativa che la transizione in sé. Ulteriore punto a favore è che fissare uno standard unico (zero emissioni allo scarico) evita la frammentazione del mercato europeo in normative differenti e libera la creatività ingegneristica su un obiettivo comune. La competizione si sposta su chi saprà produrre EV migliori, più economiche e sostenibili, invece di disperdere risorse in troppe strade parallele. Questo è coerente col principio – caro agli ambientalisti – che serva concentrare gli sforzi: sviluppare e-fuel “puliti” per alimentare 300 milioni di auto sarebbe proibitivo e inefficiente, mentre è sensato destinarli ad aviazione o marina (dove l’elettrico è meno praticabile). Sulle automobili, invece, puntare decisi sull’elettrico consente di ottenere economie di scala rapide, generando un volano tecnologico-industriale. L’UE può inoltre contare su un know-how consolidato: aziende come Enel, ABB, Schneider ecc. eccellono nell’infrastruttura di ricarica, e la ricerca europea in ambito batterie (ad esempio, nuovi chimismi al litio-ferro-fosfato o solid state) è avanzata. Rafforzare la domanda interna di veicoli zero emission stimolerà anche questi settori collaterali, creando un ecosistema favorevole all’innovazione. I pro-ban fanno notare come l’alternativa – cioè, ritardare la transizione – rischierebbe di cristallizzare un vantaggio competitivo cinese. Oggi la Cina domina nella produzione di batterie e componenti EV grazie alla sua scala di mercato, ma l’Europa ha asset unici (capacità ingegneristiche, brand auto di qualità) che le permettono di recuperare terreno se spinge con decisione. Se invece l’UE rallentasse, i costruttori europei rischierebbero di restare indietro anche sul fronte elettrico, venendo soppiantati in futuro da importazioni asiatiche più economiche. Non a caso, nel 2023 la Commissione ha aperto un’indagine anti-sussidi sulle auto elettriche cinesi, ma a lungo termine l’unica risposta è competere sull’innovazione, non proteggere tecnologie vecchie. “Mentre giochiamo una partita perdente contro una tecnologia su cui investono tutte le economie mondiali… l’automotive nazionale registra -35% di produzione quest’anno” denunciavano in una lettera congiunta Legambiente, Greenpeace e altri, riferendosi al calo produttivo in Italia e indicando come non affrontare la transizione peggiori la crisi invece di evitarla. In sostanza, i pro sostengono che il vero rischio per l’industria sta nell’ostinarsi sul passato: ogni anno di ritardo nell’elettrificazione è un mercato ceduto ai rivali e un’occasione di lavoro persa in Europa. Al contrario, abbracciare con convinzione la rivoluzione elettrica – pur non indolore – porrà le basi della leadership industriale europea nella mobilità del XXI secolo.
Nina Celli, 5 dicembre 2025