Il mantenimento dell’immunità parlamentare per Ilaria Salis è presentato dai favorevoli come una necessaria barriera democratica di fronte a un palese caso di persecuzione politica. Secondo questa tesi, la richiesta ungherese di processare la Salis non nasce da un bisogno di giustizia, bensì dalla volontà del regime di Viktor Orbán di punire un’attivista antifascista che lo ha pubblicamente sfidato. La Commissione giuridica del Parlamento UE (JURI) ha avvalorato tale lettura: nel suo rapporto ha ravvisato “concreta evidenza” che l’azione penale mira a “minare l’attività politica” dell’eurodeputata Salis, piuttosto che ad appurare imparzialmente i fatti. Il concetto di fumus persecutionis, previsto dal regolamento comunitario proprio per evitare che l’immunità venga revocata in casi di accanimento politico, risulta per i proponenti pienamente applicabile: “In Ungheria non è possibile un processo equo nei miei confronti”, ha dichiarato la stessa Salis, parlando di “vera e propria persecuzione da parte del governo ungherese”. La deputata – e con lei esponenti di vari gruppi europei – sottolinea che Orbán ha trasformato la giustizia in un’arma contro oppositori e attivisti scomodi. Non a caso, l’intera vicenda giudiziaria della Salis è costellata da elementi anomali: 15 mesi di detenzione preventiva in condizioni durissime (celle sovraffollate, igiene precaria, persino docce negate), pubblica umiliazione in catene durante le udienze, aggravamento ex post dei capi d’accusa (le “lievi lesioni” iniziali sono state riformulate come reati da 24 anni di pena). Questi fattori dipingono uno scenario da “processo politico”. La protezione accordata alla Salis è quindi vista come un atto dovuto per salvaguardare i principi di democrazia e Stato di diritto in Europa. “Difendere la mia immunità non significa sottrarmi alla giustizia, ma proteggermi dalla persecuzione politica del regime di Orbán”, ha spiegato la Salis, ribadendo di voler comunque affrontare un giudizio regolare in un paese terzo (idealmente l’Italia). La priorità, per i sostenitori, è garantire che il giudizio avvenga in un contesto indipendente: “Non si possono ottenere processi giusti in Ungheria… né contro gli antifascisti né contro alcun oppositore politico”, ha affermato la Salis dopo il voto, confortata dalla valutazione del Parlamento UE. L’argomentazione richiama anche l’importanza di proteggere i rappresentanti eletti dai tentativi di intimidazione esterna: l’immunità parlamentare europea esiste proprio per assicurare “l’indipendenza e l’integrità del Parlamento nel suo complesso”, evitando che poteri ostili (interni o esterni all’UE) possano condizionare l’operato dei deputati tramite procedimenti pretestuosi. In questo senso, negare la revoca dell’immunità è servito a difendere non solo la persona, ma l’autonomia dell’istituzione UE da un precedente pericoloso: cedere alla pressione di un governo illiberale. I favorevoli citano inoltre precedenti comparabili. Ad esempio, nella stessa seduta il Parlamento ha respinto la revoca dell’immunità per Péter Magyar, eurodeputato ungherese del PPE e principale oppositore di Orbán, accusato (controversamente) di corruzione. Ciò dimostra che la protezione non è stata un favore “di parte” verso la Salis, ma un principio applicato trasversalmente quando vi è il dubbio di strumentalizzazione giudiziaria. Emblematico è anche il parallelismo con la vicenda dei catalani indipendentisti del 2019-21: in quel caso il Parlamento UE revocò l’immunità a deputati richiesti dalla Spagna, un paese democratico, perché confidava che avrebbero avuto un processo equo. Nel caso ungherese 2023-25, invece, larga parte dell’Eurocamera ha ritenuto che le garanzie di equità e indipendenza non fossero assicurate, giustificando così un’eccezione alla prassi (solitamente deferente verso le richieste degli Stati). In definitiva, secondo questo punto di vista, l’Europarlamento ha agito come “scudo di legalità”: ha impedito che una cittadina europea – eletta da quasi 180 mila persone – venisse consegnata a un “processo farsa” (parole di Salis), in un sistema giudiziario già condannato per violazioni dei diritti umani. Sospendere (temporaneamente) la pretesa punitiva ungherese è stato non un privilegio corporativo, ma un atto di tutela dei valori fondanti dell’UE. “Difendendo Salis, il Parlamento difende tutte le cittadine e i cittadini europei” dagli abusi di potere – ha dichiarato Nicola Zingaretti, capodelegazione PD, applaudendo il voto. Analogamente, i co-portavoce di AVS hanno definito quella della Salis “una battaglia per lo Stato di diritto e la democrazia in Europa”, poiché riguarda il principio che nessun governo possa imprigionare a piacimento gli oppositori grazie a sistemi giudiziari compiacenti. In quest’ottica, la rappresentanza popolare incarnata dalla Salis merita una particolare protezione: fermare la giustizia ungherese di fronte al suo mandato parlamentare non è un abuso, ma un gesto estremo reso necessario per preservare il rule of law europeo.
Nina Celli, 9 ottobre 2025