I fautori della patrimoniale la presentano anzitutto come uno strumento di equità distributiva in un contesto di divari economici sempre più marcati. Negli ultimi decenni la ricchezza si è concentrata enormemente: in Italia l’1% più ricco possiede una quota maggiore di quanto detenga il 70% più povero, e il 10% più ricco controlla il 43% della ricchezza nazionale. Parallelamente, milioni di famiglie faticano economicamente: il tasso di povertà assoluta è salito oltre l’8% della popolazione. Di fronte a questa forbice, una tassa sui grandi patrimoni viene considerata un atto di giustizia sociale, perché fa pagare di più chi oggettivamente ha di più (cioè, chi ha maggior “capacità contributiva”, in linea col dettato costituzionale). Secondo Oxfam, ormai l’opinione pubblica italiana ha metabolizzato questa esigenza: il 70% dei cittadini si dice favorevole a una patrimoniale europea mirata allo 0,1% più ricco. Ciò riflette la percezione diffusa che l’attuale sistema fiscale non stia realizzando abbastanza redistribuzione: nel nostro Paese le imposte colpiscono soprattutto redditi da lavoro e consumi, mentre i grandi capitali spesso beneficiano di aliquote effettive più basse. Tassare la ricchezza concentrata ai vertici servirebbe dunque a riequilibrare il peso fiscale, alleggerendo potenzialmente il carico sui ceti medio-bassi. Gli economisti del think-tank Tortuga notano che ridurre le disuguaglianze estreme non è solo eticamente auspicabile ma produce effetti positivi di lungo periodo: società meno diseguali tendono ad avere maggiore mobilità sociale e persino una crescita economica più robusta e sostenibile (minori barriere d’accesso all’istruzione, più coesione sociale ecc.). Un’imposta patrimoniale darebbe un contributo immediato in tal senso, sia nel momento del prelievo (riducendo la distanza tra i molto ricchi e gli altri) sia nel momento della spesa dei suoi proventi, se destinati a servizi pubblici e sostegni per i meno abbienti. Dal punto di vista comparato, anche l’OCSE, tradizionalmente prudente in materia fiscale, ha riconosciuto che nei Paesi con forte crescita delle disparità (come l’Italia) una tassa sulla ricchezza può essere uno dei modi più efficaci per accelerare la riduzione dei gap. In altre parole, la patrimoniale viene vista dai favorevoli come un correttivo necessario per riportare un po’ di giustizia nel sistema, in un periodo storico in cui “i ricchi diventano sempre più ricchi” (specie dopo le crisi finanziarie) e al contempo aumenta la povertà assoluta. I favorevoli alla patrimoniale sottolineano che non è questione di “punire i ricchi” per motivi ideologici, bensì di farli contribuire al benessere comune in proporzione alla loro ricchezza, invertendo almeno in parte il trend di polarizzazione economica. Chiedere un contributo aggiuntivo all’élite finanziaria è percepito come giusto e solidale: ad esempio, i promotori della campagna #LaGrandeRicchezza (sostenuta da Oxfam) ricordano che una frazione minuscola di popolazione controlla ricchezze enormi e che anche un prelievo moderato (come lo 0,5-1% annuo su patrimoni plurimilionari) potrebbe generare risorse vitali con impatto trascurabile sul tenore di vita di quei contribuenti. Lo storico economico Emanuele Felice ha calcolato che solo la ricchezza finanziaria detenuta dal top 5% degli italiani supera i 3.000 miliardi di euro: un’aliquota dell’1% su di essa produrrebbe circa 30 miliardi annui di entrate, prelevando a individui che nemmeno se ne accorgerebbero in termini di riduzione del proprio benessere. “L’Italia diventerebbe un altro Paese: più equo, solidale, efficiente, crescerebbe anche di più e meglio”, afferma Felice, suggerendo che l’investimento sociale di queste risorse migliorerebbe perfino la qualità dello sviluppo. Questa visione è condivisa da molti esponenti progressisti: per Elsa Fornero, ad esempio, una patrimoniale può essere giustificata moralmente sia da gravi difficoltà di finanza pubblica (debito elevato ereditato dalle nuove generazioni) sia da gravi iniquità sociali – due condizioni che in Italia coesistono. Fornero sottolinea anche che, mentre la povertà si diffondeva, “una parte molto minoritaria del Paese aumentava la propria ricchezza”, segno che c’è margine per riequilibrare senza intaccare la sostenibilità economica dei benestanti. In sintesi, la tesi pro-equità sostiene che la patrimoniale è “una tassa per ricostruire la giustizia sociale”: non colpisce alcuna fascia fragile, ma anzi mira a reperire risorse proprio per aiutare queste ultime e ricucire un tessuto socioeconomico sfilacciato. Affermazioni come quelle di Maurizio Landini (“chiediamo un contributo all’1% per alleggerire il peso sul 99%”) riassumono lo spirito della proposta: far sì che i sacrifici fiscali siano meglio ripartiti tra tutti i cittadini, proporzionalmente alla ricchezza di cui godono.
Nina Celli, 20 novembre 2025