Uno degli argomenti più forti contro la patrimoniale è di carattere pragmatico: nel mondo globalizzato, i grandi patrimoni sono altamente mobili e assistiti da consulenti fiscali raffinati, per cui un Paese che introducesse una tassa del genere rischierebbe di non riuscire a coglierne il gettito, vedendoli semplicemente fuggire altrove o essere schermati con espedienti legali. La storia recente fornisce esempi eloquenti. In Francia, quando nel 2012 il governo Hollande aumentò la tassazione sui più ricchi, l’uomo più facoltoso del Paese, Bernard Arnault, tentò di trasferire la propria residenza in Belgio, scatenando polemiche patriottiche. Oggi, di fronte alla nuova proposta di Zucman (2% sopra 100 milioni), Arnault ha esplicitamente dichiarato che, se passasse sarebbe “mortale per l’economia” e che lui stesso potrebbe andarsene, togliendo allo Stato centinaia di milioni di entrate tributarie. Non è solo una minaccia astratta: dati del Henley Wealth Migration Report indicano che nel 2024 ben 128.000 milionari hanno cambiato paese (nuovo record), e che la Francia tra il 2000 e il 2017 ha perso circa 60.000 milionari, in buona parte a causa della vecchia patrimoniale. Questo trend prosegue e rischia di accelerare se Parigi inasprisce la tassazione sui ricchi. Ma “Parigi’s loss” può essere “Milano’s gain”: l’Italia stessa si è posizionata per attirare questi capitali in fuga, ad esempio con la flat tax per “non dom” (200mila € annui forfettari per ricconi stranieri residenti). Secondo il “Corriere”, quasi 4.000 individui alto-patrimonializzati hanno già optato per trasferirsi in Italia sfruttando questa agevolazione, portando qui ricchezza che spende su immobili di lusso, scuole private ecc. È ovvio cACAChe, se l’Italia introducesse una patrimoniale aggressiva, invertirebbe questo flusso: non solo smetterebbe di attirare milionari esteri, ma probabilmente vedrebbe scappare i propri. Per gli oppositori, è una forma di suicidio competitivo imporre unilateralmente una tassa patrimoniale in assenza di analoga volontà negli altri Paesi: si rischia di perdere i “big spender”, i cervelli e i capitali verso destinazioni più accoglienti. L’OCSE ha evidenziato che i super-ricchi possono facilmente utilizzare tax havens, trust, fondazioni e altri strumenti per celare la propria ricchezza. Ad esempio, creare holding in Paesi a bassa fiscalità e trasferirvi azioni e asset, oppure convertire il patrimonio in forme difficilmente tassabili (arte, criptovalute, diamanti) e custodirle offshore. La conseguenza è che spesso le patrimoniali realizzate in passato hanno raccolto molto meno del previsto: i patrimoni dichiarati scendono drasticamente perché i più facoltosi trovano vie di elusione. “Lavoce.info” ricorda il caso della Svezia: un aumento dell’aliquota patrimoniale di 1 punto portò a un calo del 43% nella ricchezza dichiarata in pochi anni, segno che i ricchi reagirono spostando soldi altrove o dichiarando di meno (vendendo o occultando beni). Questo fenomeno può rendere quasi inutile l’imposta: se un miliardario trasferisce residenza nel giro di una notte a Montecarlo, l’Italia non vedrà un euro, anzi perderà pure quanto quel soggetto pagava prima in altre imposte. Anche all’interno dell’UE vi sono opportunità di arbitraggio fiscale: Svizzera (non UE ma in Europa) e UK sono mete storiche di rifugio per grandi patrimoni (la Svizzera ha attratto numerosi milionari norvegesi scontenti della wealth tax al punto che il governo di Oslo è sotto pressione, con il primo ministro Støre costretto a difendere la patrimoniale che “divide la Norvegia” di fronte all’emorragia di super-ricchi verso cantoni elvetici). All’interno della UE, invece, l’assenza di frontiere per le persone facilita spostamenti di convenienza: un contribuente molto benestante può trasferire la residenza fiscale in Portogallo (che offre regimi non dom e 0% su redditi esteri per 10 anni), o a Dubai, fuori UE, e continuare a gestire i propri