Alcuni ritengono che le manifestazioni pro-Palestina, al di là delle dichiarazioni di principio, siano troppo spesso teatro di deragliamenti antisemiti e rappresentino quindi un pericolo reale. Nel clima infuocato seguito al 7 ottobre 2023, dalle piazze europee e italiane sono emersi slogan, gesti e simbologie che superano la critica legittima a Israele per sconfinare nell’odio antiebraico puro e semplice. A giudizio dei “contro”, questi episodi non sono casi isolati ma sintomi di un “nuovo antisemitismo” che percorre la sinistra radicale e ambienti islamisti, camuffandosi da attivismo politico. Numerosi esempi concreti corroborano questa tesi. In Italia, l’Unione delle Comunità Ebraiche (UCEI) ha documentato con allarme quanto avvenuto nel grande corteo nazionale del 28 ottobre 2023 a Roma: tra migliaia di manifestanti (per lo più pacifici) si sono levati cori inquietanti come “Israele boia, Israele terrorista”, con la folla che imputava agli israeliani crimini efferati in termini assoluti. Alcuni facinorosi hanno issato cartelli in cui si paragonava il primo ministro israeliano Netanyahu ad Hitler, o si accostava la stella di Davide alla svastica nazista. Un manifestante si è arrampicato sulla recinzione della sede FAO per strappare e gettare la bandiera israeliana, un gesto altamente simbolico di disprezzo verso l’identità ebraica nazionale. A Livorno, in un raduno locale, si sono udite urla “Via Israele!” mentre alcuni giovani coprivano con la bandiera palestinese una bandiera della pace esposta dal Comune. Ad Aosta, un oratore al megafono ha urlato che “Israele sta facendo ai palestinesi ciò che i nazisti fecero agli ebrei”, banalizzando così la Shoah e ferendo la memoria storica. Questi episodi, lungi dall’essere espressioni di semplice antisionismo, rientrano chiaramente – secondo i contrari – nella definizione di antisemitismo: demonizzazione del popolo ebraico e assimilazione di Israele al Nazismo (un parallelo incluso tra gli esempi di antisemitismo dall’IHRA). Noemi Di Segni, presidente UCEI, dopo i fatti di Roma ha dichiarato: “Assistere a simili atti di odio fa molto male. Sono offese esplicite che nulla hanno a che vedere con la tutela dei diritti palestinesi”. Parole che evidenziano la percezione che quelle manifestazioni siano state snaturate dalla presenza di frange antisemite. Alcuni sottolineano che situazioni analoghe si sono viste in altre città europee. A Londra, in occasione di un imponente corteo a metà ottobre 2023, gruppi di estremisti hanno gridato slogan come “Khaybar, Khaybar, oh Ebrei, l’esercito di Maometto ritornerà” (un canto minaccioso che rievoca un massacro di ebrei nell’antichità islamica). La Metropolitan Police ha riferito di dozzine di arresti per atti di incitamento all’odio durante i raduni di quel periodo. In Francia, all’indomani del massacro di Hamas, nelle banlieue parigine alcuni manifestanti hanno distribuito dolci e ballato per celebrare l’“impresa” terrorista: immagini “disgustose” – come le ha definite il cancelliere Scholz – con persone che festeggiano l’uccisione di civili ebrei in Israele. Queste scene di giubilo per attacchi antiebraici contraddicono l’idea che i cortei pro-Palestina siano esclusivamente solidali con le vittime palestinesi: mostrano che una parte (non trascurabile) di quei manifestanti in realtà rivendica l’odio contro Israele e contro gli ebrei. Riccardo Pacifici, ex presidente della Comunità Ebraica di Roma, in un’intervista ha spiegato: “Quattro ragazzi neofascisti che fanno il saluto romano mi preoccupano meno dell’odio anti-Israele che vedo a sinistra”. Quell’odio anti-Israele “a prescindere” – sostiene Pacifici – finisce per diventare odio antiebraico generalizzato. La percezione diffusa tra gli ebrei europei, rilevata anche dal “Times of Israel”, è che ad ogni conflitto in Medio Oriente seguano venerdì di preghiera in cui, in certe moschee o raduni musulmani, si incendiano