Gli oppositori della patrimoniale sostengono innanzitutto che essa sarebbe deleteria per l’economia nazionale, frenando la crescita del PIL e la creazione di posti di lavoro. L’argomentazione parte dal principio base che tassare la ricchezza accumulata significa ridurre il rendimento del capitale, quindi disincentivare gli investimenti produttivi. In altre parole, se ogni anno una quota del patrimonio viene erosa dal fisco, i detentori di capitali saranno meno propensi a investirli in nuove imprese, innovazione o attività economiche, poiché il rendimento atteso viene decurtato dall’imposta. Meno investimenti equivalgono a meno crescita e minori opportunità occupazionali. L’economista Roberto Perotti ha parlato a tal proposito di “azzardo patrimoniale”, avvertendo che una tassa concepita male che riduce crescita e investimenti finirebbe per danneggiare “proprio le fasce più deboli” della popolazione. Il ragionamento è che, se una patrimoniale frena l’economia, i primi a pagarne il prezzo sono i lavoratori (meno assunzioni, salari più bassi) e le PMI legate alla domanda interna, mentre i ricchi troverebbero comunque modi per preservare il loro livello di vita. Perotti sottolinea come l’Italia abbia disperatamente bisogno di crescita e che già nel recente passato si siano spesi molti soldi pubblici in modo improduttivo (ad esempio 720 miliardi in spesa extra 2020-23, tra Superbonus e PNRR poco efficaci) che non hanno risolto i problemi strutturali; introdurre ora una patrimoniale equivarrebbe a tassare ulteriormente un’economia già debole, riducendone la competitività quando invece servirebbero misure pro-crescita. A supporto di questo timore, si citano studi macroeconomici: una simulazione riportata da “lavoce.info” calcola che negli Stati Uniti una patrimoniale rivolta all’1% più ricco ridurrebbe il PIL di circa $1,3 per ogni $1 di gettito ottenuto. Significa che il Paese nel complesso diventerebbe più povero di quanto il governo incasserebbe, un esito controproducente. Aghion, economista francese premio Nobel 2023, ha espresso preoccupazione sulla tassa Zucman in Francia, temendo che “punisca” l’innovazione e le startup in un momento storico in cui si dovrebbe invece incentivare i capitali pazienti per la crescita tecnologica. Anche in Italia, figure come l’ex premier Matteo Renzi hanno avvertito che parlare di aumentare le tasse (anziché ridurle) lancia un segnale sbagliato agli investitori e può accentuare il clima recessivo. L’economista Nicola Rossi ha sostenuto che è errato pensare di risolvere i problemi di finanza pubblica “sempre e comunque” con maggiori imposte: questo approccio scarica sui contribuenti la mancanza di coraggio della politica nel tagliare spese e inefficienze. Dal suo punto di vista (liberale), prima di tassare ulteriormente bisognerebbe rendere lo Stato più snello, altrimenti, tassare i patrimoni alimenta solo la spesa pubblica improduttiva e non risolve i mali strutturali. La patrimoniale viene anche definita una misura “ideologica”: la premier Meloni l’ha bollata come tassa con motivazioni “ideologiche” che colpisce un pilastro dell’economia italiana (il risparmio privato) e finirebbe per frenare investimenti e crescita. L’idea qui è che in Italia il risparmio familiare è sempre stato volàno di sviluppo (finanziando imprese, mutui ecc.), tassarlo sarebbe come segare il ramo su cui si è seduti, portando a un effetto recessivo. Dal lato delle imprese, Confindustria e altri attori economici avvertono che una patrimoniale danneggerebbe la fiducia: gli imprenditori potrebbero temere di vedere tassati i propri asset aziendali o personali, riducendo l’incentivo a reinvestire gli utili nell’attività produttiva. L’effetto psicologico negativo, con un’Italia percepita come Paese che penalizza la ricchezza e il successo, potrebbe tradursi in minor attrattività per investitori esteri, spingendo anzi i capitali a preferire destinazioni più friendly. Una delle critiche concrete è che, per come funzionano le patrimoniali, queste spesso colpiscono gli stock di ricchezza indipendentemente dal rendimento corrente. Se un bene è illiquido o temporaneamente a basso rendimento (si pensi a un immobile sfitto o a un’azienda che attraversa un anno difficile), la patrimoniale comunque si deve pagare. Ciò potrebbe costringere a liquidare parte del patrimonio o indebitarsi, indebolendo soggetti anche virtuosi. Serena Sileoni ha evidenziato, ad esempio, che tassare le proprietà immobiliari significa tassare anni di risparmi accumulati, ma se il proprietario non ha redditi liquidi sufficienti, rischia di dover vendere la casa per pagare la tassa, un esito paradossale e socialmente inaccettabile. Similmente, per un imprenditore agricolo con molta terra ma poca cassa, una patrimoniale potrebbe essere la rovina. Anche per questo in Paesi come la Francia si è deciso di limitare la wealth tax ai soli immobili (escludendo investimenti produttivi e finanziari per non scoraggiare l’economia). Gli oppositori italiani temono che, una volta aperta la porta alla patrimoniale, sarebbe difficile “dosarla”: inizialmente colpisce i super-ricchi, ma poi la base imponibile potrebbe allargarsi per esigenze di gettito, arrivando a coinvolgere categorie di risparmiatori benestanti ma non certo ricchi (ad esempio, famiglie con patrimonio >500mila € potrebbero essere considerate bersaglio in futuro). Questo spauracchio frena l’appetito per la proposta anche in parte del centrosinistra: difatti, come riportato da “Panorama”, diversi esponenti PD e M5S temono l’etichetta di “partito delle tasse” e la possibilità che una patrimoniale spaventi il ceto medio più di quanto aiuti i poveri. Infine, va considerato l’effetto su mercati finanziari e immobiliare: alcuni studi indicano che l’introduzione di una patrimoniale può portare a ribassi nei valori di borsa o degli immobili, perché gli investitori scontano il nuovo prelievo (ad esempio, prelievi analoghi in passato in Paesi scandinavi portarono a riduzioni del valore dichiarato dei patrimoni fino al 40% in pochi anni, segno di disinvestimenti o ricollocamenti). Questo potrebbe generare instabilità e una riduzione generale della ricchezza nazionale (cosiddetto “effetto patrimoniale negativo”). In sintesi, la patrimoniale, pur animata da buone intenzioni redistributive, finisce per indebolire il tessuto economico, riducendo crescita e investimenti, con ricadute negative proprio sull’occupazione e sui redditi medi. Si tratterebbe, secondo questa visione, di “un boomerang”: “colpire i ricchi per poi far star peggio i poveri”. Per evitare ciò, i critici suggeriscono che la via maestra debba essere invece stimolare la crescita (che aumenta redditi e gettito in modo sano) e aggredire la spesa pubblica inefficiente, anziché introdurre nuove tasse patrimoniali che rischiano di essere recessive.
Nina Celli, 20 novembre 2025