I critici della tesi “Putin malato” ritengono che molte delle voci siano alimentate da motivazioni politiche o da speranze, più che da fatti concreti. La Russia è impegnata in una feroce guerra – anche informativa – con l’Ucraina e l’Occidente. Far circolare notizie sulla presunta imminente morte di Putin può servire a minarne l’aura invincibile e sollevare il morale avversario. Non a caso, molte affermazioni allarmistiche provengono da funzionari ucraini. “Newsweek” evidenzia il caso del generale Budanov: uno storico occidentale, Sergey Radchenko, dopo aver sentito Budanov pronosticare la rapida morte di Putin, ha commentato di prendere queste parole “con un granello di sale, in quanto probabilmente intese come operazione psicologica”. In altre parole, Budanov potrebbe enfatizzare (o addirittura inventare) la malattia di Putin per demoralizzare i russi e galvanizzare gli ucraini, instillando l’idea che “basta aspettare, Putin morirà presto e vinceremo”. Questo meccanismo di “propaganda nera” non è nuovo: già durante la Guerra Fredda circolavano voci sull’infermità di capi sovietici come Brezhnev o Andropov, spesso ingigantite dall’Occidente per dipingerli come deboli. Nel contesto attuale, alcuni analisti ritengono che Kiev abbia tutto l’interesse a far credere che Putin sia condannato: mantiene alta la determinazione interna e forse semina il panico a Mosca. D’altra parte, esiste anche un fenomeno di wishful thinking diffuso tra i nemici di Putin, sia fuori che dentro la Russia. Il “Guardian” nota come molti critici di Putin “siano pronti ad abbracciare teorie di vendetta divina o colpi di Stato” pur di immaginare la sua fine. Ogni volta che Putin sparisce per qualche giorno o appare invecchiato, sui social e certi media oppositori rimbalza la speranza che “sia arrivata la sua ora”. Questa psicosi collettiva ha portato a numerosi falsi allarmi: la rivista “Legion” elenca decine di rumor negli ultimi 20 anni, da presunti ictus nel 2005 a tumori nel 2014, da attentati a malattie genetiche – “mai provati”. Eppure, ogni volta c’è chi ci crede e rilancia. Il motto di Mark Twain “la notizia della mia morte è grandemente esagerata” calza a pennello: Putin stesso, con pungente ironia, disse nel 2012 “mi hanno seppellito tante di quelle volte”. Nessuna delle numerose “profezie” di morte si è avverata finora: Solovei ha sbagliato tutte le previsioni (Putin non si è dimesso nel 2021, non è morto nel 2023 ecc.), Budanov già nel 2022 parlava di colpo di Stato in corso e leader malato ma un anno dopo Putin era ancora lì, Zelensky ha detto “morirà presto” ma mesi dopo Putin è più vivo che mai. Questo trend suggerisce che le fonti proponenti non siano affidabili. Anzi, c’è chi sostiene che il Cremlino stesso talvolta abbia alimentato ad arte qualche rumor per identificare talpe o compattare l’entourage: in passato, i servizi russi diffondevano false voci sui leader per vedere chi le riprendeva (tecnica per scovare traditori). Sebbene manchino prove che ciò sia accaduto ora, i contrari rimarcano la prudenza: se nessun organo indipendente conferma e se tutte le voci provengono da ambienti ostili (o poco seri, come tabloid e Telegram anonimi), è più logico pensare a una narrazione interessata. D’altronde, come nota “The New Statesman”, queste speculazioni ricordano la vecchia pratica della Kremlinologia, quando analisti cercavano indizi di salute dai comportamenti pubblici in mancanza di dati certi. Un terreno su cui è facile proiettare speranze e timori. Quindi, la mancanza di riscontri oggettivi e la provenienza “di parte” di molte notizie porta a concludere che “finché non vedrò un referto vero, non ci credo”. In pratica, la narrativa del “Putin moribondo” sarebbe un frame utile agli avversari ma privo di sostanza, mantenuto in vita dal desiderio di vedere la fine politica (e fisica) di Putin senza doverla ottenere sul campo di battaglia.
Nina Celli, 7 ottobre 2025