Gli esponenti di questa posizione respingono l’idea che l’allarme droni sia frutto di esagerazione o complotto: al contrario, affermano che esso rappresenti un campanello d’allarme concreto di una strategia russa sempre più aggressiva nei confronti dell’Europa. Secondo questa tesi, ciò che è avvenuto ai primi di settembre 2025 è un fatto senza precedenti che conferma la volontà di Mosca di sfidare direttamente la NATO, seppur in modo calibrato. La Polonia e la Romania – due Stati membri – hanno visto i propri cieli violati da apparecchi lanciati durante operazioni belliche russe; ciò costituisce inequivocabilmente una violazione della sovranità nazionale e dello spazio euro-atlantico. La stessa Unione Europea, attraverso una dichiarazione ufficiale, ha definito l’incursione del 10 settembre “un’aggressione intenzionale… parte di una grave escalation” da parte della Russia, sottolineando che minaccia la sicurezza dei cittadini UE e la pace internazionale. Già questa condanna istituzionale chiarisce come il fronte occidentale percepisca l’episodio non come un semplice incidente o un diversivo propagandistico, ma come un atto ostile che richiede risposte serie. Un primo argomento portato da questo fronte d’opinione è che i droni abbattuti sul territorio polacco erano effettivamente di provenienza russa e parte di un attacco coordinato. Non si trattava di misteriosi “oggetti” dall’origine incerta: “Reuters”, “BBC” e altre testate globali hanno confermato, nelle ore successive, che quei droni erano legati al massiccio attacco russo lanciato contemporaneamente sull’Ucraina occidentale (415 droni Shahed e 40 missili, ha riferito la “BBC”). Il Ministero della Difesa bielorusso – sebbene alleato di Mosca – ha implicitamente ammesso che droni russi hanno perso la rotta oltre confine a causa di disturbi elettronici, proponendosi persino di condividere i tracciati con la Polonia. La stessa NATO, pur con prudenza, ha riconosciuto che c’è stata una violazione del territorio alleato: “Indipendentemente dal fatto che le azioni della Russia siano state deliberate o meno, la Russia ha violato lo spazio aereo Nato”, ha dichiarato l’Alleanza. Per i sostenitori di questa visione, questo è il punto dirimente: un confine NATO è stato oltrepassato da velivoli legati a un’operazione militare russa. In Diritto internazionale ciò costituisce un atto illegale e potenzialmente un casus belli se considerato intenzionale. “Se uno Stato terzo lancia droni (armati o meno) nello spazio aereo di un membro NATO senza autorizzazione, sta compiendo una provocazione estremamente pericolosa” – ha commentato la presidente estone Kaja Kallas, parlando di ennesima violazione inaccettabile. Dunque, negare la gravità dell’accaduto, secondo questa tesi, equivarrebbe a minimizzare un chiaro tentativo russo di intimidazione verso l’Europa. Un secondo asse argomentativo riguarda la deliberatezza e lo scopo di tale incursione. Le autorità polacche sono convinte (e hanno convinto gli alleati) che non possa essersi trattato di un errore: “Defies imagination che sia accidentale con 19 droni” – ha dichiarato Radek Sikorski, influente eurodeputato ed ex ministro polacco. Un conto sarebbe stato uno sconfinamento di 1-2 droni isolati per un guasto, altro è uno sciame di quasi venti UAV penetrato per decine di chilometri e rimasto nei cieli polacchi per oltre 6 ore. Questo tipo di profilo non è compatibile con la mera casualità: appare semmai come un’operazione coordinata. Lo scenario delineato dagli esperti occidentali – come Edward Arnold del RUSI – è che Putin abbia voluto “testare la determinazione NATO” con un passo azzardato ma calibrato. In altre parole, l’incursione di droni sarebbe un modo per studiare le difese occidentali: quali radar li individuano, quanto tempo impiegano i caccia ad alzarsi in volo, fino a che punto la NATO reagisce politicamente (invocazione di Art.4, ecc.) senza però oltrepassare la soglia di un conflitto aperto. Questa tattica rientrerebbe nel concetto di guerra ibrida: azioni ostili sotto la soglia convenzionale, che creano confusione e saggiano i limiti dell’avversario. Proprio per questo, i sostenitori di questa tesi reputano pericolosissimo sottovalutare l’episodio: