I sostenitori della riforma del welfare ritengono che un robusto pacchetto di politiche pro-famiglia sia la chiave per contrastare il declino demografico. Secondo questa visione, l’attuale crollo delle nascite in Italia non è dovuto a una scelta di vita “childfree” delle nuove generazioni, ma ai troppi ostacoli economici e sociali che impediscono alle coppie di realizzare il desiderio di avere figli. Molti studi confermano che gli italiani vorrebbero in media due figli, ma ne fanno poco più di uno. La differenza è colmabile rimuovendo gli ostacoli: offrendo maggiore sicurezza sul lavoro, sostegni finanziari e servizi, le famiglie si sentiranno più libere di avere bambini. Chiara Saraceno, ad esempio, afferma che in Italia “si parla molto di calo natalità ma si fa poco per sostenere chi i figli li ha o li vorrebbe”. La sociologa insiste sulla necessità di un pacchetto integrato di politiche sociali: orari di lavoro flessibili per genitori, congedi parentali ben pagati (anche per i padri), nidi pubblici e scuola a tempo pieno, incentivi per l’occupazione femminile. In paesi dove tali misure esistono, le donne non sono costrette a scegliere tra lavoro e maternità, e infatti lì nascono più figli. Un dato emblematico dal rapporto Save the Children è che in Italia una donna su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio, mentre nelle regioni con più donne occupate (ad esempio Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna) la natalità è relativamente più alta. Ciò conferma che lavoro e figli possono crescere insieme, se sostenuti dalle politiche giuste. Elena Bonetti, alla guida di una commissione parlamentare sul tema, sostiene che servono interventi su più fronti: dall’Assegno Unico universale (già attivo) ai servizi territoriali per l’infanzia, fino ad agevolazioni fiscali e aiuti per la cura degli anziani a carico delle famiglie. L’obiettivo è liberare i giovani dall’incertezza e dal peso di costi insostenibili, creando un ambiente in cui avere figli non significhi impoverirsi o rinunciare alle proprie ambizioni. Bisogna concentrarsi sulla dimensione economica di lungo periodo: più nascite oggi significano più lavoratori, consumatori e contribuenti domani, evitando il tracollo del sistema pensionistico e sanitario. Investire nel sostegno alle famiglie è quindi un investimento nel futuro. Questo concetto è ribadito da leader politici come Emmanuel Macron, che ha dichiarato: “la Francia sarà più forte se rilancia la natalità”, annunciando il potenziamento del congedo parentale retribuito. La Francia – spesso citata come esempio virtuoso – ha mantenuto per anni un tasso di fecondità vicino a 2 grazie a generosi benefici per chi ha figli (asili quasi gratuiti, assegni familiari, sgravi fiscali). Anche se di recente pure le nascite francesi sono calate, certo è che nessun paese senza un forte welfare familiare è riuscito a tenere alta la natalità. L’Italia, fanalino di coda in Europa (TFR ~1,2), paga decenni di politiche insufficienti e mentalità “familista” di facciata ma non nei fatti. Ora è il momento di cambiare rotta, serve uno shock di investimenti a favore delle famiglie giovani per invertire l’“avvitamento verso il basso”. In concreto, alcuni suggeriscono un piano organico: ad esempio, Gigi De Palo propone una regia unica governativa (un “commissario alla natalità”) per coordinare misure come bonus bebè potenziati, detrazioni fiscali crescenti per ogni figlio, asili nido gratis e con orari estesi, congedi parentali paritari e ben pagati, incentivi alle aziende “family friendly” e persino interventi culturali per valorizzare la genitorialità. Un insieme di azioni così ampio restituirebbe fiducia alle coppie italiane. L’alternativa è l’inazione e il declino: lasciar fare al “mercato” demografico porterebbe, secondo le proiezioni, a una società sempre più vecchia e sbilanciata, con meno lavoratori per sostenere gli anziani, e costringerebbe a scelte dolorose (pensioni più tarde e magre, tagli alla sanità). Meglio prevenire questi scenari con politiche nataliste oggi, che dover affrontare emergenze domani. Dunque, fermare il declino demografico è possibile, ma solo se lo Stato interviene con decisione per creare un ambiente socioeconomico in cui fare figli torni a essere un progetto accessibile e desiderabile per le giovani famiglie. Le risorse investite verrebbero ripagate da una società più equilibrata tra giovani e anziani e da un rinnovato circolo virtuoso di crescita economica e stabilità del welfare.
Nina Celli, 8 novembre 2025