Uno degli argomenti centrali dei favorevoli riguarda il ruolo strategico che il nucleare può giocare nel garantire una fornitura elettrica continua, programmabile e svincolata dalle fluttuazioni geopolitiche, soprattutto in un contesto di transizione dove le rinnovabili variabili saranno sempre più importanti. A differenza di sole e vento – la cui produzione dipende dalle condizioni meteo e dall’alternanza giorno/notte – una centrale nucleare eroga potenza stabile 24 ore su 24, con capacità di modulazione limitata ma prevedibile. Questo la rende ideale per coprire il fabbisogno di base (baseload), fornendo quell’“ossatura” energetica che poi le fonti rinnovabili vanno a integrare. Ad esempio, la Francia ha per decenni assicurato ~3/4 della sua elettricità con le centrali nucleari, mantenendo emissioni elettriche bassissime e al contempo esportando energia ai vicini. I sostenitori evidenziano che oggi l’Europa affronta una duplice sfida: decarbonizzare il sistema e insieme mantenere la sicurezza energetica in un’epoca di instabilità internazionale (si pensi alla crisi del gas scatenata dalla guerra in Ucraina nel 2022). Il nucleare risponde a entrambe: è carbon-free e riduce la dipendenza da combustibili fossili d’importazione, il cui approvvigionamento può essere soggetto a tensioni o ricatti politici. La crisi del gas russo, che ha visto i prezzi schizzare da 20 a oltre 300 €/MWh nell’estate 2022, è spesso citata come monito: i Paesi privi di fonti stabili nazionali hanno sofferto di più l’impatto. Una fonte come l’atomo, alimentata da piccole quantità di combustibile facilmente stoccabili (diversi anni di funzionamento con pochi container di uranio), offre una stabilità di costi e forniture impareggiabile: “il kWh nucleare dipende all’85% dal costo d’impianto; quindi, non è soggetto alla volatilità delle commodity”, notano gli esperti. In altri termini, una volta costruita la centrale, il prezzo dell’elettricità resta stabile per decenni, indipendentemente dalle oscillazioni di petrolio o gas sui mercati. Questo è particolarmente importante per l’industria energivora e per la pianificazione economica di lungo periodo. In Italia, l’assenza di nucleare e la forte dipendenza dal gas (ancora ~40% della generazione) hanno esposto famiglie e imprese a bollette altalenanti: il governo attuale cita proprio la necessità di “energia a basso costo e sicura” come motore per rilanciare la competitività del Paese. Inoltre, avere un parco nucleare nazionale equivarrebbe a rafforzare la sovranità energetica: meno import di combustibili significa minor esposizione a crisi globali e più controllo sui prezzi domestici. I proponenti sottolineano poi che i reattori compatti di nuova generazione permetteranno un’ulteriore flessibilità: diversamente dalle grandi centrali concepite solo per la rete elettrica, gli SMR potranno essere collocati “dove servono”, ad esempio all’interno di distretti industriali energivori, fornendo energia termica ed elettrica in situ. Ciò consente di decarbonizzare anche usi difficili (processi industriali, produzione di idrogeno verde) fornendo calore ad alta temperatura e vapore alle fabbriche, senza gravare sulla rete nazionale. Un singolo SMR potrebbe alimentare stabilmente un cluster industriale o una grande città, e la natura modulare consente di aggiungere unità in base alla crescita della domanda. Questa scalabilità locale riduce dispersioni e perdite di trasmissione e incrementa la resilienza del sistema (una rete con più piccole centrali distribuite è meno vulnerabile di una con pochi grossi poli). Dal punto di vista geopolitico, infine, il nucleare civile offre un vantaggio: l’uranio (o il torio, se utilizzato in futuro) è presente in vari Paesi stabili (Canada, Australia ecc.) e non è soggetto alle stesse dinamiche oligopolistiche del petrolio/gas e il combustibile incide poco sul costo finale dell’energia. Una centrale può fare scorta di fuel per anni: ad esempio, Francia e Belgio hanno mantenuto reattori operativi anche durante gli shock petroliferi degli anni ’70 o crisi politiche, grazie all’indipendenza dal gas russo garantita dal loro parco nucleare. Per l’Italia, che importa ~90% dell’energia primaria, reintrodurre l’atomo significherebbe diversificare mix e fornitori, riducendo fatture energetiche verso l’estero. Non a caso esponenti governativi come il ministro Gilberto Pichetto Fratin sottolineano la “piena sicurezza energetica” che il nucleare può offrire all’Italia per affrontare le sfide future. Il nucleare di nuova generazione è quindi un pilastro affidabile attorno a cui costruire un sistema elettrico pulito e robusto: la sua capacità di generare potenza costante, il basso costo variabile e l’indipendenza da fonti fossili volatili ne fanno uno strumento ideale per garantire continuità di approvvigionamento e stabilità economica durante la transizione ecologica e oltre.
Madeleine Maresca, 4 dicembre 2025