Chi sostiene la necessità di togliere temporaneamente i figli ai genitori di Palmoli insiste sul fatto che la situazione concreta in cui vivono i minori è talmente estrema da configurare quasi uno stato di abbandono materiale ed educativo. Pur riconoscendo che i genitori non commettono violenze, equiparano certi effetti negativi del vivere isolati ai danni di un maltrattamento omissivo. Ad esempio, la mancanza di un’abitazione idonea con servizi igienici e riscaldamento adeguato viene assimilata a una forma di trascuratezza fisica grave, perché espone i bambini a malattie e incidenti. In Italia, rammentano, sono stati allontanati minori anche per carenze igieniche e abitative persistenti, quando i genitori non volevano o non potevano porvi rimedio. Nel caso in questione, la famiglia vive in un rudere che gli stessi Carabinieri definiscono “fatiscente, con pareti lesionate e danni strutturali”. I servizi hanno trovato giacigli per terra, stanze senza luce né acqua e una roulotte minuscola dove dormono tutti e cinque. Queste condizioni – argomentano i pro – non possono essere considerate accettabili per dei bambini in età prescolare e scolare. L’avvocato difensore parla di “stile di vita alternativo”, ma per la legge la casa dev’essere un luogo sicuro: qui siamo quasi di fronte a un contesto da emergenza umanitaria, seppur autoimposto. Si enfatizza anche il rischio sanitario immediato: l’episodio dei funghi è un campanello d’allarme di possibili future emergenze. Cosa sarebbe accaduto se uno dei bambini avesse avuto bisogno di aiuto urgente durante il periodo in cui la famiglia si era resa irreperibile ai servizi sociali? I pro-removal segnalano che, secondo gli atti, i genitori a un certo punto “si resero irreperibili” sentendosi “braccati” e saltando i colloqui. Questo comportamento viene letto come un segnale di scarsa cooperazione e potenzialmente pericoloso: in caso di bisogno, avrebbero evitato di ricorrere ai servizi medici? Una genitorialità responsabile – affermano – non può prescindere dall’accesso alla sanità e dall’interlocuzione con le istituzioni. I difensori della misura drastica fanno inoltre leva sul concetto di “educational neglect” (trascuratezza educativa): un genitore che non scolarizza i figli e li priva di un orizzonte culturale, anche se li nutre e li ama, sta mancando a un dovere fondamentale. Il fatto che i figli risultino puliti e sorridenti non basta, affermano: la “buona salute” rivendicata dai genitori va provata con check-up medici regolari e vaccinazioni, e l’“apprendimento spontaneo” andrebbe misurato con verifiche oggettive, altrimenti si tratta solo di parole. Finora – rilevano – non c’è evidenza pubblica che i due gemelli di 6 anni abbiano sostenuto esami (solo la figlia maggiore ha un certificato di idoneità alla terza elementare). Dunque, per i pro-removal, questi bambini potrebbero accumulare lacune educative enormi, difficili poi da colmare. Anche il richiamo ai princìpi di Rousseau da parte del legale viene criticato: “il mito del buon selvaggio” è appunto un mito, superato dal riconoscimento che i bambini hanno bisogno di socializzazione e guida educativa, non di essere isolati in una bolla antimoderna. Sul piano normativo, i pro tengono a evidenziare che non esiste più la “patria potestà” come diritto assoluto dei genitori, ma la “responsabilità genitoriale”, concetto che implica anche doveri verso la società e i figli stessi. In rete, qualcuno ha fatto notare con sarcasmo: “Non esiste più la patria potestà, si chiama responsabilità genitoriale, abbi pazienza”. Questo per dire che la legge è già chiara: se i genitori non assumono comportamenti responsabili (come mandare i figli a scuola o garantire condizioni igieniche decenti), allora decadono dal loro ruolo e interviene il tribunale. La famiglia del bosco, per quanto animata da buone intenzioni, sta tradendo alcune responsabilità di base. Sotto il profilo psicologico, i pro-removal temono anche i possibili danni a lungo termine di una crescita così atipica: i bambini potrebbero sviluppare difficoltà di adattamento sociale, traumi nel confrontarsi poi con il mondo esterno o addirittura idealizzazioni eccessive/fobie verso la società moderne inculcate dai genitori. Un domani potrebbero accusare i genitori di averli privati di un’infanzia “normale”. L’allontanamento in tenera età presso strutture protette o famiglie affidatarie, per quanto doloroso nell’immediato, potrebbe offrire loro maggiori chance educative e relazionali, prevenendo problemi futuri. Il tribunale, se decidesse per l’affidamento altrove, cercherebbe soluzioni il più possibile adatte ai minori, magari tenendo insieme i fratellini. Non si tratterebbe di “rapirli” per sempre: l’obiettivo sarebbe piuttosto integrarli gradualmente nella società tutelandone la crescita. C’è infine un argomento di principio spesso menzionato: la parità di trattamento e la tutela universale dei bambini. Consentire a questa famiglia di restare isolata con i figli manderebbe un messaggio sbagliato: perché allora lo Stato persegue genitori che non mandano i figli a scuola o non li vaccinano? Perché interviene nei casi di famiglie nomadi in cui i minori non studiano? Non agire in questo caso potrebbe sollevare accuse di doppi standard. La direttrice del “Graffio” lamentava che lo Stato spesso “non porta via i figli ai mafiosi o ai mendicanti che li sfruttano”, ma i pro-removal ribaltano la critica: proprio per questo bisogna intervenire ovunque si riscontrino situazioni pregiudizievoli, senza eccezioni. Chi ama veramente i propri figli deve accettare di buon grado le regole minime poste a loro garanzia, non sfuggirvi. Pertanto, togliere la responsabilità ai genitori di Palmoli non è un abuso, ma un atto dovuto di un ordinamento che pone al centro i bambini come soggetti di diritti e non proprietà dei genitori. In conclusione, i fautori della linea dura affermano che lo Stato non punisce un’idea o uno stile di vita in sé, ma interviene perché in questo stile di vita intravede pericoli concreti e violazioni di legge.
Madeleine Maresca, 15 novembre 2025