Secondo i sostenitori, molte delle criticità imputate al Superbonus derivano non dalla sua concezione originaria – considerata valida – ma da errori politici e burocratici nella sua attuazione. In altre parole, il principio di finanziare massicciamente la riqualificazione di case e condomìni era giusto e necessario; a risultare sbagliati sono stati semmai alcuni dettagli tecnici, i continui cambi di regole e l’insufficienza di controlli contro gli abusi. Questo punto di vista sposta dunque il focus: non “Superbonus sì o no”, ma “come” implementarlo al meglio. Innanzitutto, va ricordato che il Superbonus è nato in un contesto emergenziale (pandemia) con obiettivi condivisi trasversalmente: rilanciare l’economia, ridurre le emissioni, migliorare la sicurezza abitativa. Perfino critici severi come Carlo Cottarelli riconoscono che “occorreva sostenere il sistema edilizio… e rendere le case più verdi”, cioè che le finalità fossero sacrosante. Se poi l’esecuzione ha presentato problemi, la risposta razionale sarebbe stata correggerlo, non demonizzare l’intera idea. Legambiente, ad esempio, sin dal 2021 sosteneva che “il 110% non va ridotto, ma migliorato” con opportuni aggiustamenti. Quali aggiustamenti? I proponenti ne indicano diversi: introdurre massimali di costo adeguati (già nel 2022 il MITE fissò prezzari per frenare i rincari); potenziare i controlli preventivi antifrode (l’Agenzia Entrate iniziò a farlo solo dopo che erano emerse truffe, ma ormai tardi); selezionare i beneficiari in base al reddito e al tipo di immobile (ad esempio escludere le ville di lusso o introdurre un tetto ISEE per accedere al 110%, cosa poi fatta parzialmente dal 2023). Sono tutte misure che si potevano implementare, mantenendo l’incentivo efficace ma riducendo gli effetti distorsivi. In pratica, l’errore è stato considerare il Superbonus “troppo bello per essere vero” e lasciarlo inizialmente senza paletti, quando sarebbe bastato dosarne la generosità per evitare eccessi. Un aspetto cruciale che i favorevoli evidenziano è la continua oscillazione normativa attorno al bonus. Dal 2020 al 2023 il quadro è cambiato decine di volte: proroghe annunciate e poi riviste, aliquote modificate (110%, poi 90%, poi 70%), vincoli introdotti (limiti alle villette, plafond di spesa) spesso ex post, e infine la brusca sospensione della cessione dei crediti decisa a sorpresa nel febbraio 2023. Questa instabilità ha generato caos e incertezza sia tra i cittadini sia tra le imprese. Cantieri aperti confidando in norme vigenti si sono trovati all’improvviso senza compratori per i crediti, rischiando il default. Famiglie che contavano sul 110% hanno dovuto ridimensionare i lavori o indebitarsi per coprire la differenza. È evidente – sostengono i pro – che una miglior gestione politica avrebbe evitato questi traumi: bastava pianificare una transizione graduale (ad esempio scalare al 90% solo per nuovi lavori e garantire la cessione bancaria fino a esaurimento per quelli in corso) invece di bloccare di colpo il meccanismo. La responsabilità di molte storture ricade dunque su chi ha gestito male il “dopo”, più che sull’idea in sé. Persino il governo Meloni ha dovuto riconoscere la necessità di un compromesso, prorogando il 110% per non lasciare “famiglie e imprese con crediti incagliati”. Ciò dimostra che interrompere bruscamente il bonus è stato un errore: alla fine si è dovuto tornare parzialmente indietro, confermando che la misura aveva creato aspettative e obbligazioni che andavano onorate con serietà istituzionale. Un altro fattore correttivo riguarda le frodi. Gli oppositori citano giustamente le truffe miliardarie, ma anche qui va chiarito: non è il Superbonus in sé a essere fraudolento, bensì alcune società e intermediari disonesti che ne hanno approfittato in assenza di verifiche stringenti iniziali. L’esperienza ha portato rapidamente a introdurre controlli extra: dal 2022 obbligo di visto di conformità, asseverazioni tecniche, cessione tracciata su piattaforma dedicata. Con questi strumenti, il grosso delle frodi è stato arginato. Inoltre, le forze dell’ordine e la magistratura hanno già individuato i responsabili di molti raggiri: 12 miliardi di crediti illeciti bloccati. Ciò suggerisce che, con adeguate cautele a monte, l’incentivo può funzionare senza truffe sistemiche. È come accusare i finanziamenti UE di essere sbagliati perché c’è chi cerca di frodarli: la soluzione non è abolire i fondi, ma rafforzare i controlli. I sostenitori inoltre ricordano che tutte le forze politiche hanno inizialmente supportato e votato il Superbonus, maggioranze e opposizioni comprese. La narrazione per cui era “evidente sin dall’inizio” che sarebbe stato un disastro è smentita dal consenso quasi unanime con cui è stato prorogato più volte (solo rarissime eccezioni parlamentari si opposero). Questo consenso trasversale indica che l’idea di principio era considerata valida: se poi il contesto è cambiato (crisi energetica, inflazione) o sono emerse criticità attuative, la politica avrebbe dovuto adattare la misura, non scaricare la colpa su chi l’aveva proposta. Da notare che perfino nell’attuale governo, ministri e sottosegretari hanno usufruito dei bonus edilizi per le proprie case, segno che credevano nell’utilità di ristrutturare con il contributo pubblico (lo ha sottolineato Conte: “metà governo” ne ha beneficiato). Questo rende le successive accuse di “assistenzialismo per ricchi” un po’ ipocrite agli occhi dei proponenti. Il fallimento non è nell’idea di Superbonus, ma nella sua implementazione imperfetta. Gli obiettivi – crescita, transizione ecologica, sicurezza – restano fondamentali e anzi inderogabili. Si poteva e doveva calibrare meglio lo strumento: imporre tetti di spesa complessivi (evitando l’effetto “bomba a orologeria” sul bilancio), modulare la percentuale (magari 100% anziché 110%, per lasciare un minimo di attenzione ai costi da parte dei privati), introdurre da subito filtri antifrode e criteri di equità. Tutte misure tecniche che nulla tolgono alla bontà dell’approccio strategico: investire risorse pubbliche per rinnovare il patrimonio edilizio, con benefici economici, sociali e ambientali diffusi. Un policy maker responsabile avrebbe dovuto migliorare la misura lungo il percorso, non bollare come “peggior iniziativa” qualcosa che ha comunque portato enormi benefici tangibili. In conclusione, per questa tesi il Superbonus è stato sfigurato da scelte politiche inadeguate (come il dietrofront caotico del 2023) ma resta, nella sua filosofia di base, uno strumento valido e lungimirante. La prova sta nel fatto che ora si discute di nuovi incentivi (ad esempio il progetto Ecobonus 80% mirato) per proseguire la riqualificazione: segno che l’idea di fondo – lo Stato promotore della transizione energetica edilizia – è qui per restare, pur con formule migliorate.
Nina Celli, 29 novembre 2025