Pur concentrato sulla fine immediata della guerra, il piano affronta anche la dimensione politica. Nella sua formulazione finale include un riferimento, seppur condizionato, a un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la sovranità palestinese. Non è una garanzia, ma è un’apertura che riconosce l’aspirazione palestinese e allinea le aspettative della comunità internazionale. Il riferimento ai due Stati, sostenuto con forza da partner arabi e dall’Unione Europea, riporta al centro un obiettivo che molti ritenevano ormai svanito. L’idea è di costruire, passo dopo passo, le condizioni politiche attraverso la ricostruzione economica e le riforme istituzionali dell’ANP, collegando i progressi sul terreno a benefici concreti per la popolazione. Sul piano regionale, una tregua stabile a Gaza ridurrebbe il rischio di escalation nei paesi vicini, come Egitto e Libano, e consentirebbe di rilanciare percorsi di normalizzazione economica. Energia, infrastrutture e commercio potrebbero diventare strumenti di integrazione, con dividendi per israeliani e palestinesi. In questo senso, la tregua non è solo un modo per fermare le bombe, ma un ponte verso una prospettiva politica. Se consolidata, può trasformare Gaza da epicentro di conflitto a terreno di sperimentazione di una convivenza negoziata. È un inizio, non una soluzione definitiva, ma segna il ritorno di un linguaggio politico che sembrava cancellato: quello della coesistenza e della statualità.
Nina Celli, 1° ottobre 2025