Un altro profilo fortemente critico del Superbonus è quello sociale e redistributivo. Secondo questa tesi, il 110% si è risolto in un enorme trasferimento di ricchezza dallo Stato (cioè dalla collettività) a una fascia relativamente benestante di proprietari immobiliari, senza alleviare le disuguaglianze: “ha preso ai poveri per dare ai ricchi”, invertendo la logica di progressività fiscale. I dati confermano uno sbilanciamento di classe nei beneficiari. Un’analisi de “lavoce.info” rivela che circa il 50% di tutti i crediti Superbonus è stato assorbito “dal 10% delle famiglie più ricche”. Questo 10% è composto da soggetti con alti redditi, cospicui patrimoni immobiliari (spesso seconde case) e piena capacità fiscale. Viceversa, la metà più povera della popolazione ha fruito di una quota minoritaria dei bonus, e molti tra i meno abbienti non hanno ottenuto nulla. Ciò è dovuto a vari fattori: i “beni meritevoli” di bonus (case di proprietà, magari unifamiliari) sono concentrati nelle fasce medio-alte; chi non possiede casa o vive in affitto era escluso in partenza; chi aveva redditi bassissimi (incapienti) all’inizio faticava a cedere il credito, perché banche e imprese cercavano committenti più solidi. Il risultato è che spesso il lavoratore precario in affitto ha finanziato – tramite debito pubblico – la ristrutturazione della villetta al mare di un pensionato d’oro o la cappottatura della palazzina di un professionista benestante. Non esattamente un intervento equo. La geografia del bonus accentua questo divario. Regioni ricche del Nord (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) hanno fatto la parte del leone nelle richieste di Superbonus, mentre al Sud – dove si concentrano i casi di povertà energetica (famiglie che non possono permettersi riscaldamento) – l’utilizzo è stato inferiore. Ad esempio, la Calabria, una delle regioni con più basso reddito medio e maggior bisogno di riqualificazione, ha visto pochi interventi rispetto alla popolosa e benestante Lombardia. Le cause: al Sud molte abitazioni sono abusive o con situazioni catastali irregolari (quindi non accessibili al bonus), inoltre la minor diffusione di imprese strutturate ha rallentato l’offerta di lavori. Ma il risultato resta: chi vive nelle case peggiori (fredde, umide, insicure) paradossalmente è rimasto fuori dal Superbonus, mentre chi già aveva case di proprietà ha potuto migliorarle a costo zero. Questo rischia di ampliare il divario: oggi chi ha usufruito del 110% si ritrova con bollette più basse e un immobile di classe A che vale di più; chi non ha potuto accedervi continua a vivere in case di classe G, con spese energetiche alte e minor comfort. In altre parole, il bonus ha creato “vincitori e vinti”. E i vincitori sono in gran parte i proprietari immobiliari più agiati. Non stupisce che Meloni abbia definito il Superbonus un provvedimento “a vantaggio dei più abbienti”, sottolineando come a pagare siano tutti i contribuenti mentre a guadagnare sono stati in pochi. Anche personalità insospettabili come l’ex ministro Enrico Giovannini (tecnico di area progressista) hanno riconosciuto che la misura era “regressiva” nella sua distribuzione dei benefici, esprimendo perplessità fin dal 2020. Un ulteriore elemento di iniquità sta nel meccanismo del credito d’imposta cedibile: in teoria doveva favorire chi non aveva liquidità (potendo cedere il credito alla banca o fare sconto in fattura). In pratica, dopo una prima fase, molte banche hanno ridotto le acquisizioni di crediti e i piccoli risparmiatori incapienti sono rimasti impigliati. Sono emersi casi di famiglie meno abbienti bloccate: ad esempio persone che hanno avviato i lavori convinte di cedere il credito ma si sono trovate con il cantiere a metà perché nessuno comprava più il loro credito fiscale (dopo il blocco di febbraio 2023). Paradossalmente, chi aveva più risorse o potere contrattuale è riuscito a monetizzare i crediti (anche a costo scontato), mentre piccole imprese artigiane e clienti meno solidi hanno accumulato crediti incagliati per milioni. Questo ha richiesto un intervento pubblico ulteriore (il governo ha dovuto trovare soluzioni per sbloccare i crediti, coinvolgendo Poste e concedendo spazi fiscali). Tutto ciò aggiunge elementi di ingiustizia: i grandi general contractor e le banche hanno comunque realizzato margini nel ciclo iniziale, mentre i soggetti più deboli hanno rischiato il dissesto quando la musica è cambiata. Dal punto di vista etico-sociale, i contrari ritengono inaccettabile l’idea di aver finanziato con soldi pubblici la patrimonializzazione privata su larga scala. A differenza di una scuola o un ospedale (beni comuni), qui lo Stato ha ristrutturato beni privati, accrescendo il valore di proprietà individuali. In molti casi il beneficiario del bonus è diventato più ricco (perché la sua casa vale di più sul mercato) senza aver investito nulla di proprio; anzi spesso lucrando, se si considera che il bonus copriva il 110% e quindi molti hanno ottenuto lavori gratuiti e pure un 10% extra a loro favore. Questo configura una rendita paradossale: socializzazione dei costi, privatizzazione dei profitti. Un trasferimento netto di ricchezza pubblica ai proprietari immobiliari (categoria notoriamente già più benestante della media, in Italia). Carlo Cottarelli ha evidenziato proprio questo aspetto: “si esagera quando si apre l’accesso a un bonus generosissimo indipendentemente dalle condizioni economiche”, con la conseguenza che a beneficiarne sono famiglie senza difficoltà economiche. E si esagera – aggiunge – quando per dare 120 mld all’edilizia si tolgono risorse ad altri settori cruciali. Questo rende il Superbonus una politica non solidale e non in linea coi principi costituzionali di equità fiscale. I detrattori rimarcano anche la percezione di ingiustizia generata nella popolazione. Chi per senso civico o impossibilità non ha partecipato ai bonus può sentirsi giustamente penalizzato: ha visto il vicino rifarsi casa gratis mentre lui magari non ha avuto alcun aiuto (si pensi a inquilini in affitto in case non ristrutturate – pagano affitti e bollette alte). Oppure alle giovani coppie che faticano ad acquistare la prima casa: il mercato immobiliare è stato drogato dal bonus (prezzi e costi su, pochi appartamenti in vendita perché conviene tenerseli e ristrutturarli gratis), rendendo per loro ancora più arduo trovare casa. C’è quindi un tema di generazioni: i più giovani (con meno proprietà) hanno ottenuto briciole, i più anziani proprietari hanno avuto la torta.
Nina Celli, 29 novembre 2025