Gli allarmi droni sono stati incardinati in una più ampia logica di securitizzazione: un processo per cui un tema viene presentato come minaccia esistenziale, giustificando misure eccezionali. Gli indicatori principali sono le tempistiche serrate tra incidente e annunci politici (nuove missioni di sorveglianza aerea, “scudi” anti-drone, rafforzamenti al confine Est); l’enfasi su metafore belliche (“atto di aggressione”, “attacco più grave”), anche quando i danni materiali sono marginali; lo scarso dettaglio tecnico reso pubblico su rotta, payload, componenti dei droni, con invito a “fidarsi” della versione ufficiale; il ricorso a figure retoriche della eccezionalità (“mai visto prima”, “soglia storica”), spesso slegate da riferimenti chiari. Secondo questa visione, il dividendo politico della securitizzazione è duplice. Sul piano interno, essa compatta la maggioranza sulla scia del “pericolo esterno” e riduce lo spazio del dissenso. Sposta il baricentro del dibattito dalle politiche sociali a quelle di difesa, legittima coperture di spesa e accelerazioni procedurali (acquisti militari, norme speciali su sorveglianza e interdizione del volo civile). Sul piano europeo, crea coesione verticale (Commissione, Stati ecc.) e orizzontale (tra membri), attenuando frizioni su altri dossier. La comparsa, a ridosso degli incidenti, di proposte come “scudo orientale” e piani anti-drone transfrontalieri viene letta come segno che agenda e cornice fossero pronte e l’evento abbia fornito la “finestra di policy”. Non si nega che vi sia una minaccia (la guerra in Ucraina esiste) ma contestano la proporzionalità delle reazioni comunicative, che rischiano di ipostatizzare la minaccia: da evento circoscritto a stato permanente di emergenza. In questa dinamica, il cittadino è soprattutto spettatore di un racconto in cui la tecnica (radar, EW, intercettazioni) diventa magia nera non sindacabile. Un presidio democratico richiederebbe standard minimi di trasparenza (dati tecnici anonimizzati, report indipendenti, audit parlamentari), così da bilanciare sicurezza e responsabilità. Sul versante economico, la securitizzazione porta a un compromesso: sistemi costosi (missili, CAP prolungate) impiegati contro UAV low-cost generano un differenziale insostenibile; la “risposta forte” alimenta la narrativa avversaria (“l’Occidente spreca risorse”), mentre soluzioni a basso costo faticano a scalare per ragioni industriali. Il rischio è un blocco tecnologico in cui l’emergenza giustifica scelte poco efficienti, ma politicamente spendibili. Dunque, la securitizzazione è performativa: crea la realtà che descrive, e andrebbe temperata con verifiche ex post sulla qualità delle decisioni prese “a caldo”.
Nina Celli, 28 settembre 2025