Oltre ai problemi di bilancio e distribuzione, il Superbonus viene accusato di aver innescato una serie di effetti distorsivi nell’economia e nella società, che ne aggravano il bilancio complessivo. In questa tesi contraria si evidenziano tre ordini di effetti negativi: l’esplosione di frodi e illeciti, la distorsione dei prezzi nel settore edilizio (una vera bolla inflattiva), e infine la creazione di un boom artificiale seguito da un inevitabile crash, con strascichi di incertezza e sfiducia. Sul fronte delle frodi, la natura stessa del 110% (credito più alto del costo, monetizzabile con facilità) ha rappresentato un invito per i truffatori. Non appena il meccanismo è partito, sono fioriti schemi fraudolenti: false attestazioni di lavori mai eseguiti, creazione di cantieri fittizi, gonfiaggio sistematico delle fatture. Il Ministro dell’Economia dell’epoca, Daniele Franco, nel 2022 definì quelle emerse “una delle più grandi truffe nella storia della Repubblica”. Le operazioni della Guardia di Finanza hanno scoperto crediti fittizi per oltre 9 miliardi già a inizio 2022. A fine 2023, Meloni ha parlato di €12 miliardi di contratti irregolari scoperti e aggiornati poi a €16 miliardi. Tra i casi più eclatanti: aziende inesistenti costituite solo per creare crediti fasulli, compravendite di immobili tra compiacenti per gonfiare i massimali, fino ad arrivare a interi capannoni industriali fantasma sanati sulla carta per milioni di euro. Un’inchiesta giornalistica di “Report” ha mostrato come un gruppo criminale sia riuscito a generare €110 milioni di crediti su immobili in teoria da demolire, usando prestanome nullatenenti. Tutto ciò è avvenuto perché inizialmente mancavano controlli ex ante: bastava un’asseverazione compiacente e si otteneva il credito. Solo a fine 2021 il governo Draghi ha imposto il visto di conformità obbligatorio e il codice identificativo univoco per ogni credito (bloccando così le cessioni “a catena”). Ma il danno era fatto: truffe per oltre 5 miliardi erano già state certificate. I critici sottolineano che questo rappresenta un danno secco: quei miliardi di crediti fasulli pesano sul bilancio senza alcun lavoro reale svolto. Il Superbonus è così diventato – parole di Meloni – “la più grande truffa ai danni dello Stato”. Un primato negativo che offusca qualsiasi vantaggio. In parallelo, il 110% ha stravolto il normale funzionamento del mercato edilizio. Dando ai privati totale indifferenza al prezzo (tanto paga lo Stato), si è eliminato ogni incentivo a tenere bassi i costi. Anzi, come notava “Reuters”, “più il lavoro costava, più soldi restavano in tasca al proprietario” (che riceveva il 10% extra oltre la spesa). Questo ha fatto lievitare i prezzi: i preventivi di ristrutturazione sono esplosi, spesso gonfiati ad arte. Banca d’Italia ha quantificato un +13% dei costi di costruzione dopo l’avvio del Superbonus, di cui circa la metà attribuibile direttamente al bonus. Alcuni materiali hanno avuto rincari assurdi: ponteggi +400% entro fine 2021, isolanti +80%, serramenti +50%. I tetti di prezzo introdotti (prezzari DEI) sono serviti a poco: come osserva Cottarelli, “erano diventati prezzi medi, non massimi” – le imprese tendevano ad applicare comunque il tetto massimo, tanto c’era margine. Questo ha drogato il settore: un’impennata inflattiva che ha penalizzato chiunque volesse fare lavori al di fuori del bonus (impossibile trovare imprese a costi normali). Inoltre, il bonus ha attratto nel settore una pletora di nuovi operatori improvvisati: società nate dal nulla per accaparrarsi commesse facili, alcune senza esperienza che hanno poi lasciato lavori di scarsa qualità. Si è creato un “Far West” edilizio, in cui l’obiettivo di molti non era eseguire bene i lavori ma massimizzare il profitto rapido a spese dello Stato. La qualità media ne ha risentito e il settore è diventato meno trasparente. Un’altra distorsione è stata sul mercato creditizio: in poco tempo sono stati emessi oltre €120 miliardi di crediti d’imposta scambiabili. Praticamente un quasi-circuito monetario parallelo (come notato da Garicano). A un certo punto c’erano più crediti che capienza fiscale per compensarli, una situazione che ha costretto il governo a intervenire bloccando le cessioni oltre una certa soglia. Quando ciò è avvenuto (febbraio 2023), si è creata una crisi di liquidità per migliaia di imprese: crediti incassati ma non più cedibili, fatture non pagate, banche piene e non più disposte ad accettare crediti. Il meccanismo si è inceppato bruscamente, e questo è anch’esso un effetto collaterale di un disegno troppo disinvolto. In pratica, il Superbonus ha generato prima una bolla (tutti volevano i crediti, che infatti venivano scambiati quasi alla pari col contante), poi un blocco del mercato con crediti divenuti toxic asset. CNA e Confartigianato hanno denunciato che oltre 30-40 mila imprese edili, soprattutto PMI, hanno rischiato il fallimento per colpa dei crediti incagliati. Interi condomìni si sono trovati coi lavori fermi e ponteggi abbandonati perché l’impresa non poteva più scontare i crediti e andare avanti. Questo contraccolpo ha gettato nel panico operatori e clienti, scatenando proteste (e portando alla mini-proroga per i redditi bassi a fine 2023). In sostanza, il Superbonus ha creato un ciclo boom-and-bust: prima un boom frenetico, poi un bust traumatico. Questa instabilità è un effetto altamente indesiderabile: invece di una crescita sana e graduale del settore, si è avuta una fiammata seguita da un raffreddamento repentino, con cantieri sospesi e perdita di posti di lavoro (l’Ance stima 50 mila posti persi nel 2023 a causa dello stop). Bankitalia ha evidenziato proprio questo rischio: imprese edili sorte per catturare il bonus ora affrontano un crollo di domanda, con rischio di insolvenze a catena. Il tessuto imprenditoriale ne esce scompaginato: alcuni hanno fatto profitti facili, altri sono saltati; la reputazione del settore ha subito danni; la fiducia di banche e investitori in strumenti fiscali simili è scossa. I critici sottolineano dunque come il Superbonus abbia minato la credibilità delle politiche di incentivo in Italia. In futuro, un cittadino potrebbe essere diffidente nell’aderire a nuovi bonus se teme cambi repentini; le banche stesse potrebbero esitare a finanziare crediti fiscali dopo l’esperienza traumatica (lo ha ammesso l’ABI). Il clima di fiducia tra Stato, imprese e cittadini è stato incrinato: lo Stato ha dovuto rimangiarsi le promesse (bloccando cessioni), le imprese si sono trovate con contratti non onorati, i cittadini con case a metà. Questo è un fallimento gestionale che però deriva da un difetto originario: un incentivo troppo generoso e non sostenibile, destinato prima o poi a causare un disordine di mercato.
Nina Celli, 29 novembre 2025