se la Russia nota indecisione o minimizzazione da parte occidentale, potrebbe spingersi oltre la prossima volta, ad esempio sconfinando con droni armati o colpendo deliberatamente infrastrutture in territorio UE. “L’incidente dimostra che la deterrenza convenzionale sta raggiungendo i suoi limiti” – scrive il generale Caruso – “Putin sta testando la nostra reazione spendendo poche migliaia di dollari”. La NATO stessa ha riconosciuto la necessità di reagire sul piano militare: ha delegato più autorità tattica ai comandi sul campo (per rispondere più rapidamente) e lanciato l’operazione Eastern Sentry per pattugliare con continuità il fianco orientale. Tutto ciò, per i fautori di questa tesi, conferma che l’Alleanza prende molto sul serio la minaccia e che questa non sia un semplice “teatro”. Un aspetto tangibile evidenziato è l’impatto pratico già avuto dai droni ostili sul suolo UE. La chiusura temporanea di quattro aeroporti polacchi, inclusa Varsavia-Chopin, ha causato ritardi e disagi notevoli e ha mostrato che perfino l’hub di Rzeszów – cruciale base logistica NATO per gli aiuti all’Ucraina – ha dovuto fermarsi per sicurezza. Pochi giorni dopo, la scena si è ripetuta in due capitali nordiche: gli aeroporti di Copenhagen e Oslo bloccati per ore, oltre 150 voli tra cancellati e deviati, migliaia di viaggiatori a terra. Questo mette in luce un fatto: anche droni non armati possono paralizzare infrastrutture civili e provocare danni economici. Il solo sorvolo di UAV sopra piste e impianti costringe per protocollo a bloccare il traffico aereo per evitare rischi di collisione. Il capo dei servizi danesi ha definito quella dei droni una minaccia di sabotaggio concreta: tre o quattro UAV coordinati possono chiudere un aeroporto internazionale e “questo dice molto sui tempi in cui viviamo” (M. Frederiksen). Questi episodi confermano, secondo questo fronte, che non si tratta affatto di “farsa” o simulazione innocua: la sicurezza collettiva europea è vulnerabile a tali azioni. Le centrali elettriche, i gasdotti sottomarini, le reti ferroviarie – tutte infrastrutture critiche – potrebbero essere spiate o disturbate da droni avversari in futuro, come del resto si sospetta sia avvenuto in passato (ad esempio i misteriosi droni avvistati attorno alle piattaforme petrolifere norvegesi nel 2022). Minimizzare oggi equivarrebbe a esporsi domani. Non a caso, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dichiarato che questo incidente “rafforza la nostra risolutezza” nel sostenere l’Ucraina e spingere per ulteriori sanzioni contro Mosca. Il messaggio: la sicurezza dei cittadini UE è minacciata finché la Russia prosegue la sua aggressione. Dal punto di vista tecnico-militare, questo punto di vista riconosce che i droni impiegati erano modelli a basso costo, ma invece di considerarli irrilevanti li interpreta come un campanello d’allarme sulle difese NATO. L’episodio ha infatti mostrato che la NATO, pur riuscendo ad abbattere vari droni (con l’aiuto determinante di caccia alleati come gli F-35 olandesi), ha dovuto impiegare per farlo armi costosissime: missili aria-aria AIM-9X da 400 mila dollari l’uno contro droni da poche migliaia. Questa asimmetria crea una vulnerabilità strategica che la Russia potrebbe sfruttare intensificando attacchi di saturazione. Dunque, lungi dall’essere una “messa in scena”, l’incursione ha esposto limiti strutturali nella postura difensiva occidentale che vanno corretti con urgenza. Ciò spiega perché, secondo i fautori di questa tesi, l’UE abbia immediatamente messo in cantiere nuove contromisure: dal potenziamento dei sistemi anti-drone (acquisizione di droni intercettori ucraini, cannoni antiaerei a corto raggio ecc.) alla creazione di una rete integrata di sorveglianza aerea sul confine orientale (il cosiddetto “muro di droni” evocato da von der Leyen e sostenuto dall’Agenzia EMSA). In altre parole, l’allarme droni non viene affatto considerato un fuoco fatuo propagandistico, ma al contrario sta spingendo la NATO a innovarsi e rafforzarsi – segno che la minaccia è ritenuta concreta. Esperti come il gen. Breedlove (ex SACEUR) hanno commentato che la NATO deve “pensare come Putin” e investire in difese a basso costo e