Un’altra grave preoccupazione espressa dagli oppositori di Milei riguarda la retromarcia sui diritti umani, civili e di inclusione che il suo governo sta attuando. Gli ultimi anni avevano visto l’Argentina compiere passi avanti storici su vari fronti di diritti: dalla legalizzazione dell’aborto nel 2020 alle politiche a favore della parità di genere, dal riconoscimento dei diritti LGBT+ ai programmi contro la violenza domestica. L’arrivo di Milei, con la sua ideologia ultraconservatrice, rischia di cancellare queste conquiste e riportare indietro il Paese di decenni. In primis il diritto all’aborto sicuro e legale: Milei ha più volte definito l’interruzione di gravidanza un “omicidio abominevole” e promesso un plebiscito per abrogare la legge che lo consente fino a 14 settimane. Anche se tale referendum non è ancora stato convocato, di fatto il governo ha già reso l’aborto molto meno accessibile. Come documentato da Amnesty, il Ministero della Salute nel 2024 non ha acquistato alcuna scorta di pillole abortive da distribuire negli ospedali pubblici, scaricando la responsabilità sulle province, molte delle quali non hanno i fondi o la volontà politica di farlo. Il risultato è che in più della metà delle province argentine le donne che necessitano di un aborto farmacologico non trovano i medicinali negli ospedali e devono procurarseli a proprie spese (fino a 160 dollari, cifra proibitiva per le fasce povere). Questo torna a spingere l’aborto nella clandestinità, con rischi di morti e complicanze che la legge del 2020 mirava ad evitare. I dati pre-legalizzazione erano tragici: centinaia di donne morivano ogni anno per aborti insicuri. Amnesty e altre ONG avvertono che quei numeri potrebbero risalire, vanificando il progresso di aver ridotto del 53% i decessi materni da aborto nei 5 anni post-legalizzazione. Il governo Milei appare sordo a questi appelli e anzi rivendica di non voler spendere soldi pubblici per fornire aborti, riflettendo un approccio ideologico e punitivo verso le donne che scelgono di interrompere la gravidanza. Parallelamente, Milei ha smantellato gli organi dedicati alle politiche di genere e antidiscriminatorie. Ha chiuso il Ministero delle Donne, considerato da lui “inutile” e fondato su un’ideologia che odia, definendo il femminismo “spazzatura socialista”. Ha anche depotenziato l’INADI, l’istituto contro la discriminazione, licenziandone la presidente e tagliandone i fondi. Questo lancia un segnale pericoloso: che la tutela delle minoranze e la promozione della parità non sono più priorità dello Stato. Già si vedono i primi effetti: casi di violenza di genere in aumento, con meno risorse per i centri antiviolenza (finanziati dallo Stato in misura quasi nulla nel 2024); un discorso pubblico che legittima atteggiamenti misogini. Milei stesso al WEF di Davos 2025 ha affermato che femminismo e ideologia di genere sono “virus mentali” che servono solo ad espandere lo Stato. Dichiarazioni del genere, provenienti dal Capo dello Stato, possono incoraggiare comportamenti discriminatori e violenti. Non a caso, attivisti segnalano un crescendo di discorsi d’odio online contro donne e comunità LGBT dall’inizio della presidenza Milei. Sul fronte LGBT+, l’Argentina era uno dei Paesi più avanzati (matrimonio egualitario dal 2010, legge identità di genere 2012). Ora teme un arretramento: Milei ha criticato leggi come le quote transgender nel settore pubblico e il suo governo ha proposto di vietare qualsiasi quota o misura proattiva per minoranze (con il paradosso di chiamarla “legge sull’eguaglianza davanti alla legge”). Questo approccio ignora la discriminazione strutturale esistente e rischia di escludere ancora di più gruppi storicamente marginalizzati. Inoltre, Milei ha più volte fatto affermazioni omofobe, equiparando nelle sue invettive l’omosessualità a devianze: in un comizio, ha parlato di “omosessuali che adottano bambini per abusarne”, affermazione smentita e orripilante che è stata condannata anche da esponenti del suo stesso schieramento (come Ferraro, deputato gay del suo alleato di coalizione). Questa retorica stigmatizzante può innescare violenza: HRW ricorda che nel maggio 2024 tre donne lesbiche sono state uccise in un ostello a Buenos Aires, un crimine d’odio ricollegato al clima di crescente intolleranza. Altro segnale allarmante è che l’Argentina di Milei è stato l’unico Paese del G20 a non sottoscrivere la dichiarazione sull’uguaglianza di genere nell’ottobre 2025, isolandosi dalle democrazie su questo tema. Gli oppositori denunciano poi il revisionismo storico e il pericolo per i diritti umani di ieri e di oggi. Milei e soprattutto la sua vice Villarruel hanno minimizzato i crimini della dittatura militare (1976-83), spostando l’attenzione sulle vittime della guerriglia di sinistra. Se è legittimo ricordare tutti i morti, l’intento percepito è quello di riscrivere la storia equiparando terrorismo di Stato e violenze rivoluzionarie, e così facendo indebolire l’architettura dei diritti umani costruita dal ritorno alla democrazia. Non sorprende che il governo abbia smesso di finanziare molti progetti di memoria (la citata vicenda dei siti di tortura), e che personaggi vicini a Milei abbiano evocato la necessità di “finire il lavoro iniziato nel 1976”. Le organizzazioni dei diritti umani (Madres de Plaza de Mayo, Abuelas, CELS) sono costrette di nuovo a mobilitarsi come nei decenni bui, sentendo minacciate verità e giustizia faticosamente affermate. Per il fronte contro, quindi, il governo Milei sta alienando l’Argentina dal consesso delle democrazie progressiste: smantella politiche di uguaglianza e tutela delle minoranze che erano patrimonio comune di molte nazioni occidentali e abbraccia un’agenda reazionaria più vicina a regimi illiberali. Ciò non solo tradisce i principi della Costituzione (che tutela i diritti umani e la non discriminazione), ma rischia di avere ricadute interne gravissime: più violenza di genere, più odio omofobo, più divisioni sociali. Le affermazioni di Milei su femminismo e diritti LGBT costituiscono quasi un incoraggiamento implicito alla discriminazione, come sottolinea l’ex presidente del Comitato INADI (Instituto Nacional Contra la Discriminacion, la Xenofobia y el Racismo): “il linguaggio di Milei è un lasciapassare affinché uomini violenti si sentano autorizzati, uno sdoganamento della misoginia e dell’omofobia”. I critici avvertono che smantellare decenni di progresso civile è pericoloso e anacronistico: in un mondo che va avanti su parità e inclusione, l’Argentina di Milei sta tornando indietro, con costi umani che potrebbero essere altissimi.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025