Il Superbonus ha incorporato anche il Sismabonus al 110%, puntando a rendere le abitazioni italiane più sicure in caso di terremoti. Questo aspetto viene talvolta trascurato, ma è fondamentale in un Paese come l’Italia, dove il rischio sismico è elevato e migliaia di edifici – spesso storici o costruiti con normative superate – risultano vulnerabili. Grazie al Superbonus, per la prima volta lo Stato ha coperto integralmente interventi di miglioramento antisismico: rinforzo di fondamenta e pilastri, installazione di dissipatori sismici, consolidamento di muri portanti. Interventi costosi, che raramente i privati affrontavano spontaneamente, sono stati realizzati in massa grazie all’incentivo. Secondo i dati del Ministero (MITE), oltre 46.000 cantieri Superbonus hanno riguardato lavori strutturali di riduzione del rischio sismico. Molti condomìni hanno abbinato il cappotto termico al rinforzo antisismico, sfruttando la detrazione massima. Interi quartieri, specialmente nell’Italia centrale e meridionale, sono oggi più sicuri: in caso di futuro terremoto, queste opere potrebbero salvare vite umane e prevenire crolli, riducendo anche la necessità di costose ricostruzioni post-sisma a carico dello Stato. Il PNRR e la Commissione Europea assegnavano al Superbonus anche un traguardo di messa in sicurezza sismica: almeno 3,8 milioni di m² di edifici residenziali consolidati strutturalmente entro il 2025. Già entro il 2023 erano stati completati lavori antisismici su 1,4 milioni di m², un risultato notevole per un Paese che spesso interviene solo dopo le tragedie. Ciò significa che migliaia di case, scuole, palazzi ora hanno una classe di rischio sismico inferiore (in molti casi passando da classe C/B a A), cioè, subiranno danni molto minori in caso di scosse. Questo approccio preventivo è un cambio di paradigma: l’Italia spende regolarmente miliardi per ricostruire dopo i terremoti (si pensi ai €30 mld stimati dopo il sisma del Centro Italia 2016-17). Investire una parte di quelle somme prima (in prevenzione) è economicamente saggio e moralmente doveroso. Il Superbonus lo ha reso possibile su larga scala: un territorio più resiliente, cittadini più protetti. Oltre al miglioramento sismico, l’incentivo ha promosso una rigenerazione del patrimonio edilizio a 360 gradi. Molti edifici italiani versavano in condizioni di degrado (facciate ammalorate, infiltrazioni, impianti obsoleti). Con i lavori trainati dal Superbonus, spesso si è proceduto anche a manutenzioni straordinarie che hanno riqualificato esteticamente e funzionalmente gli stabili. Interventi collaterali come il Bonus Facciate 90% (spesso usato in combinazione) hanno ridato decoro ai centri urbani: palazzi storici ripuliti, cappotti colorati al posto di muri anneriti. Piccoli borghi e periferie hanno cambiato volto grazie a questi interventi integrati, migliorando la qualità abitativa e anche il valore immobiliare. Secondo stime delle associazioni di categoria, gli immobili ristrutturati col Superbonus hanno visto aumentare il proprio valore di mercato mediamente del 3-5% (in alcuni casi fino al 10% per gli edifici passati in classe energetica A). Ciò significa arricchimento diffuso: famiglie che si ritrovano una casa che vale di più e costa meno di bollette, creando ricchezza patrimoniale netta per la classe media. Un altro punto di merito è l’adeguamento degli impianti: tante palazzine hanno colto l’occasione per rifare ex novo impianti elettrici, idraulici, ascensori, eliminando barriere architettoniche (bonus 75% per disabili abbinabile). Anche l’installazione massiccia di colonnine di ricarica per veicoli elettrici (anch’esse detraibili al 110% se trainate) è stata un effetto positivo: migliaia di condomìni ora dispongono di punti di ricarica privati, incentivando la mobilità elettrica. Insomma, il Superbonus ha innescato una riqualificazione integrata: energetica, strutturale e tecnologica. Questo genere di rinnovamento “deep retrofit” è esattamente ciò di cui ha bisogno il patrimonio edilizio italiano, tra i più vecchi d’Europa (età media edifici > 50 anni). I favorevoli fanno notare che per decenni lo Stato ha incentivato l’edilizia con bonus molto meno incisivi (50-65%) che però, in assenza di copertura totale, non hanno mai scatenato una trasformazione sistemica. Il 110% ha dimostrato che, quando l’incentivo è forte, i cittadini aderiscono in massa e il cambiamento avviene. Ora milioni di persone vivono in case non solo più efficienti, ma anche più sicure e confortevoli. Si pensi agli anziani proprietari che non potevano permettersi costosi consolidamenti: grazie al bonus hanno dormito sonni più tranquilli, sapendo di abitare in edifici meglio ancorati e rinforzati. In zone sismiche (Appennino, Sicilia, Friuli) interi condomìni sono scesi di una classe di rischio: in caso di scossa, meno danni strutturali e dunque meno paura e meno sfollati. Questo valore sociale è difficile da quantificare economicamente ma è innegabile. In sintesi, il Superbonus ha agito come un “restauro diffuso” del patrimonio immobiliare italiano: ne ha accresciuto la resilienza ai terremoti, prolungandone la vita utile, e ne ha migliorato le prestazioni (energetiche e non solo). Un patrimonio edilizio rinnovato significa anche città più moderne e competitive: basti pensare all’impatto sul turismo di borghi ristrutturati o sul benessere psicologico di vivere in un quartiere riqualificato. Per i sostenitori, questi benefici di lungo periodo – sicurezza, decoro, valorizzazione – sono parte integrante del lascito positivo del Superbonus, troppo spesso ignorati nel dibattito focalizzato solo sui numeri di bilancio. Investire nella casa degli italiani non è mai uno spreco, ma un volano di sviluppo sostenibile (sicurezza + ambiente) che aumenta la ricchezza reale del Paese.
Nina Celli, 29 novembre 2025