Un ultimo filone argomentativo contrario enfatizza il contesto italiano di tassazione già molto alta e la questione del principio di evitare una doppia imposizione. L’Italia è notoriamente tra i Paesi europei con pressione fiscale più elevata, attorno al 43% del PIL. Secondo gli oppositori, introdurre un nuovo tributo patrimoniale equivarrebbe a dare un segnale di “tassazione senza fine”, alimentando un sentimento di esasperazione in contribuenti che già versano una quota consistente del proprio reddito allo Stato. Questo potrebbe minare ulteriormente la fiducia nel fisco e incentivare comportamenti elusivi o emigratori. La patrimoniale sarebbe percepita come l’ennesimo balzello in un “inferno fiscale” dove chi produce ricchezza è costantemente tartassato: narrazione su cui la destra fa leva definendola una “tassa ideologica” di una sinistra che sa solo aumentare le tasse. Un concetto chiave espresso ad esempio da Carlo Cottarelli è quello della doppia imposizione: “la ricchezza è frutto di un risparmio, che è frutto di un reddito già tassato una volta. Quindi si tasserebbe due volte lo stesso reddito”. Chi oggi possiede un patrimonio (case, azioni, liquidità) in larga parte lo ha accumulato tramite redditi che nel corso degli anni hanno scontato IRPEF, IRES, IVA ecc. Una patrimoniale andrebbe quindi a colpire risorse post-fisco, e ciò è considerato da molti intrinsecamente iniquo. Questo punisce indirettamente il comportamento virtuoso del risparmio. Il risparmio privato in Italia ha inoltre una valenza culturale e costituzionale: l’art.47 della Costituzione incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Serena Sileoni richiama proprio questo per sostenere che una patrimoniale, specie su immobili (spesso frutto di risparmi di una vita), rischia di violare lo spirito costituzionale e rompere un patto implicito con i cittadini. La casa e il conto in banca sono percepiti come un cuscinetto di sicurezza per il futuro: tassarli straordinariamente appare, agli occhi di molti italiani, come atto ostile e predatorio da parte dello Stato, quasi un esproprio. Questo ricordo è vivido dal 1992: il prelievo forzoso di Amato (6 per mille notturno) fu vissuto come un tradimento e ancora oggi il solo termine “patrimoniale” evoca quella ferita. “Panorama” ha definito quell’episodio “una rapina storica” e rileva come ancora oggi rimanga in parte segreto (verbali secretati) alimentando la diffidenza. Dunque, la resistenza psicologica e politica a una nuova patrimoniale è fortissima: significherebbe, per molti italiani, che i loro risparmi non sono mai al sicuro dall’ingerenza del fisco. Per questo anche partiti di sinistra moderata rifuggono dal termine: come notato, la segreteria PD preferisce parlare di tasse sulle rendite o “contributo europeo sui miliardari”, proprio perché “guai a parlare di patrimoniale”. C’è il timore di alienarsi il voto del ceto medio e di riproporre l’incubo degli anni ’90. I critici sottolineano che, per quanto oggi si prometta che colpirebbe solo l’1% super-ricco, una patrimoniale rischia nel tempo di scendere come soglia o comunque di avere effetti a cascata sul valore degli asset posseduti anche dal ceto medio (ad esempio, se una patrimoniale fa calare i valori immobiliari, a rimetterci è anche la famiglia media proprietaria di casa). Inoltre, c’è il timore che sia l’inizio di una “china tassatoria”: oggi 1% sui ricchissimi, domani magari 2% su un po’ meno ricchi ecc. Chi possiede un patrimonio di qualche milione, magari frutto della vendita di un’attività dopo una vita di lavoro, si chiede se diverrebbe il prossimo bersaglio. Questi dubbi alimentano un sentimento di insicurezza che mal si concilia con la stabilità economica: Matilde Siracusano (Forza Italia) ha detto che “sentir parlare di patrimoniale mi fa venire i brividi. In Italia la pressione fiscale è già opprimente”, evidenziando come l’azione del governo invece punti all’opposto: flat tax e riduzione del carico su famiglie, lavoratori e imprese. Se un contribuente percepisce di essere già tartassato, la minaccia di un’ulteriore tassa sul patrimonio può portarlo all’esasperazione fiscale: maggiore evasione (cercare di occultare patrimoni anticipatamente), disinvestire dall’Italia, o nel caso di imprese ridurre attività e occupazione per accumulare meno (per evitare di essere tassato sul capitale). Giuseppe Conte, pur leader progressista, ha detto chiaramente: “non è all’ordine del giorno”, dando da intendere che parlare di patrimoniale è un suicidio politico oltre che inutile economicamente. Un’altra critica spesso mossa è che la patrimoniale colpisce indiscriminatamente il valore del patrimonio lordo, e ciò può generare ingiustizie perché non tiene conto delle passività. Ad esempio, una casa vale 500k euro, ma il proprietario ha ancora un mutuo di 300k: il suo patrimonio netto reale è 200k, però formalmente potrebbe ricadere in una fascia tassabile. Oppure, un imprenditore può avere beni aziendali ingenti ma anche debiti correlati. Una patrimoniale mal calibrata rischierebbe di colpire il “frutto dei risparmi” senza considerare eventuali indebitamenti e oneri in essere. Già l’IMU sulla seconda casa è percepita come ingiusta da molti piccoli proprietari, figurarsi una tassa aggiuntiva su tutto il patrimonio mobiliare e immobiliare. Non c’è giustificazione sufficiente per introdurre una nuova tassa generale in un Paese che ha pressione fiscale altissima e un sistema che già strappa oltre 40 centesimi di ogni euro prodotto. Servirebbe semmai una riforma per razionalizzare le tasse, non per aggiungerne. L’appello è piuttosto a tagliare gli sprechi e riformare la spesa pubblica: Nicola Rossi sostiene che qualunque governo dovrebbe prima “aggredire la spesa” e fare scelte difficili su tagli, invece di trovare la scorciatoia di prendere altri soldi dai cittadini. Senza questo lavoro a monte, la patrimoniale apparirebbe solo come “mettere nuove tasse per non toccare la spesa”, un segnale di resa della politica di fronte ai veri problemi. Come dice Rossi, “il regno dell’irresponsabilità della politica” è fissare il livello di spesa e poi definire le tasse per coprirla; lui propone il contrario: decidere quante tasse complessivamente i cittadini possono sopportare (in Italia già tante) e su quella base limitare la spesa. Inserirsi con un’ennesima imposta romperebbe questa logica, scaricando ancora sul contribuente finale. Spesso chi invoca la patrimoniale dice che colpirà “i super ricchi”, ma poi finisce per tartassare quello che la Lega chiama il “ceto medio risparmiatore”. Non a caso, persino un esponente di sinistra come Piero De Luca (PD) ha tenuto a specificare: “il PD non ha presentato nessuna proposta di patrimoniale”, sottolineando invece che le vere patrimoniali sono state quelle del governo di destra con la sua pressione fiscale record. Questo riflette il timore che la narrazione anti-patrimoniale abbia presa sull’elettorato medio, convincendo che la sinistra voglia “mettere le mani nei conti” degli italiani onesti. Un rischio politico enorme che inficia la praticabilità della misura.
Nina Celli, 20 novembre 2025