Un ulteriore argomento a favore riguarda la capacità della patrimoniale di rendere più progressivo e razionale l’intero sistema tributario italiano, colpendo aree di ricchezza oggi sotto-tassate o occultate. Molti osservatori notano che il nostro fisco è paradossalmente meno gravoso, in proporzione, per chi ha redditi da capitale elevati rispetto a chi vive di solo lavoro. Ad esempio, il “Corriere della Sera” ha riportato un’analisi secondo cui il sistema italiano risulta “tra i più regressivi”: le aliquote effettive sui redditi da capitale (dividendi, rendite finanziarie) sono più basse di quelle sui redditi da lavoro e ciò avvantaggia proprio il 7% più ricco della popolazione. In pratica, attualmente chi genera grandi profitti finanziari spesso riesce a pagarci il 26% fisso (o anche meno con pianificazioni) mentre un normale professionista può arrivare al 43% di IRPEF sul suo reddito. Una patrimoniale servirebbe proprio a riequilibrare questo squilibrio. Tassare il patrimonio netto di una persona (ossia l’insieme di beni e investimenti detenuti) integra infatti l’approccio classico basato sui redditi annuali dichiarati e consente di intercettare chi gode di ricchezza al di là di un reddito eventualmente modesto o ben ottimizzato fiscalmente. Un caso tipico è quello dei grandi patrimoni ereditati o frutto di capital gain tassati poco: un miliardario può dichiarare “ufficialmente” un reddito modesto (stipendio, cedole) e vivere di incrementi patrimoniali, pagando poche tasse; una patrimoniale lo obbligherebbe a contribuire di più in base alla ricchezza reale posseduta. Questo migliora la progressività complessiva del sistema: come afferma la Costituzione, si deve concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva e il patrimonio è chiaramente una dimensione della capacità economica. Ernesto Ruffini, ex capo dell’Agenzia Entrate, pur scettico su patrimoniali “spot”, ha evidenziato un dato imbarazzante: in Italia “redditi del ceto medio, da 50.000 euro, sono colpiti con la stessa aliquota di redditi milionari”, segno che il sistema attuale non è progressivo ai livelli alti. Ciò è dovuto ai vari scaglioni esauriti e al fatto che redditi molto alti spesso provengono da capitale (in regime di flat tax). Una patrimoniale permanente sui super-ricchi o un forte aumento delle imposte di successione sui grandi patrimoni ripristinerebbe la logica per cui chi sta all’apice della piramide paga di più non solo in valore assoluto ma anche in percentuale, come avviene invece per i redditi medi. Un altro aspetto fondamentale è il contrasto all’evasione e all’illegalità. Una certa parte della grande ricchezza in Italia, si sospetta, deriva da evasione fiscale pregressa, proventi illeciti o economia sommersa. Una patrimoniale ben progettata potrebbe stanare queste ricchezze incongrue. L’Associazione ARDeP, ad esempio, propone di tassare solo i patrimoni “di cui non è possibile dimostrare la provenienza lecita”: in pratica incrociando il patrimonio accumulato con i redditi dichiarati nel corso del tempo, si individua la quota che non trova giustificazione (spesso frutto di nero) e la si colpisce. Questo funzionerebbe come un potente incentivo all’emersione: chi negli anni ha occultato redditi all’estero o in attività fittizie sarebbe spinto a regolarizzarli prima di incorrere nel prelievo. Il messaggio sarebbe che il tempo dell’impunità fiscale per i grandi evasori è finito. Anche in assenza di formule così selettive, la patrimoniale in generale crea un’anagrafe patrimoniale che aiuta il fisco a mappare ricchezze e possedimenti, rendendo più difficile nasconderli. Vale pure per i beni di lusso: oggi c’è chi possiede yacht, gioielli, opere d’arte di immenso valore contribuendo poco al fisco; una patrimoniale costringerebbe a dichiarare anche quei cespiti, pena sanzioni severe. La prospettiva di dover pagare una tassa annuale su questi beni potrebbe spingere ad esempio a vendere quelli acquisiti con soldi non dichiarati (facendo emergere capitali). Insomma, da strumento statico di gettito la patrimoniale può trasformarsi in dinamico strumento di compliance fiscale e di moral suasion verso i contribuenti più ricchi, perché li costringe a mettere sul tavolo il quadro reale delle loro finanze. L’Italia già applica imposte patrimoniali settoriali (le cosiddette “patrimonialine”): dieci diverse voci, dall’IMU al bollo auto al canone RAI, generano entrate non trascurabili. Tuttavia, questi micro-tributi colpiscono anche patrimoni medio-piccoli (come la seconda casa di valore modesto) e non affrontano il cuore del problema: i grandi agglomerati di ricchezza finanziaria. Con una patrimoniale generale sui multimilionari, si potrebbe sostituire o ridurre alcune di queste micro-imposte, razionalizzando il sistema. Ad esempio, c’è chi propone di eliminare l’IMU sulla prima casa e l’imposta di bollo sui conti correnti in cambio di una patrimoniale personale sopra una certa soglia. Questo renderebbe il sistema più semplice e mirato. Infine, un elemento di correzione di distorsione riguarda le rendite parassitarie. Secondo alcuni economisti, se una persona è ricca grazie a posizioni monopolistiche o eredità, tassarne la ricchezza non provoca danni ma anzi migliora l’efficienza allocativa (riduce incentivi a mantenere asset improduttivi). La ricerca citata da Bisin e Cremonini mostra che se i super-profitti dei ricchi riflettono soprattutto rendite e non creazione di valore, una wealth tax può perfino aumentare la produttività aggregata spostando capitali verso usi più produttivi. In altri termini, se un miliardario guadagna da posizioni di rendita (affitti da grandi immobili, royalties ecc.), tassarlo lo spinge a investire meglio o a mettere in circolo quei capitali piuttosto che tenerli immobilizzati. Maurizio Landini insiste molto su questo concetto di riequilibrio strutturale: a suo dire, in Italia negli ultimi decenni è aumentata la quota di ricchezza indipendente dal lavoro, e “non si può continuare a far finta che non sia un problema centrale”. Bisogna “cambiare un sistema fiscale che favorisce questo processo”. In altre parole, per i sostenitori la patrimoniale è anche un modo per orientare l’economia verso una maggiore meritocrazia e produttività: premiare chi genera reddito con il proprio lavoro e impresa e tassare invece la ricchezza derivante da accumuli pregressi o rendite. Con effetti virtuosi anche sul piano etico-civile: un fisco percepito come più equo (dove i furbi e gli enormemente ricchi finalmente pagano la loro parte) migliora la fedeltà fiscale di tutti e rafforza il patto sociale. Perciò i pro-patrimoniale sostengono che questa imposta, lungi dall’essere uno strumento “antiricchezza”, è in realtà pro-sistema: rendendo le regole uguali per tutti, aumenta la fiducia e diminuisce quell’alone di ingiustizia che alimenta evasione e conflitto sociale.
Nina Celli, 20 novembre 2025