affari globali. La tesi “fuga di capitali” fu usata in passato per abolire varie patrimoniali: in Germania la tassa patrimoniale è stata eliminata nel 1997 anche perché giudicata incostituzionale (doppia imposizione sui beni) ma soprattutto perché si temeva la perdita di competitività rispetto ai vicini. Analogamente Austria e Danimarca la tolsero negli anni ’90. I contrari avvertono che l’Italia, che già soffre di investimenti esteri bassi, non può permettersi di spaventando gli investitori. C’è poi un discorso di attuabilità pratica: per i patrimoni più facilmente trasportabili (denaro, titoli) l’elusione è dietro l’angolo; per quelli illiquidi (es. immobili) c’è il rischio di svendite e trasferimenti di proprietà a prestanome in altri Paesi. Un altro esempio concreto è l’effetto sui professionisti mobili: introducendo una patrimoniale, si potrebbe incentivare medici, manager e altri ad emigrare verso Paesi a fiscalità più mite, portando via competenze e gettito. Tale “fuga dei cervelli ricchi” è un danno collaterale a volte trascurato ma reale (basti pensare a calciatori di alto livello o imprenditori digitali che scelgono dove risiedere in base al fisco). Sul fronte delle imprese, se la patrimoniale colpisce anche partecipazioni societarie o riserve, le aziende potrebbero delocalizzare sede legale all’estero. Giuliana Ferraino sul Corriere evidenzia come “l’Italia ha tutte le carte in regola per diventare la nuova casa dei grandi patrimoni europei” grazie al suo regime fiscale agevolato per ricchi; invertire tale posizione potrebbe farle perdere quel vantaggio appena guadagnato. Anche alcuni economisti di sinistra ammettono questo problema: Piketty propone infatti una patrimoniale minima europea proprio per evitare competizione tra paesi, conscio che, se un solo paese tassasse molto i ricchi, questi migrerebbero in massa. In mancanza di coordinamento, i contrari chiedono di non fare harakiri da soli. La vicenda di Arnault è spesso citata come monito: di fronte a tasse ritenute eccessive, il secondo uomo più ricco del mondo non ha remore a portare altrove il suo impero (e con sé centinaia di milioni di gettito). E quell’impero potrebbe trovare sede in Italia come rifugio (è un paradosso che l’Italia pensi di tassare di più i propri ricchi mentre offre flat tax agli stranieri come Arnault). L’IMF (Fondo Monetario) nel suo manuale per i governi è chiaro: “le preoccupazioni per le disuguaglianze di ricchezza non implicano che si debba usare per forza la tassa patrimoniale”, anzi migliorare la tassazione dei redditi da capitale è di solito più efficiente, implicando che la patrimoniale rischia di essere inefficace se i capitali scappano. Un aspetto ulteriore è l’elusione interna: i ricchi potrebbero rimodulare i loro investimenti per sfuggire alla base imponibile. Ad esempio, se la patrimoniale esenta (come spesso accade) i titoli di Stato per non penalizzare il debito pubblico, i ricchi compreranno più BTP e meno azioni; oppure punteranno su asset esentati (ad esempio arte, che spesso non viene tassata). Questo altera le allocazioni di capitale generando inefficienze senza raccogliere più tasse. L’OCSE nota che una patrimoniale “è spesso aggirata tramite la collocazione di asset in trust, in oggetti da collezione difficili da valutare, o la domiciliazione in giurisdizioni offshore”. Così, l’imposta rischierebbe di tradursi in un flop: tanto clamore per pochi spiccioli incassati, a fronte però di un danno reputazionale e reale per il sistema-Paese. Il senatore Carlo Cottarelli ha riassunto il concetto dicendo che in situazioni di emergenza nulla va escluso, “ma l’Italia oggi non è in una crisi così profonda” da giustificare misure straordinarie che possono indurre fuga di capitali. Meglio quindi evitare interventi che spaventano la ricchezza mobile, concentrandosi su modi più intelligenti di far contribuire i benestanti senza spingerli a fare i bagagli.
Nina Celli, 20 novembre 2025