gli animi con retoriche violente contro gli ebrei, traducendosi poi in aggressioni fisiche durante o dopo i cortei. Nel maggio 2021, a Gelsenkirchen (Germania), 200 manifestanti filopalestinesi marciarono verso la sinagoga locale gridando “Sch**ß Juden” (“ebrei di m***”), un atto che ricorda tristemente i pogrom di un tempo. Episodi analoghi – per quanto isolati nel contesto di proteste più ampie – segnalano una tendenza inquietante: l’antisionismo di piazza, quando radicalizzato, trasborda facilmente in antisemitismo esplicito. Questo giustifica, agli occhi dei contrari, la massima severità. Un altro aspetto sottolineato è che nelle piazze pro-Palestina hanno trovato spazio simboli e organizzazioni estremiste che nulla hanno a che fare con la “solidarietà umanitaria”. Paolo Berizzi su “Repubblica” ha documentato come a Milano e Genova il coordinamento dei cortei fosse finito nelle mani di figure legate a movimenti islamisti: ad esempio Mohamed Hannoun, capo dell’Associazione Palestinesi in Italia, noto per retorica intrisa di jihadismo, o il suo vice Suleiman Hijazi. In quei cortei milanesi, migliaia di persone hanno sfilato ogni sabato e dagli altoparlanti partivano cori in arabo a glorificazione di Hamas, definendone i miliziani “i nostri partigiani” nella lotta contro Israele. Un paragone, quello con i partigiani, che nella cultura italiana evoca legittimità: chiamare “resistenza” un massacro di civili israeliani (donne, bambini, anziani) significa normalizzarlo e perfino celebrarlo. Questi evidenziano che Hamas è riconosciuta come organizzazione terroristica dall’UE; di conseguenza, un raduno in cui la folla acclama Hamas o espone i suoi simboli non può essere considerato una normale manifestazione pacifica, ma diventa un potenziale reato (apologia di terrorismo) e una minaccia per l’ordine pubblico. Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, motivando il bando ai cortei dopo il 7 ottobre, disse chiaramente: “Le manifestazioni pro-Palestina vanno vietate perché rischiano di degenerare in sostegno al terrorismo”, citando il mancato dissociarsi degli organizzatori parigini da Hamas. Anche la risoluzione del Consiglio di Stato francese che ha poi moderato il divieto ha riconosciuto che, “nel contesto attuale, manifestazioni di sostegno a Hamas o di esaltazione degli attacchi anti-ebraici costituiscono un legittimo motivo di ordine pubblico per vietarle”. E infatti, quando a Parigi è stato infine permesso un corteo per la Palestina, la Prefettura ha comunque arrestato dieci individui colti a pronunciare frasi antisemite o a imbrattare statue con graffiti anti-Israele. Questo a riprova che ci sono facinorosi e questi vanno isolati con tolleranza zero. L’insieme di questi elementi dipinge un quadro chiaro: molti cortei pro-Palestina diventano veicolo di antisemitismo. Spesso la transizione è sottile: si parte da slogan politici (per alcuni già discutibili, come “Palestine will be free from the river to the sea”) e si arriva a cori di intonazione apertamente razziale o di incitamento alla violenza contro ebrei e israeliani. Questo fenomeno viene definito “antisemitismo di sinistra” o “antisemitismo islamista”, per distinguerlo dall’antisemitismo tradizionale neonazista. Autori ebrei come Alain Finkielkraut in Francia hanno lanciato l’allarme: “La sinistra estrema è fortemente antisemita sul piano politico”, tanto che in un’intervista ha affermato di preferire paradossalmente l’ultradestra di Le Pen (che ha rinnegato l’antisemitismo storico) al Front de Gauche filopalestinese, giudicato pericoloso per gli ebrei. In Italia, il semiologo Ugo Volli (allievo di Eco e figura di spicco dell’ebraismo italiano) ha dichiarato al “Giornale”: “Il comportamento politico della sinistra è fortemente ostile a Israele e agli ebrei e ne mette in pericolo sicurezza ed esistenza”. Si tratta di affermazioni forti, ma che riflettono un sentimento diffuso