delega decisionale rapida, altrimenti questi test russi continueranno a metterla in difficoltà. Un altro pilastro di questa tesi riguarda la delegittimazione delle narrazioni complottiste sul tema. Mentre alcuni segmenti di opinione diffondono la teoria della “false flag” ucraina, gran parte degli osservatori indipendenti la considera un’operazione di disinformazione orchestrata da Mosca per confondere le acque. Organizzazioni di fact-checking e media autorevoli hanno smontato tali affermazioni punto per punto. “Euronews” e “Open” hanno dimostrato come la storia dell’“Ucraina che assembla droni finti” sia partita da canali Telegram pro-Cremlino e sia stata copiata e incollata su vari social senza alcuna fonte verificabile. Inoltre, dati tecnici concreti – come la corrispondenza delle matricole dei motori e dei circuiti rinvenuti – confermano la fabbricazione russa dei droni caduti in Polonia. Le autorità polacche, dal canto loro, hanno ribadito di non aver alcun dubbio sul fatto che i droni facessero parte di un attacco russo in corso e non di una macchinazione esterna: “Erano deliberatamente puntati su di noi, non droni vaganti” ha chiarito Varsavia. Alimentare dubbi infondati su chi abbia lanciato i droni è pericoloso e fuorviante: significa fare il gioco della propaganda russa, che vuole scaricare la colpa sull’Ucraina per rompere la solidarietà occidentale. D’altra parte, notano come la Russia stessa non abbia fornito alcuna prova a discolpa (se fosse stata innocente, perché rifiutare la proposta polacca di un’indagine congiunta, preferendo negare genericamente?). La presenza di membri NATO come la Romania tra gli Stati colpiti toglie inoltre credibilità alle teorie di complotto antirusso: Bucarest non avrebbe interesse a inscenare droni russi sul proprio territorio, eppure ha subìto analoghe intrusioni a settembre e conferma di aver trovato rottami compatibili con Shahed fabbricati da Mosca. In sostanza, la tesi afferma che la spiegazione più logica è anche la più lineare: la Russia – impegnata in un attacco massiccio all’Ucraina – ha deliberatamente spinto alcuni droni oltre confine per provocazione o errore calcolato. Creare arzigogolate ipotesi alternative serve solo a distogliere l’attenzione dalla responsabilità russa. Il fronte di questa tesi sottolinea la risposta ferma e coesa data dall’Occidente come prova che l’allarme droni è reale e viene preso sul serio. Nel giro di poche ore, la Polonia ha attivato l’Articolo 4 NATO (evento rarissimo: solo sette volte dal 1949 prima di allora), ottenendo l’unanime solidarietà degli alleati – persino il notoriamente filorusso Viktor Orbán ha espresso sostegno, gesto definito “insolitamente solidale”. La NATO ha mostrato unità e prontezza: caccia USA (F-35) e di altri paesi erano già schierati in Polonia e hanno contribuito all’abbattimento dei droni, mentre nel giro di 48 ore Francia e Svezia hanno promesso e inviato ulteriori jet da combattimento e sistemi antiaerei per blindare il cielo polacco. Questa reazione non sarebbe stata così vigorosa se si fosse percepito l’episodio come una “farsa” o un falso allarme. Al contrario, i leader hanno parlato con gravità: il presidente italiano Mattarella ha avvertito del rischio di “scivolare in un baratro di violenza incontrollata” paragonando la situazione ai meccanismi del 1914, e persino Trump (dopo qualche esitazione iniziale) ha acconsentito a misure di deterrenza economica straordinarie. Tutto questo indica che l’Occidente considera l’allarme droni parte di un confronto molto serio con la Russia, da affrontare con determinazione. L’idea che l’allerta sia “costruita” crolla di fronte alla realtà dei fatti: ci sono violazioni, ci sono rischi concreti e vanno affrontati, pena mostrarsi deboli di fronte a un attore – il Cremlino – che storicamente avanza dove sente vacillare la resistenza. Dunque, l’allarme droni in UE non è affatto frutto di un’isteria immotivata, bensì la risposta necessaria e proporzionata a un’offensiva ibrida russa che minaccia progressivamente la sicurezza continentale e che solo mantenendo alta la guardia (sul piano militare, diplomatico e informativo) l’Europa potrà evitare esiti ben peggiori.
Nina Celli, 28 settembre 2025