Un elemento chiave per cui molti contestano l’etichetta “green” applicata al nucleare è l’irrisolto problema delle scorie radioattive. A differenza di eolico, solare o altre fonti rinnovabili, infatti, l’energia nucleare comporta la produzione di rifiuti pericolosi che rimangono attivi per tempi enormi, richiedendo gestione e isolamento sicuri per decine di migliaia di anni. Gli impianti di nuova generazione promettono di ridurre la quantità e pericolosità delle scorie, ma non le eliminano affatto. Anche ipotizzando reattori capaci di riciclare parte del combustibile esausto, resterebbero comunque frazioni di residui altamente radioattivi da stoccare. Ne sono consapevoli gli stessi governi pro-nucleare: ad esempio il regolamento UE che ha incluso il nucleare nella tassonomia impone come condizione che gli Stati presentino un piano credibile per un deposito geologico definitivo delle scorie entro il 2050, riconoscendo implicitamente che senza soluzioni per i rifiuti il nucleare non può dirsi sostenibile. Ebbene, fanno notare i critici, nessun Paese al mondo dispone ancora di un deposito geologico operativo per combustibile irraggiato ad alta attività. La Finlandia sarà probabilmente la prima (Onkalo, forse attivo dal 2025), la Francia punta a Cigéo non prima del 2035; altrove il processo è bloccato da difficoltà tecniche e opposizioni pubbliche. In Italia la situazione è emblematica: a 35 anni dall’uscita dal nucleare, non abbiamo ancora un Deposito Nazionale nemmeno per le scorie a media e bassa attività, attualmente disperse in decine di siti provvisori spesso inadeguati. La Carta dei siti idonei (CNAPI) è stata pubblicata solo nel 2021 dopo anni di ritardi e già sconta contestazioni da territori e Regioni coinvolte. Legambiente denuncia criticità nei criteri di scelta (rischi geologici sottovalutati, aree protette coinvolte ecc.) e sottolinea come occorra la massima trasparenza e dibattito pubblico per riuscire a individuare un sito in modo condiviso. Questo per i rifiuti esistenti. Immaginare di aggiungerne di nuovi (da centrali future) senza aver risolto quelli passati appare, agli occhi di molti, poco responsabile. Le scorie di III categoria (alta attività, come il combustibile esausto) contengono isotopi come il Plutonio-239, la cui radioattività impiega 24.000 anni a dimezzarsi. Ciò significa che vanno isolati dall’ambiente umano per tempi paragonabili alla durata dell’intera civiltà umana fin qui: un compito che mette seri dubbi sulla qualifica di “sostenibile” per questa fonte. L’aggettivo “green”, per i detrattori, implica un ciclo di vita che non lasci problemi alle generazioni future, cosa che l’atomo, con le sue scorie, non può garantire. Anche i reattori di IV generazione, ammesso funzionino come promesso, genereranno comunque dei residui (fission products) che rimarranno radioattivi per secoli; e nel frattempo l’uranio va estratto e arricchito, con impatti ambientali non trascurabili. Oltre ai rifiuti, vengono ricordati gli altri impatti ambientali: le centrali termonucleari consumano grandi quantità di acqua per il raffreddamento, restituendola più calda nei fiumi/mari (con effetti sugli ecosistemi acquatici). In periodi di siccità o riscaldamento globale, questo può diventare un problema serio (in Francia varie centrali hanno dovuto ridurre la potenza in estati calde per scarsità d’acqua nei fiumi). Inoltre, i siti nucleari occupano superfici notevoli e richiedono una “zona di rispetto” attorno per motivi di sicurezza, sottraendo terreno ad altri usi (anche se in misura minore rispetto ad alcune rinnovabili diffuse). Ma l’impatto più preoccupante resta il potenziale danno ambientale e sanitario in caso di incidente o di gestione scorretta dei rifiuti. Un disastro nucleare può contaminare vaste aree rendendole inabitabili per decenni: Chernobyl (1986) ha sparso radionuclidi su mezza Europa; ancora oggi oltre 5 milioni di persone vivono in zone contaminate tra Bielorussia, Ucraina e Russia e subiscono conseguenze sulla salute (come l’aumento di tumori tiroidei nei bambini); Fukushima (2011) ha provocato lo sversamento di cesio radioattivo nell’Oceano Pacifico e la perdita di utilizzo di territori agricoli e urbani in Giappone. Gli antinuclearisti sottolineano che un’energia che porta con sé un rischio – per quanto remoto – di contaminare irreversibilmente l’ambiente in caso di errore, non può essere definita verde. Anche i reattori avanzati non possono escludere al 100% eventi catastrofici: magari c’è meno probabilità di fusione del nocciolo, ma restano possibili incidenti da fattori esterni (terremoti, alluvioni estreme, atti dolosi di terrorismo o conflitti). La guerra in Ucraina ha mostrato come le centrali possono diventare teatri di conflitto: a Zaporizhzhia (grosso impianto sovietico) la comunità internazionale ha temuto per mesi potenziali rilasci radioattivi a causa dei combattimenti intorno alla centrale occupata. Il nucleare civile, insomma, porta con sé un “rischio sistemico” che le rinnovabili non hanno: non esistono incidenti solari o eolici in grado di devastare intere regioni. Infine, c’è il capitolo traffico illecito di rifiuti radioattivi: in Italia negli anni ’80-’90 bidoni con scorie medicali o industriali vennero sepolti illegalmente in Sud Italia dalla criminalità organizzata (“navi dei veleni”). Ogni produzione di nuovi rifiuti genera nuovi oneri di controllo e sorveglianza per secoli, con la spada di Damocle di possibili dispersioni se anche solo uno degli anelli della catena fallisce. Legambiente parla a tal proposito di “pericolosa eredità” nucleare che l’Italia ha il dovere di chiudere in sicurezza e di vigilare per impedire smaltimenti illeciti. Tutto questo conduce la tesi contraria ad affermare che il nucleare non soddisfa il principio di sostenibilità ambientale integrale (non fare danni all’ambiente): può essere a basso carbonio, ma lascia scorie e rischi incalcolabili alle generazioni future. Definirlo “green” appare quindi improprio. Secondo le ONG ambientaliste, una vera transizione ecologica deve basarsi su fonti che “non lasciano macerie” (eolico, solare, geotermia, efficienza) mentre l’atomo continua a lasciare un problema aperto. Fino a che non esisterà un sistema sicuro per gestire le scorie per migliaia di anni (cosa assai complessa da dimostrare), il nucleare resterà per i critici un’energia intrinsecamente non sostenibile e dunque non accettabile come soluzione verde.
Madeleine Maresca, 4 dicembre 2025