I fautori delle riforme del welfare si basano spesso sul confronto internazionale: perché in alcuni paesi europei nascono più bambini che in Italia? La risposta, secondo loro, risiede nelle politiche pubbliche a sostegno della famiglia. La Francia viene citata come caso emblematico: fino a pochi anni fa registrava quasi 2 figli per donna, il valore più alto in UE, mentre l’Italia era ferma attorno a 1,3. Il segreto francese, riconosciuto anche dagli demografi, è una tradizione di interventi statali a favore della natalità risalente al dopoguerra: congedi di maternità e paternità retribuiti, assegni familiari generosi, agevolazioni fiscali (il famoso quotient familial che riduce le tasse in proporzione ai figli) e un sistema di nidi e scuole materne capillare ed economico. Queste misure hanno creato un ambiente in cui avere un terzo figlio non è un lusso insostenibile ma una scelta supportata dalla collettività. In Francia, inoltre, la cultura sociale normalizza il fatto che entrambi i genitori lavorino: lo Stato fornisce servizi per i bambini (dagli asili nido alle attività extrascolastiche) e incoraggia la condivisione dei carichi in famiglia. Il risultato è che, nonostante le crisi economiche, la Francia ha evitato il collasso delle nascite che ha colpito Italia, Spagna e Germania. I proponenti citano anche i Paesi nordici: Svezia, Norvegia, Danimarca hanno per decenni mantenuto TFR attorno a 1,7–1,9 grazie a una combinazione di welfare generoso e parità di genere avanzata. In Svezia esiste dagli anni ’70 un congedo parentale lungo e flessibile (di cui una quota riservata obbligatoriamente ai padri), nidi pubblici estesi e politiche del lavoro che tutelano le madri (il part-time ad esempio è diffuso e socialmente accettato). Non a caso, Svezia e Francia sono rimaste in cima alla classifica di fecondità europea, indicando che “welfare = più figli”. I sostenitori di questa idea osservano che persino la Germania, tradizionalmente piuttosto avara in politiche familiari, ha cambiato rotta nell’ultimo decennio (ha introdotto un Elterngeld, stipendio per i genitori in congedo, potenziato i nidi, incentivi per madri lavoratrici) e ha visto il suo TFR risalire da 1,3 a 1,6 intorno al 2016-17. L’Italia invece è rimasta indietro su questo fronte: un tempo ci si affidava alla famiglia estesa e al welfare “informale” (nonni, parenti) per gestire i figli, ma con i cambiamenti sociali (mobilità geografica, donne più istruite) quel modello non regge più. Servono quindi politiche moderne, come quelle dei paesi vicini. Un esempio concreto è quello del congedo parentale: in Italia il congedo di maternità obbligatorio è di 5 mesi (pagato all’80%–100% dello stipendio), quello di paternità solo 10 giorni; il congedo facoltativo è pagato al 30% per pochi mesi, e di fatto poco usato. In Francia, oltre al congedo maternità di 16 settimane, esiste un congedo parentale facoltativo di diversi mesi che – pur poco remunerato – è spesso preso da uno dei due genitori, mentre Macron ora propone di pagarlo di più per incentivarne l’uso. In Svezia il congedo totale arriva a 480 giorni (circa 16 mesi) da suddividere, con indennità circa all’80%: questo significa che nel primo anno di vita del bambino i genitori possono occuparsi di lui senza sacrifici economici enormi. I proponenti delle riforme sostengono che misure così decise cambiano davvero i comportamenti: se una coppia sa di poter contare su un sostegno stabile (soldi e servizi) per crescere 2 o 3 figli, sarà più propensa a farli. I dati regionali italiani sembrano confermare l’importanza del contesto: la Provincia di Bolzano, tradizionalmente dotata di politiche familiari più generose (anche grazie all’autonomia locale e a un welfare “austriaco”), ha il tasso di natalità più alto d’Italia. Al contrario, le regioni meridionali con welfare debole, come Basilicata, Campania o Sicilia, sono “fanalino di coda” per opportunità alle madri e registrano i tassi più bassi. Ciò sfata anche il luogo comune che le donne al Sud facciano più figli: un tempo era vero, oggi, senza supporto, le giovani meridionali rimandano la maternità tanto quanto (o più) delle settentrionali. Dunque, chi investe in welfare ne raccoglie i frutti anche demografici. Questo vale anche per misure economiche dirette: l’Assegno Unico Universale, introdotto in Italia nel 2022, ha unito vari bonus preesistenti semplificando l’aiuto mensile per figlio. Elena Bonetti afferma che “ha evidenze positive” nel sostenere la natalità. Certo, 175 euro al mese (importo base per figlio) non sono risolutivi, ma per molte famiglie aiutano, e l’assegno è modulato per dare di più a chi ha più figli o redditi bassi. In molti suggeriscono di potenziare ulteriormente questo strumento – ad esempio aumentando l’importo per il secondo e terzo figlio, come fatto in Francia – e di integrarlo con un trattamento fiscale agevolato (no tax area più ampia per famiglie numerose, IVA ridotta su prodotti per l’infanzia ecc.). Giancarlo Giorgetti, da tecnico d’area conservatrice, ha riconosciuto che “il Paese è di fronte a un’emergenza demografica” e ha proposto di cambiare le regole del fisco per favorire chi ha figli, anche a costo di ridurre i benefici per chi non ne ha, poiché – in prospettiva – chi fa figli contribuisce alla sostenibilità collettiva. È certo che senza un deciso intervento pubblico sarà impossibile evitare che l’Italia “invecchi senza rigenerarsi”. Non si nega certo che il problema abbia radici profonde, ma è evidente che le politiche contano. Emancipazione femminile e sostegno statale hanno permesso a paesi simili al nostro di fare meglio: gli esempi esteri lo dimostrano. L’Italia deve recuperare terreno, adottando “il meglio” di quei modelli. Dunque, fermare il declino demografico si può, seguendo l’esempio dei paesi che hanno investito sulle famiglie. Non sarà un ritorno ai baby-boom del passato, ma si può puntare ad aumentare gradualmente la natalità, magari tornando sopra 1,5 figli per donna (livello che assicurerebbe maggiore stabilità), come ancora accade in Francia. Ogni decimale di TFR guadagnato grazie al welfare significa migliaia di nascite in più l’anno e un’inversione di tendenza. Come ha detto il demografo Rosina, “ci restano 13 anni per invertire il trend” prima che diventi irreversibile. Le riforme del welfare sono la leva principale per raggiungere questo obiettivo.
Nina Celli, 8 novembre 2025