I sostenitori della patrimoniale sottolineano che l’Italia non sarebbe un caso isolato: esiste un movimento internazionale verso una maggiore tassazione delle grandi ricchezze e una misura coordinata in ambito europeo ridurrebbe i rischi di fuga di capitali, massimizzando al contempo l’efficacia redistributiva. La leader PD Elly Schlein ha affermato di essere “a favore di una tassazione europea” sui milionari e miliardari, proprio perché i capitali “viaggiano molto più velocemente delle persone” e una soluzione sovranazionale garantirebbe uniformità ed equità. Questa posizione riflette il lavoro di economisti come Gabriel Zucman, che nel marzo 2025 (Osservatorio Fiscale Europeo) hanno proposto un modello di “patrimoniale europea” sui super-ricchi: si ipotizza un prelievo tra il 2% e il 3% per patrimoni eccezionalmente elevati (sopra i 100 milioni o 1 miliardo di euro). Tale imposta, se applicata uniformemente in UE, potrebbe raccogliere cifre ingenti (uno studio stima ~67 miliardi di euro l’anno con un’aliquota 2% sui miliardari europei). In pratica, argomentano i fautori, i grandi patrimoni sono ormai fenomeno transnazionale e vanno affrontati con politiche fiscali condivise: un ricco contribuente non avrebbe incentivo a spostare la residenza se trova regole simili in tutti i Paesi dell’Unione. L’armonizzazione renderebbe la tassazione più efficace e stabile. Del resto, già oggi alcune nazioni europee adottano patrimoniali significative: la Norvegia (pur fuori dall’UE) preleva lo ~1,1% annuo sui patrimoni oltre circa 150mila €; la Spagna ha un’imposta progressiva che arriva al 3,5% oltre i 10 milioni €, più una sovrattassa di solidarietà statale per i più ricchi introdotta di recente. Perché l’Italia dovrebbe essere da meno, soprattutto se coordinasse i suoi passi con questi paesi? I sostenitori segnalano che esiste già un quadro di cooperazione fiscale internazionale in evoluzione: il G20 Finanze 2024, sotto presidenza brasiliana, ha ufficialmente riconosciuto la necessità di meccanismi più progressivi di tassazione globale dei ricchi. Questo implica che un consenso politico mondiale sul tema sta emergendo, simile a quello che ha portato all’accordo OCSE sulla minimum tax alle multinazionali. Proporre una patrimoniale in Italia, dunque, non è affatto uno scatto isolato anti-impresa, ma si inserisce in un trend verso una “global wealth tax” di cui parlano premi Nobel e centri studi. L’economista Thomas Piketty – tra i primi a lanciare l’idea di un’imposta globale progressiva sulla ricchezza – ha spesso ribadito che, se coordinata internazionalmente, una wealth tax potrebbe raggiungere traguardi ridistributivi impensabili per le singole nazioni, creando un circolo virtuoso di investimenti in beni pubblici globali (lotta al cambiamento climatico, piani di sviluppo sostenibile ecc.). In attesa di schemi globali, l’Unione Europea è il livello adeguato per iniziare: Schlein e altre forze progressiste europee premono affinché Bruxelles consideri un’iniziativa comune, se non altro per evitare concorrenza fiscale interna. Sul fronte interno, si fa notare che l’Italia ha già normative che attraggono i ricchi stranieri (la flat tax da 100-150.000 € per nuovi residenti facoltosi), ma ciò non esclude che parallelamente possa chiedere un contributo ai propri ultraricchi. Anzi, alcuni sostengono che un accordo europeo sulla patrimoniale renderebbe obsoleti questi regimi di favore, stabilizzando il gettito e impedendo arbitraggi. Inoltre, il confronto internazionale smonta l’idea che una patrimoniale sia “una follia da cui tutti scappano”: in Svizzera esiste da decenni a livello cantonale, eppure la Svizzera attrae capitali; la Francia, pur avendo ridotto la propria impôt sur la fortune nel 2018, sta seriamente dibattendo una sua reintroduzione mirata ai miliardari, segno che la questione è aperta anche in economie avanzate (e alcuni miliardari patriottici francesi, come l’imprenditore Stéphane Distinguin, hanno pubblicamente dichiarato di volere una patrimoniale per contribuire al Paese). Gli assertori italiani citano pure il caso della Spagna come esempio politico: la manovra spagnola 2023 ha alzato le tasse ai redditi alti e varato la patrimoniale di solidarietà sulle grandi fortune, mostrando che “si può fare” senza cataclismi economici. Maurizio Landini ha enfatizzato che “in Spagna stanno facendo qualcosa di sinistra” e che l’Italia dovrebbe seguirne l’esempio. Questa armonia con modelli stranieri serve anche come argomento “difensivo”: se investitori volessero abbandonare l’Italia per sfuggire alla patrimoniale, dove andrebbero se misure analoghe esistono o stanno arrivando altrove? L’imposizione omogenea eviterebbe le cosiddette “race to the bottom” (gare a chi tassa meno i ricchi). Dunque, la patrimoniale, da attuare preferibilmente in un quadro comune europeo, sarebbe uno strumento di giustizia fiscale globale: recuperare risorse da chi spesso contribuisce meno di quanto dovrebbe, data la facilità con cui sfrutta regimi di favore e paradisi fiscali. E su questo orizzonte sovranazionale vi è ormai consapevolezza: il FMI stesso, pur non entusiasta delle patrimoniali generalizzate, ammette che c’è margine per far pagare di più i ricchissimi, ad esempio eliminando sacche di elusione sui capital gain e introducendo exit tax per chi emigra. La patrimoniale può essere vista come parte di questo pacchetto di riforme internazionali volte a garantire che i “Paperoni” contribuiscano almeno quanto gli altri gruppi sociali. Per i proponenti, insomma, tassare la ricchezza (coordinandosi con gli alleati) non è estremismo, ma semplice aggiornamento del patto fiscale democratico ai tempi della globalizzazione finanziaria.
Nina Celli, 20 novembre 2025