I critici dell’allarme droni sostengono che esso faccia parte di una narrativa securitaria strumentale, costruita per dipingere la Russia come un pericolo imminente a tutta l’Europa, anche in assenza di prove concrete di un attacco deliberato. Il fulcro di questa tesi è che l’episodio dei droni sul fianco orientale sarebbe stato gonfiato nei toni e nelle interpretazioni, diventando un vero casus belli mediatico più che fattuale. In primo luogo, si osserva che i droni Geran/“Gerbera” entrati in Polonia erano apparecchi di bassa tecnologia, tipicamente usati come esche o ricognitori e privi di testate esplosive. Le analisi tecniche condotte sui rottami recuperati a Lublino hanno confermato l’assenza di esplosivi o di carichi militari su questi droni. Ciò contraddice la narrazione di un “attacco” in senso stretto: si è trattato piuttosto di sistemi ultraleggeri (costruiti in polistirolo e materiali economici) capaci al massimo di cadere al suolo come detriti, ma non di provocare distruzioni mirate. In altre parole, non erano missili né UAV armati: la loro capacità offensiva reale era pressoché nulla, come sottolineato anche da analisti indipendenti e media alternativi. Nonostante ciò, media e governi occidentali hanno sin da subito narrato l’incidente in termini allarmistici, parlando di “atto di aggressione” e puntando il dito contro Mosca ben prima di avere riscontri oggettivi. L’attribuzione di colpa immediata alla Russia viene vista come parte di un “rito” narrativo: “non esistono prove inequivocabili, ma il colpevole è già stato designato, ovviamente la Federazione Russa”, ha commentato ironicamente la portavoce russa Zakharova. Fonti critiche notano come nessun frammento mostrato pubblicamente riporti numeri di serie o componenti che colleghino senza dubbio quei droni all’arsenale di Mosca. Perfino la traiettoria resta incerta: se i droni fossero partiti dalla Russia, avrebbero dovuto volare per centinaia di chilometri senza essere intercettati, cosa ritenuta “tecnicamente improbabile” da più osservatori (anche alla luce del raggio operativo limitato di quei modelli). Eppure, la “cornice mediatica” dominante ha ignorato queste incertezze: le testate mainstream hanno dipinto un quadro netto di un’aggressione in atto, contribuendo – secondo questa tesi – a rafforzare un clima di paura nell’opinione pubblica europea. Si tratterebbe di un esempio di “securitizzazione”: un evento dall’impatto militare relativamente limitato viene elevato a minaccia esistenziale, giustificando misure straordinarie in nome della sicurezza. I fautori di questa linea richiamano inoltre precedenti recenti che invitano alla prudenza. Emblematico il caso del missile caduto a Przewodów nel 2022: inizialmente due civili polacchi morirono per un’esplosione subito attribuita a un razzo russo vagante, con conseguente panico internazionale; solo dopo emerse che si trattava quasi certamente di un missile antiaereo ucraino difettoso. In quell’occasione vari governi e media furono lenti nel correggere la narrativa antirussa e il governo polacco dell’epoca fu accusato di scarsa trasparenza. I critici vedono un parallelismo: anche oggi, di fronte ai droni precipitati (per lo più senza vittime né danni gravi), la reazione occidentale sarebbe stata immediata e univoca nel puntare il dito contro Mosca, ricalcando quasi un copione. Il quotidiano “Il Manifesto” ha evidenziato come i ruoli si siano invertiti in Polonia: il presidente Nawrocki (conservatore) stavolta chiede chiarezza sull’abbattimento accidentale di un proprio missile a Wyryki, mentre il premier Tusk (liberale) minimizza l’errore e insiste a incolpare solo la provocazione russa. Questo genere di “duello narrativo” interno, secondo i pro, rivela quanto la gestione dell’informazione sia parte integrante dell’evento droni. Un elemento centrale di questa visione è che l’allarme droni sia stato strumentalizzato politicamente in Occidente. Sin dai primi istanti, leader europei e atlantici hanno usato l’episodio per promuovere l’unità militare e stanziare risorse aggiuntive. Ad esempio, la Commissione UE ha subito rilanciato il progetto di un “Eastern Shield” – 700 km di barriere, fortificazioni e difese anti-drone ai confini orientali – e in parallelo la Polonia ha sbloccato 43,7 miliardi di euro del programma SAFE per potenziare il proprio arsenale antiaereo e di artiglieria. Queste misure, osservano i critici, erano probabilmente discusse da tempo, ma hanno trovato nell’incidente un volano per ottenere consenso e finanziamenti. La narrazione di un’Europa “sotto assedio dei droni nemici” permette di canalizzare risorse pubbliche verso la difesa e di “serrare i ranghi” della cittadinanza attorno ai governi, distogliendo magari l’attenzione da altri problemi. “Non si tratta soltanto di sicurezza: è un meccanismo che consente di… consolidare consenso politico” – si legge testualmente nell’inchiesta de “L’Indipendente”, riferendosi alle forti spese approvate sull’onda emotiva. Anche “La Città Futura” sostiene che il “drone show” sia servito a “presentare la nazione polacca come minacciata da una potenza ostile e giustificare nuove forniture militari e spese straordinarie”. I sostenitori di questo punto di vista accusa i governi euro-atlantici di alimentare una percezione d’insicurezza più alta della minaccia effettiva, al fine di spingere l’opinione pubblica ad accettare misure emergenziali (dal dispiegamento di truppe aggiuntive alla frontiera est fino alle sanzioni economiche più dure) come se fossero inevitabili. Sottolineano l’aspetto della guerra dell’informazione e della propaganda reciproca. Nella loro ottica, l’allarme droni in UE rientra in un contesto di psy-ops e spin narrativi: la Russia, dal canto suo, nega ogni responsabilità e parla di “miti diffusi dalla Polonia per aggravare la crisi”, mentre l’Ucraina e la Nato lo qualificano come ennesima prova dell’aggressività russa. La verità potrebbe giacere in una zona grigia – ad esempio, non viene esclusa l’ipotesi che quei droni siano effettivamente partiti dall’Ucraina, ma non in un complotto ordito da Kiev, bensì come conseguenza collaterale di contromisure elettroniche o errori umani. Minsk ha affermato di aver tracciato droni “usciti di rotta per jamming” e di aver persino avvisato i polacchi, un dettaglio confermato da fonti polacche stesse. Ciò potrebbe indicare che l’evento è nato sul confine ucraino-bielorusso in modo confuso, ma è stato poi incanalato in una narrativa bellica semplificata (Russia vs Nato). Emblematiche in tal senso le parole del professor Strazzari: “Quale sia stato il grado effettivo di minaccia sfugge a un dibattito trasparente, essendo materia di comunicazione strategica tra le parti”. I sostenitori, pur provenendo da ambienti diversi – dal giornalismo indipendente alle frange filorusse – convergono dunque sull’idea che l’allarme droni nell’UE sia in larga misura un prodotto narrativo, un “pericolo fantasma” enfatizzato allo scopo di consolidare un fronte securitario interno e di legittimare ulteriori passi di escalation politico-militare.
Nina Celli, 28 settembre 2025