Il Superbonus viene bocciato dai critici sul piano della efficienza economica intrinseca. Ci si chiede: i benefici ottenuti – in termini di risparmio energetico, crescita PIL, riduzione emissioni, messa in sicurezza – valgono davvero i costi astronomici sostenuti? La risposta dei detrattori è un netto no. In pratica, il Superbonus ha reso poco rispetto a quanto è costato. Ha impiegato risorse enormi per ottenere risultati modesti, che si sarebbero potuti raggiungere con spese molto minori attraverso altre politiche. Un primo indicatore è il costo per unità di emissione evitata. L’obiettivo ambientale era ridurre CO₂, ma a quale prezzo? Secondo i calcoli di vari analisti, ogni tonnellata di CO₂ risparmiata tramite i lavori incentivati è costata allo Stato cifre abnormi: oltre €1.000 per tonnellata. In confronto, il prezzo di mercato della CO₂ nel sistema ETS europeo è attorno a €80/tonnellata. Significa che il Superbonus ha speso più di 12 volte tanto per ottenere lo stesso risultato ambientale che si sarebbe potuto conseguire, ad esempio, incentivando rinnovabili o acquistando crediti di carbonio sul mercato. Luis Garicano lo definisce “la più grande operazione di greenwashing”: un’operazione presentata come ecologica, ma a un costo così sproporzionato da risultare antieconomica. In sostanza, per tagliare un kg di CO₂ col 110% lo Stato avrebbe potuto tagliarne 12 kg investendo diversamente. Questo è un indicatore di inefficienza lampante. Analogamente, guardando al risparmio energetico: ENEA quantifica in ~9 TWh/anno il risparmio da Superbonus. Ottimo, ma a fronte di 110 miliardi spesi. Ogni kWh risparmiato costerà quindi allo Stato decine di centesimi di euro per decenni, quando lo stesso kWh “negativo” (risparmio) si poteva ottenere con programmi mirati (ad esempio sostituzione elettrodomestici, detrazioni al 65%) spendendo molto meno. Insomma, l’efficienza energetica si poteva promuovere in modo più economico. La Corte dei Conti ha sottolineato che sì, gli obiettivi di risparmio ed emissioni sono stati superati, “ma se l’attenzione si sposta sul costo… la musica cambia”: il tempo di ritorno dell’investimento pubblico è superiore a 35 anni (24 anni includendo entrate indotte). Valore ben oltre la vita utile di molti interventi (un cappotto può degradarsi in 20 anni), sintomo che l’operazione non si ripaga in tempi ragionevoli. Un progetto efficiente dovrebbe rientrare in tempi molto più brevi. Altro parametro è il costo per posto di lavoro creato. I sostenitori vantano le centinaia di migliaia di occupati generati. Ma se si divide la spesa pubblica per il numero di occupati, quanto “è costato” ciascun nuovo posto? Supponendo 300mila occupati a fronte di €120 mld impegnati, fanno €400.000 per occupato. Una cifra enorme, con la quale si potevano finanziare decine di anni di stipendio di ciascun lavoratore (lo stipendio edile medio è €25-30k/anno). Ciò significa che l’effetto occupazionale è stato ottenuto in modo costosissimo. Anche considerando l’indotto e i moltiplicatori, secondo l’FMI il boost di crescita ottenuto è “abbastanza limitato in relazione alla mole di risorse fiscali impiegate”. Si stima che il PIL aggiuntivo generato sia di molto inferiore al valore dei crediti concessi. In pratica, con quell’ammontare di spesa si sarebbero potuti creare forse più posti di lavoro e più PIL in altri settori. Carlo Cottarelli osserva ad esempio che impiegare 120 miliardi su università, digitalizzazione, infrastrutture avrebbe potuto produrre crescita più alta e duratura, invece di gonfiare un solo settore per poi sgonfiarlo subito dopo. Insomma, l’efficienza allocativa è mancata: si sono concentrati troppi soldi in un ambito ristretto, creando distorsioni e poi un brusco vuoto quando il denaro è finito. Anche guardando la percentuale di patrimonio riqualificato, il bilancio è deludente rispetto alle risorse impiegate. Il Superbonus ha interessato circa 1,3 milioni di unità immobiliari (dato Enea, includendo ~380 mila edifici unifamiliari, ~800 mila appartamenti in condominio). L’Italia ha oltre 12 milioni di edifici residenziali e 30+ milioni di abitazioni: significa che con quell’esborso colossale si è migliorato appena il 4-5% del patrimonio. Non esattamente una rivoluzione green, ma un ritocco marginale. Garicano nota che il programma rinnoverà in totale poco meno di 500.000 abitazioni (dati 2024), quindi l’ordine di grandezza è quell’1-2% annuo del parco immobiliare – simile a quanto avviene già con le riqualificazioni spontanee e i bonus tradizionali. Dunque, il salto di qualità non c’è stato in proporzione alla spesa. Anzi, in futuro mancheranno le risorse per continuare la riqualificazione sul restante 95% di edifici, perché il budget pubblico è stato pesantemente assorbito. Con la stessa cifra, si lamenta, si sarebbero potuti interamente ricostruire da zero decine di migliaia di alloggi popolari NZEB (energia quasi zero) o installare gigawatt di rinnovabili, ottenendo benefici di gran lunga maggiori in termini di decarbonizzazione e crescita. Invece si è scelto un percorso poco efficiente. Ugo Spezia (analista economico) ha definito il Superbonus “un martello usato per svitare una vite”: uno strumento inadatto, sovradimensionato per lo scopo, che finisce per fare danni collaterali. Gli oppositori contestano anche l’efficacia reale dei lavori eseguiti. Molti interventi, fatti di fretta per rientrare nelle scadenze, potrebbero non durare a lungo o non rendere quanto previsto. Ad esempio, alcuni cappotti termici esterni presentano già muffe o problemi perché realizzati con materiali scadenti (complice l’aumento dei prezzi e la carenza di manodopera qualificata). Ci sono stati casi di lavori incompleti o lasciati a metà per il blocco dei fondi, che rischiano di vanificare la spesa fatta (edifici a metà dell’opera). Inoltre, incentivando tutti a partire contemporaneamente, si è creato un collo di bottiglia: non c’erano abbastanza aziende serie per soddisfare la domanda, e ciò ha favorito l’improvvisazione e l’aumento di cantieri di bassa qualità. Il risultato è che non sempre i benefici teorizzati (salti di due classi energetiche ecc.) verranno mantenuti nella realtà quotidiana e negli anni. Se un cappotto è applicato male, non isola come dovrebbe; se una caldaia a condensazione è sovradimensionata o regolata male, non rende a pieno.
Nina Celli, 29 novembre 2025