tra le comunità ebraiche europee dopo gli eventi del 2023: più dei gruppuscoli nostalgici di Hitler, oggi fanno paura le masse che in nome dell’antisionismo sdoganano un linguaggio e un immaginario che demonizza l’ebreo in quanto ebreo. Questo “odio antiebraico a prescindere”, come lo chiama Pacifici, è particolarmente insidioso perché si ammanta di causa politica, sfuggendo ai radar di chi si aspetta l’antisemitismo solo con simboli fascisti. Ma gli effetti sono concreti: in Germania, nel 2023, alcune famiglie ebree hanno tolto i figli da scuole pubbliche dopo aver riscontrato atteggiamenti ostili legati al conflitto; in Olanda e Belgio, sinagoghe e scuole ebraiche hanno chiuso temporaneamente per timore di attacchi. Perfino eventi come le manifestazioni femministe hanno visto derive inquietanti: il “Giornale” riferisce che al corteo contro la violenza sulle donne del 25 novembre 2023, a cui partecipavano anche attiviste ebree, alcune femministe radicali hanno omesso di menzionare gli stupri subiti dalle donne israeliane il 7 ottobre da parte di Hamas e hanno escluso dai loro spezzoni le donne ebree con bandiere israeliane, temendo provocazioni. Questa “sudditanza” ideologica a un antisemitismo latente, per compiacere frange pro-Palestina interne ai movimenti è giudicata dai contrari come un segnale allarmante di come l’odio antiebraico si sia infiltrato anche nei circuiti progressisti. Per tutti questi motivi, la tesi contro sostiene che i cortei pro-Palestina, nella forma in cui si sono svolti recentemente, pongono un serio rischio di antisemitismo. Non si tratta, a loro avviso, di demonizzare il diritto di protesta in sé, ma di riconoscere che in questi cortei l’antisemitismo c’è e va affrontato con durezza. Minimizzare o negare la presenza di odio antiebraico nelle piazze filopalestinesi equivarrebbe a chiudere gli occhi di fronte a una realtà pericolosa. La sicurezza della comunità ebraica, storicamente minoritaria e bersaglio dell’odio, deve avere priorità: se manifestazioni di decine di migliaia di persone degenerano anche solo parzialmente in cori antisemiti o provocano paura diffusa tra gli ebrei (cittadini italiani ed europei), le istituzioni hanno il dovere di intervenire, anche con misure drastiche. In quest’ottica, i divieti temporanei, le identificazioni e gli arresti preventivi non sono visti come atti illiberali, ma come azioni di prevenzione necessarie, analoghe a quelle usate verso manifestazioni dove si teme il dilagare di razzismo o violenza (ad esempio, molti Paesi vietano raduni neonazisti proprio per tutela dell’ordine pubblico e delle minoranze). Darmanin in Francia e Piantedosi in Italia hanno argomentato che impedire quelle marce era “l’unica decisione possibile per prevenire disordini gravi”. I sostenitori di questa visione concordano: meglio prevenire che dover poi reprimere nel caos in piazza. Se ciò comporta limitare temporaneamente la libertà di alcuni di manifestare, è un prezzo accettabile per proteggere una minoranza dall’incitamento all’odio. Le manifestazioni pro-Palestina, dunque, così come avvenute nel 2023-2024, sono spesso un cavallo di Troia dell’antisemitismo. Sotto le bandiere dei diritti dei palestinesi, si infiltrano e si scatenano sentimenti antiebraici che l’Europa non può tollerare, soprattutto data la sua storia. È giusto e opportuno vietare o sciogliere i cortei laddove emergano segnali di questo odio: lo impone la difesa dei valori democratici e della sicurezza di una comunità vulnerabile. Come recitava uno striscione esposto alla contromanifestazione di solidarietà con Israele a Berlino, “Mai più” deve valere ogniqualvolta nelle strade risuonano slogan che prendono di mira gli ebrei – anche se mascherati dietro la politica mediorientale. E se tali slogan risuonano durante i cortei pro-Palestina, allora quel “Mai più” giustifica pienamente l’intervento fermo dello Stato.
Nina Celli, 2 ottobre 2025