Secondo questa tesi, “la guerra è finita” perché la sua dimensione strettamente militare si è esaurita. Dopo due anni di combattimenti, l’apparato di Hamas a Gaza è stato profondamente colpito: tunnel distrutti, arsenali decimati, catena di comando indebolita. La capacità del movimento di organizzare un’operazione paragonabile al 7 ottobre 2023 è oggi considerata molto ridotta. Non si registrano più lanci massicci di razzi né incursioni oltre confine e l’esercito israeliano ha cessato le grandi offensive di terra. In questo senso, la guerra intesa come confronto armato simmetrico tra due soggetti organizzati può dirsi terminata. I sostenitori fanno leva sulla distinzione secondo cui il fatto che vi siano ancora episodi di violenza non significa che si sia in guerra aperta. In molte situazioni post-belliche esistono incidenti di frontiera, operazioni mirate, tensioni locali, ma questo non inficia il riconoscimento della fine del conflitto principale. Così, anche a Gaza, eventuali raid o colpi isolati vengono letti come azioni di sicurezza di “bassa intensità”, non più come parte di una campagna militare su vasta scala. Il fatto che le forze israeliane non cerchino più di occupare l’intera Striscia e che Hamas non lanci più offensiva generalizzata viene interpretato come il segnale chiave che la fase bellica si è chiusa. Un altro pilastro di questa tesi è la percezione collettiva in Israele: la liberazione degli ostaggi, l’annuncio solenne della fine delle operazioni di grande portata e il passaggio del discorso pubblico dalla “guerra” alla “ricostruzione” hanno prodotto un senso diffuso di fine di un capitolo storico. Le cerimonie ufficiali, le dichiarazioni politiche e la copertura mediatica parlano ormai di “dopoguerra”, con attenzione rivolta al reinserimento degli ostaggi, al sostegno alle famiglie colpite, alle indagini sulle falle di sicurezza del 7 ottobre. In altre parole, il baricentro narrativo è passato dal fronte al “fronte interno”. Questa tesi appoggia su un criterio pragmatico: la guerra finisce quando le parti accettano che l’obiettivo militare è stato raggiunto. Israele ritiene di aver ristabilito un certo livello di deterrenza; Hamas, pur non dichiarandosi sconfitto, ha accettato un cessate il fuoco a tempo indeterminato e condizioni che in altri momenti avrebbe respinto. La prosecuzione dello scontro, per entrambi, comporterebbe costi enormi a fronte di benefici incerti. Per i favorevoli, è proprio questa convergenza di interessi a sancire la chiusura della guerra: ciò che resta sono negoziati, traumi, rancori, ma non più una campagna bellica attiva.
Madeleine Maresca, 22 novembre 2025