I sostenitori della rimozione della potestà genitoriale affermano che, in qualsiasi circostanza, la tutela dei diritti fondamentali dei bambini debba avere la precedenza sulle libertà di scelta dei genitori. In questa vicenda le autorità ravvisano un “grave pregiudizio” per i tre minori, poiché stanno crescendo in condizioni lontane dagli standard minimi considerati essenziali per un sano sviluppo. La Costituzione italiana affida infatti ai genitori il dovere di educare i figli, ma contestualmente impone che l’istruzione inferiore sia obbligatoria e gratuita (art. 34). Chi è favorevole all’intervento dello Stato sottolinea che nessun genitore è un’isola: decidere di isolare completamente i figli dalla società li priva di opportunità e diritti che sono garantiti a tutti gli altri bambini per legge. Ad esempio, il diritto all’istruzione non significa solo imparare a leggere o far di conto, ma frequentare una comunità scolastica, confrontarsi con i coetanei, sviluppare competenze sociali e cognitive in un ambiente stimolante e controllato. Nell’esperienza di Palmoli, invece, i bambini – a detta degli stessi servizi sociali – vivono in “grave isolamento socio-culturale”, senza libera frequentazione di altri bambini né attività ricreative strutturate. Ciò lede il diritto dei minori alla socializzazione e alla crescita equilibrata. Anche se i genitori affermano di portarli al parco o al supermercato una volta a settimana, si tratta di contatti occasionali e non paragonabili a un inserimento stabile nella comunità. Inoltre, la mancanza di scuola può pregiudicare il loro futuro: senza un’istruzione certificata rischiano di essere esclusi da percorsi formativi successivi e opportunità lavorative. C’è poi l’aspetto sanitario e igienico. Vivere senza acqua corrente e senza un bagno interno non è un semplice “inconveniente moderno”, ma un potenziale pericolo per la salute dei bambini. I sopralluoghi ufficiali hanno descritto l’abitazione come priva di servizi, con i bagni all’aperto “completamente inadeguati” e condizioni giudicate “non salubri” per dei minori. Non a caso i servizi sociali avevano offerto alla famiglia un alloggio con servizi igienici adeguati e l’accesso a un centro socioeducativo, proposte tutte rifiutate. Gli interventisti ritengono che i genitori abbiano mostrato ostinazione irresponsabile: di fronte all’opportunità di migliorare le condizioni dei figli (ad esempio installando un bagno in casa), avrebbero risposto negativamente per non “snaturare” il loro stile di vita. Questo atteggiamento, dal punto di vista pro, conferma la necessità dell’intervento: se i genitori antepongono i propri principi ideologici al benessere basilare dei figli, lo Stato ha l’obbligo di agire in difesa dei minori. Un altro elemento chiave è l’assenza di controllo medico regolare. La relazione dei servizi ha evidenziato che i bambini non risultavano seguiti da un pediatra di base. Non portarli a visite pediatriche di routine e non vaccinarli (aspetto non confermato nei dettagli pubblici, ma che spesso accompagna questi casi) viene visto come una forma di trascuratezza potenzialmente grave. C’è già stato un campanello d’allarme: tutti e cinque i membri della famiglia sono finiti in ospedale per avvelenamento da funghi, un incidente che poteva avere esiti tragici. Quell’episodio fortuito ha rivelato una condizione di fondo pericolosa: se la famiglia vive tanto isolata da nutrirsi di funghi raccolti in proprio senza le necessarie conoscenze, da collassare incosciente al punto da dover chiamare i soccorsi, è segno che i bambini sono oggettivamente esposti a rischi anomali. Fortunatamente in quel caso si salvarono, ma il ruolo dei genitori nel vigilare sulla sicurezza alimentare e sanitaria è parso inadeguato. Lo Stato, pertanto, deve prevenire situazioni che possano degenerare: attendere ulteriore tempo significherebbe giocare coi diritti dei minori. Un principio cardine del diritto minorile è che lo Stato può limitare la responsabilità genitoriale se il comportamento dei genitori pregiudica il benessere dei figli. Nel caso specifico, le istituzioni non entrano nel merito delle convinzioni personali della coppia (rispetto per la natura, critica alla modernità), bensì valutano gli effetti sui bambini: istruzione lacunosa, isolamento e possibili problemi sanitari. La procedura seguita dalla Procura è quella prevista in questi casi: prima si è tentato un progetto di recupero socioeducativo, poi, vista l’irreperibilità e il rifiuto di collaborazione della famiglia, si è ricorsi al giudice. Non è una punizione ideologica, ma l’attuazione del dovere istituzionale di proteggere i minori. Infine, i sostenitori della rimozione fanno notare che lasciare i bambini con i genitori, senza condizioni, potrebbe costituire un precedente pericoloso: equivarrebbe a legittimare situazioni di elusione dell’obbligo scolastico e sanitario. Una società di diritto non può accettare che per inseguire un’utopia, per quanto sincera, si sottraggano i figli agli strumenti educativi e di cura di base. Come scrive “Fanpage”, la legge consente istruzione a casa solo se viene affiancata da controlli ed esami annuali, requisiti che l’unschooling puro “non sempre prevede”, finendo in una “zona grigia” legale. Se i genitori di Vasto non hanno adempiuto a tali obblighi (dichiarazione annuale ed esami) o intendono sottrarvisi, allora la revoca della potestà – con affidamento dei bimbi a chi garantirà scuola e cure – è non solo giusta ma doverosa. Il principio giusto è che la libertà educativa dei genitori finisce dove inizia il diritto dei figli a una crescita sana e con pari opportunità. E in questo caso, quel limite è stato ampiamente superato. I figli non possono scegliere, tocca allo Stato assicurarsi che non subiscano scelte che li privano di istruzione, socialità e condizioni di vita dignitose.
Madeleine Maresca, 15 novembre 2025