Il divieto di vendere nuove auto a combustione dal 2035 è ritenuto dai favorevoli un passo necessario e urgente per allineare i trasporti agli obiettivi climatici ed evitare che l’Europa manchi i propri impegni ambientali. Il settore dei trasporti rappresenta circa un terzo delle emissioni di gas serra nell’UE e, contrariamente ad altri comparti, dal 1990 le sue emissioni sono aumentate invece di diminuire. Continuare a vendere auto benzina e diesel oltre il 2035 significherebbe restare agganciati ai combustibili fossili per decenni, mettendo a rischio il target della neutralità carbonica al 2050. Greenpeace calcola che per restare sotto +1,5 °C di riscaldamento sarebbe addirittura necessario anticipare al 2028 lo stop alle vendite di auto endotermiche. Ogni anno guadagnato nella transizione ha effetti tangibili: uno studio citato dall’ONG stima che terminare le vendite nel 2028, anziché 2035 taglierebbe circa “1,7 gigatonnellate di CO₂” entro fine anni ’40 e farebbe risparmiare ai cittadini europei oltre “600 miliardi di euro” in carburante. Per i sostenitori, quindi, il 2035 è già un compromesso tardivo: rinviarlo ulteriormente equivarrebbe a mancare i bersagli dell’Accordo di Parigi e a subire gli impatti sempre più gravi della crisi climatica (ondate di calore, eventi estremi) con costi sociali enormi. Inoltre, la qualità dell’aria urbana e la salute pubblica trarrebbero immediato giovamento dall’eliminazione graduale dei tubi di scarico: meno ossidi d’azoto, PM10 e altri inquinanti locali significheranno città più vivibili e un risparmio di spesa sanitaria (malattie respiratorie, decessi prematuri evitati). Nonostante i progressi dei motori termici, è impossibile conciliare l’obiettivo “zero emissioni nette” al 2050 con la vendita di veicoli fossili oltre metà 2030. La finestra temporale per agire sul clima si va chiudendo e i trasporti, rimasti indietro, devono dare un taglio netto alle emissioni. Basti pensare che i trasporti assorbono quasi due terzi del petrolio consumato in UE: senza interventi strutturali, tale dipendenza continuerà a finanziare regimi petroli-fondati e a esporre l’Europa agli shock dei prezzi energetici (si ricordi il caro-carburanti seguito all’invasione russa dell’Ucraina). La svolta elettrica, viceversa, contribuirà alla sicurezza energetica riducendo l’import di greggio. L’industria automobilistica ha già beneficiato di circa 13 anni di preavviso (2022–2035) per preparare la transizione, un orizzonte di pianificazione ragionevole. La Commissione europea, per voce del vicepresidente Dombrovskis, rivendica di aver definito “un quadro chiaro” con largo anticipo, così da dare certezza a investitori e produttori e “abbastanza tempo per pianificare una transizione equa”. Questo per confutare l’idea che la scadenza 2035 “piombi addosso” all’industria: chi è rimasto indietro ha forse peccato di miopia, non certo di mancanza di tempo. Infine, i fautori evidenziano che la conversione elettrica dell’auto non è più futuribile, ma una realtà in accelerazione: già nel 2023 le battery electric rappresentano circa il 16% delle vendite europee e i costi delle tecnologie pulite (batterie, rinnovabili) calano continuamente. Procrastinare l’inevitabile non farebbe che accumulare ritardi: “bloccare” la transizione ora significherebbe doverla fare di corsa più avanti, magari con obiettivi ancor più drastici, e perdere quel poco di margine che rimane per correggere la rotta climatica. Sul piano sociale, gli ambientalisti ribattono punto su punto alle obiezioni “catastrofiste” dei contrari, spesso bollandole come miti infondati o esagerazioni. Ad esempio, l’argomento che le EV siano solo per ricchi ed élite viene contestato ricordando che già entro pochi anni il Total Cost of Ownership (costo totale di acquisto+uso) delle auto elettriche sarà inferiore a quello di un’auto tradizionale, grazie ai minori costi per “rifornimento” elettrico e manutenzione. Una maggiore diffusione farà poi scendere anche i prezzi d’acquisto per effetto di scala. Anche la narrativa per cui “mancano le colonnine” viene relativizzata: è vero che alcuni Paesi (come l’Italia) sono indietro, ma proprio fissare obiettivi chiari al 2035 serve a guidare gli investimenti nelle infrastrutture. L’UE sta parallelamente finanziando reti di ricarica rapida sulle arterie principali e molti governi stanno accelerando i piani di installazione. Non va dimenticato che la transizione sarà graduale: le auto termiche già circolanti potranno continuare a farlo, e nel 2035 le EV nuove sostituiranno progressivamente un parco motori con almeno 15–20 anni di vita residua. Agire ora è dunque fondamentale per avere effetti entro metà secolo. In ultima analisi, per i favorevoli il bando 2035 è un atto di responsabilità verso le prossime generazioni: rallentarlo significherebbe lasciare in eredità un clima più instabile e un’industria europea arretrata, costretta poi ad inseguire affannosamente tecnologie sviluppate altrove.
Nina Celli, 5 dicembre 2025