Secondo alcuni analisti, l’incursione di droni è stata intenzionale: non un incidente o una “messinscena”, ma un test di determinazione ai danni dell’Alleanza. A sostegno, si citano tre pilastri. Innanzitutto, la scala: non 1-2 unità, ma uno sciame nell’ordine delle decine, con sorvolo prolungato e su aree multiple – profilo difficilmente conciliabile con la casualità. Poi, la sincronia con attacchi in Ucraina: gli UAV oltreconfine rientrerebbero in una matrice tattica (saturazione, diversione, raccolta segnali) che integra fronte ucraino e pressione psicologica sul fianco NATO. Infine, il pattern storico: dal 2022 in poi, incursioni aeree, marittime e cyber sono aumentate lungo il confine Est. I droni sarebbero solo l’ultima declinazione a basso costo. Questa lettura è coerente con la dottrina russa di guerra ibrida: iterare azioni sottosoglia che complicano il calcolo costi/benefici per l’avversario. Se la NATO reagisce timidamente, il Cremlino “apprende” che può spingersi oltre (più droni, magari armati, o obiettivi sensibili in territorio UE). Se reagisce in modo robusto, Mosca registra tempi e modalità di risposta. In entrambi i casi la Russia estrae valore informativo. Per i contrari, l’unica risposta razionale è trattare l’episodio come ostile e attuare misure—tecniche e politiche—che alzino il prezzo di future provocazioni: pattuglie aeree continue, regole d’ingaggio più snelle, intercettori a basso costo e coerenza comunicativa. Un’obiezione ricorrente è che gli UAV fossero rudimentali e non armati. I contrari rispondono che è irrilevante: lo scopo non era la distruzione, ma il segnale. Droni economici costringono la NATO a spese sproporzionate e a decisioni politiche. Inoltre, anche droni “vuoti” possono provocare danni indiretti: chiusure aeroportuali, disagi economici, rischi di collisione. L’episodio scandinavo con scali temporaneamente paralizzati dimostra che un attore capace può, con pochi mezzi, creare interruzioni significative. In termini politico-diplomatici, la condanna ufficiale UE e l’attivazione dell’Art. 4 NATO non sono slogan: sono segnali istituzionali che l’episodio viene trattato come violazione seria. Minimizzare oggi, secondo i contrari, corrode la deterrenza: se l’aggressore percepisce ambivalenza o disaccordo interno, tenderà a testare ancora. Dunque, la chiave di lettura meno rischiosa, prudente ma ferma è quella di riconoscere l’ostilità del gesto, rafforzare i dispositivi, mantenere unità politica per evitare prossime soglie più pericolose.
Nina Celli, 28 settembre 2025